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Full text of "Lucrezio. La vita, il poema, i testi esemplari"

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LUCREZIO 

TRADOTTO 
D A 

ALESSANDRO MARCHETTI 

CON FEDRO. 
TOMO SECONDO. 






V INEZIA MDCCXCyiI. 

PRESSO ANTONIO ZATTA QU; GIACOMO 
Cut jMtnxjt i$' SHftritri, e Iriviltgit . 



piangono a poto à pàeo 

Vmìì Rométn» sftto varif formo 
Hol ?MrnMso d' ItMRà ^' eoroMf loco. 

A. R. 



ut 



INDICE 

DEL LIBICO {QUINTO, 



Huilli, che crédono] ' thi Ia terra y il tnMn ^ 
il cielo y la luna , il sole , e le altre par* ' '*' 
ti del mondo siano mortali y non eredir$ , 
I che gli Dei siano mortali i fosche tali cos§ 
%on sono Dei . . tf 

te furti del m^ndo non foter essere sedi de* 
gli Dei. gè 

21 mondo non essere [stato dsglì Voi ereaàà 
per gli uomini, ivi,' 

Che il mondo sia #4/# , e (he sia per mori^ 
re, ài 



VI 



2n qual modo tutti gli elementi 9 e le steU 
U furono a pr^ncifh generati da,* primi 
corpi . ' 2s 

Del moto delle stelle . 5 a 

Fff qut^l cagione là terra esser possa nel 
m$zzo del mondo y non discénda più 
basso . 3 1 

Jl sole , la luna y e le altre stelle esser di 
quella grandezza y che ci pajono, bB 

Ver qual ragione , benché il sole sia mol- 
to picciolo , maniii pero tanto gran lu- 

Per qual ragione la luna adempisca i 
eorsi annui del sole in spazj mensuali: 
e per qual ragione il sole talora possa 
avvicinarsi a noi , talora da noi alien" 
tonarsi. ss 

Ter qmal ragione si faccia notte > e rinasca 
la luce . '57 

Cerche a vicenda siano ^ era pik brevi 9 ora 
piié lunghi i giorni y e le notti, 3^ 

Perchè in diversa maniera il Ueme della Ite» 
na cresca , e decresca . 4^ 

Del difetto del sole , e della luna . 4' 

Tutte le cose inferiori , /* erbe , gli alberi , 
e gli animali essere stati primd generati 
dalla terra. 44 



Mssere suti eriéUi dslU iena netnti mè]^ 

ti nfostri y li qUMli ^ ^oi^ poterono trt» 
scoro : od ossoro foriti molti gonori ^' 
animali . 4,^ 

Ncn ossor mai stati , ni poter ossero co»* 
tauri y scilloy ed altri mostri di tal tta^ 

. tura, 4^ 

ta vita de* primi uomini ossero stili a a pri- 
mo asprissima , ed ingrata di tutto lo 
coso ^ ma poi esser divenuta à foco a pPco 
pih mollo . si 

ìao sto ha Hatura avere spresso dagli uo* 
mini il parlare : ni doversi erodere » 
eh* alcuno abbia imposto i nomi alle cose , 
• gli abbia poscia insognati a gli al- 
tri, /7 

V invenzione , # V uso del foco . ' dx 

Aver prima gli uemini fabbricato le citiÀ, 
divise lo coso sotto il governo do i 
re \ poscia essersi Astretti a i vincoli 
delle leggi 62 

Qual motivo abbia prima insinuato no^ 
gli animi degli uomini V opinion degli 
Dei. , óf 

in qual modo siasi prima trovato l* oro , 
/' argento , il bronx,o , il piombo , il fef^ 
t&y e r uso loto, C^ 



TI 



Conie siansi m pòe0 é p"$ec hifenidià 'mòtti 
Mltrt eosi 4d uso della guerra» e eomi 
siano a poco a poco per gradi arrivate ad 
un termine cos) avffnx^to tutte l'altre eOm 
90 i e le atti: J2 



YH 



LIBRO SESTO 



Tiel Tuono. SJ 

Vel folgore, '^f 

VelU nuturA , mobilita , e ffrzi del fulmi- 

»*. P-f 

iPerche nelV autunno^ e nelU primavertt si 

generino molti fulmini. 7o> 

V over si ricercare con rMgibni U natura de* 

fulminìi e non doversi temerariamente ri" 

ferire agli Dei. ZQl 

Qual sia la causa de* Vresterii o sian fuochi 

celesti, mqG 

Delle Nubi. 107 

Delle yiogge ^ 109 

Dell* Arcobaleno . 11' 

Del Terremoto . i'^ 

Verche il mare non divenga maggiore per 

V afftuenxM di tante acque. sis 

De i Fuochi d'Etna. '^7 

Dell* inondazione del Nilo . 121 

De* luoghi averniy e d*^lcuni altri MVVirsi -^ 

agli augelli f $ quadrupedi. i^t 



vm 

Tirchi mlVittém V sejM sìm f^ fridds 91* 
fozzi'. zzi 

Pérebe il fonte , eh'ì frisse mI Tempio i* 
Amment > sta freddo di giorno > e caldo di 
motte , ivi. 

lereVé avvicinata la stoppa ^ ovvero $ma ffh 
cella ad an certo freddo fonte , e* acce»' 
da. zBo 

Perche il fioro venga tratto dalla CaUmt- 
ta. i3<^ 

D* onde à crei la peste • 141 

^tUa peste degli jiteniesi. t^^s 



DI TITO 
LUCREZIO CARO 

DEIXA NATUR^rDELLE COSSt 



L>iHi m darà b voce» e le patofc 
CaAv^wti a à nobil toggecco ^ 
Chi Tali al vefso impennerammi io gaif% 
I eh' ti giunga $h mesco di colili» dbe tali 
■ Premj ^quiacaù «ci*l iva raro* iogegii<» 
Pria n^ la«ci4» lol pei bctsrKfte appisnoi » 
Nesstia cxed'io., che di c»duco e frakt 
Corpo formato sia. Poiché. sft punk 
Dir debb*io ciò eh* io scoto > e ckft.dtl nro 
La venccfinèi niAcatà ricJMcde, 
Fa Dt(»> Dio fij. p«c certo > inclito Menualo « 
Qael, cht^ primo insega del vt«e( noais^ 
La regola ÌQfiiiUil|yc> e La dritta 
Noron» che Saféema or diUma il moid»; 
£ che kot a si. t(wlttde pmoatts 
di Tù$Lutf. Cmtù T. i/. A 



/ 



4 01 JlTO LUCJUZIO LlBs V. 

P^r le selve profonde , e pe*;gran monti i 
Luòghi y che io scinYargli è in poter nostro 
Ma se i' alena non è purgata e monda 
Dalle fallaci opinion del volgo , 
Venti cootrat) alUi tranquilla rita». 
Qaai guerre alloe > mal nostro grado » e c[ui 
Ne s* appxestan perigli ? £ quai pungenti 
Cure stracciano il petto a chi non frena 
Gli sfrenati appetiti ? £ quante , e quali 
Ne tormentano il cor vane paure» 
Che sorgon quindi? £ quali stragi e ^aati 
Generan la superbia» e Tafrogansa, 
L'odio 9 la fraude» là sozzura» il lusso » 
La gola, il sonno» e 1* oziose piume ^ 
Dunque colui» che debellò primiero 
Tali, e tante sciagure» e via cacciòlla 
Lungi da' nostri petti» e non con Tarmi, . 
Ma pus co'l Senna» un signnd'uómo adai 
CoBvefievol non Sa» che tra' celesti 
Numi t* ascriva» e che per Dio s' adori ? 
Massime nvendo de medesmi Dei 
Scritto divinamente » e delle cose 
Tuttt fvelata a noi l'occulta essenza i 
Di cuinitntr'io le sacre orme calcando 
Seguo Ip stile incominciato» e mostro 
Nelle parole mie 9 con qoai legami 
D'amicizia , e d* tmoc tutte le cose 



i>i f ITA luciiui^ Ltii. y. i 

Create sian dalla tiatura > e (|ttanto 

Star flt debbiano avvinte , e come iódatiio 

Procuraa di ^ifar dei tempo edace 

I decreti immutabifi ed eterni f 

Qua! deli* animo am'an prioeipalmente 

Già li provò , che di natia lostanza 

Creata e la natura > e cbe tìoa puoce 

Étcrnalìiente conservarsi intatta 9 

Ma the spesso ingannar loglioa gli Ipettri 

Le menti di cfat dotilìe > ttlor the paté 

Veder chi «lotte ih cenett converse s 

Nei resta il pt'eso metodo tDfl tira 

A doverti insegnar > che di menale 

Corpo e il mondo > e tfacivo , ed in filai modi 

n concorso degli atomi fondasse 

la terrai il cielo, il mar, le s^lle, «1 sole, 

£ il ^lobo deila lana , e ^aai viventi 

Nascati dai grembo deiranti&a madre, 

£ quali anco all'incontra in alcun tempo 

Nascer giammai àoa pomio , e come gii tfotiini 

Variando^ favèlta iacòRiinciassero 

l' un 1* altro iosieme a aynversaf pei meoteo 

t>e'nom\ ét\Ìt <tost, e com' entrasse 

li timor degfi' Dèi ne' petti nostri , 

Che sol quaggiù ^si beate t saflce 

Custodisce le sélve > i lagki , i templi 

Sairri a' Nomi immonali> e k'^iie , e gf idoli . 



€ DI Tiro LiJ[C&£zio Lia.y. 

Del sole inoltfc, e della luna il corso 
Dirotti > code proceda , e con ^ual forza 
Natura i moti loc tempri e governi ; 
Acciò tu forse non credessi , o Meihmio , 
Che tai cose per se libere e scio! ce 
Vadano ognor per lo^gran vano errando 
Spontaneamente infra la terra» e il cielo 
Per dar vita alle piante» al grano, all' < 
A gli uomini , alle fere ; e non pensassi 
Che nulla mai ne si raggiri incorno 
Per opra degli Pei . Poiché quantunque 
Già sappia alcun > che imperrurbabil sem 
£ tranquilla e sicura i santi. Numi 
Menan l'etade in ciel; se nondimeno 
Meraviglia jc .stupor T animo intanto 
or ingombra , onde ciò sia » che possan 
Genraarsi le cose > e specialmente 
Quelle» che sopra il capo altri vagheggi 
Ne* gran campi dell* Etra» ei nell' antiche 
Religion cade di novo, e piglia 
Per se stesso a se stesso aspri tiranni > 
Che il miser crede onnipotenti: ignaro 
Di ciò che puote » e che non puore al f 
Prodursi i e come finalment9e il tutto 
Ma poter limitato, e termin cerco. 

Nel resto» acciò eh* io noq ti tenga a bad 
Più fra taate proisesse ^ or via contemp 



DI Tito Luciuzio Li». V. 7 

Primieramente il .mar> la certa, e 11 cielo. 
La loro essenza triplicata > i loro 
Tre corpi , o Memmio , tre si yarie forme y 
Tre si fatte testure un giorno solo 
Dissolverai ne se mill'anni, e nille 
Si resse eterea, durerà, ma tutta 
La gran macchina eccelsa. al fin cadrà. 
l so .ben io, quanto impensata e nova 
Cosa , e stupenda é per parerti , o Memmio > 
La furarsi del mondo aita mina i 
E quanto il ciò provar con argumenti 
Sia difficile impresa: appunto come 
Succede, allor che inusitate e strane. 
Cose apporti all'orecchie , che negato 
T'é non per tanto il sottoporle al senso 
. Degli occhi , e delle mani, onde munita 
S'apre, il varco la fede, e può sicure 
Del cor guidarle, e della mente al tempio. 
Ma io pur la dirò: forse a* miei detti . . 
Per se medesmo intera fede il fatto 
Sforteratti a prestare forse vedrai 
L* ampia terra agitata orribilmente 
Squassars'in breve, e dissiparsi il tttto; 
Il che luDgt da noi volga fortuna, 
£ piuttosto iì mio dir , che il fatto stato 
N* induca a confessar , che" debbe al fine 
Dagli vii deiretà percosso e vinto 

A4 



< 



CMi orrendo fragor oadeit tI ^ttKmte • 
Del che pria eh' io gli oraceli focaci 
'M»dà « ayete moke pia Nàtiti e ttvA 
Dì quei , <ÌC 'è hm^ , che dd «acro Udito 
DI FebH) « dalle Pitie timpie coitine 
Uscisser gii» se tìo'i ricbsi > io Vo^ìè 
Porgerci 'n brevi si, ina t>br6 «aggi 
Detti U9 lungo conforto; accioicché fólEie 
Dalla Religioh eeiiutò a frenò 
A creder no ti dia , che il cielo, e M itoare. 
La luba) il sole, il tertieti gloho> « tutte 
L'auree srelle TagAtiti, e gli àslti-^tadbilì 
Abbian corpo immortal safnco e idiviiM it 
£ che giusto però sta , che eok)io , 
Che ^1 mondo atterrar he mura eccelse 
Co' gli argomenti lor bramano, e tanti» 
Osan, che fin d'ApoSlo i rai lucenti 
SftMtaar yorriarto , ed oscurar notane 
Con motta! lingua gì' Imànortali e Divi » 
Qiial noti ai ciel nemici empj Giganti > 
Del temerarie ardir paghino il fio . 

Ma radao por si fotte cose in batfdo 
Dalla divina Maestà si lungi, 
£ si scinfki si vili-» e tanto Indeglrts 
D'ener àscAritte Jh£ra gli etemi Dti, 
Che piuttowo dagli uomini credaCé 

.&m di «010 TfCil iprite i tèi ifM^. 



PoscJKthé ragiònfct^lr^jfr certo 
Non teoifera l'ifièrmUìr) the dtìh ttebiJÉ 
La natura » t «I consiglio ttbir ti ftìssà 
A ^aaloBqoè totcUfias in qMU stttsM 
Guisa > che pef lo elei naiete ilt [HaAtt 
Non'ponbo» o dfftcìte «1 mar torgf» le nubi» 
Ké spirto', e. rhtL krtì: He'diinpi 1 ]p^€Ì> 
Né Sa legno spitclat ttfkào «angue 9 
Né tnai locco «tillàt ^a ^itti^ alp(bt ^ 
Certo , ed accokieio è per nàtala it hiogift , 
0?e crcfcan Je cose, ove abbUn Tita. 
Cosi dujnqae pet le l'àltfia , e 4a^ metite 
Senza còrpo gianìlkai nàscer Wóa pitore: 
Ne dal sangue Vagar lungi, e da- netti , 
Poiché se ciò potesse, «Ha potrebbe 
Molto ]^ fkcilmeiìtè ò àella testa 
Vifere , o nelle spalle , o nte* calcagni , 
£ nascee anche in qBalsiroglia parte 
Del corpòi e finafmente abitar sempit 
Neirùbìik> stesso , e Wiri)it;psso alb(?r|o. 
Onde , poiché p^fisto i còrpi nostri 
Han da iatura , ed ofdinati^ii iaogò. 
Ove difitlntamentè è nasca, è cresca 
La natura éeH' animò, e dell' aniiàa^ 
Tante mcà 'ragtonerofe ìittmafti 
Dcty ch'ella j^Mla- separava aflfatcé 
Dal còtgò, e di«a fbWfc d' tòiiknd^; 



IO ìfi Turo Lveuzió Lis* V.l 

Nascer giammai, ne mamenersi : in ▼itif "2 
O del 9oi nelle fiamme, o della terra 
Nelle putride aoUe; ò ne* sublimi 
Campi deirbcrai o net |iir9^foodo\bi$so 
Del mar . Dan<}ue . se d* anima » è di tìul 
Son prive affatto cfneste cose > or come 
Goder ppnno immortai seaso^ e dÌTÌno> 

Né men creder si dee, che io alcun luogo 
Del mondo aver possan gli Dei. le sante 
Lor sedi $ conciossiadiè la sottile 
Forma de* Numi eterni è sì remota 
Da tutti i nostri sensi , ebe la sola 
Mente v'aggiunge co'l pepsiero appena: 
£ perck* ella ogni tatto, ogni percossa 
Schiva dell' altrui man , toccar non dee 
Nulla, che al catto altrui sia sottoposto; 
Che chi. tocco non è , toccar lion puoter 
Sicché d*uopo fia pur, che assai di£S>rmi 
Sian dalle nostre d'egli Dei le sedi, 
£ tenui , e aVcorpi lor simili 'n tutta s 
Siccome altrove io pro^ecotti a lungo . 

21 dir poi, che gli Dei per util nostro 
Vollero il mondo fabbricare, e ch'egli 
Com*opra commendabile e divina 
Da noi per ciò dee commendarsi e credersi 
Eterno, ed immortale, e eh* empio e folle 
Quinci sia chi presuma, o ìq. fatti > o in de 



w Tito J.uc&izio {.ts. V^ li 

Dal sue seggio sturbarlo, e fi» dall'imo 
Scuoterlo , e volger sottosopra il tutto : 
Il finger, dico» queste cose^ ed altre 
Moire a lor somrglianti, é> s*io noo erco> 
Un'espressa pazzia. Poiché \ual utile 
Puà mai la nostra grazia a gì' immortali j 
£ beati apportar , che a mover gli abbia 
Ad Oprar cos' alcuna a prò degli uomini? 
£ qua! mai novità tanto allettargli 
Poteo , che dopo una sì lunga quiete 
Da lor goduta per l'rnnanù» il primo . 
Sraco bramasser di cangiare in meglio? . 
Conciossiaché piacer le cose nuove 
Debbon solo a colui» che dall* antiche 
Ha qualche danno . Ma chi visse innanzi 
Sempre lieto t contento» e mai soggetto 
A travagli non fu , come ? e da cui ? 
Quando? e perché d*una tal brama acceso 
Esser poteo ? Forse , mi credo , allora 
In tenebre la vita, ed in tristezza 
Giacque, in fio che la prima delle cose 
Origine rifluì se . £ quale avrebbe 
Dato all'ttom oocumenro H mai non ess^ 
Uscito a respirar i* aure vitali ? 
Posclaché bea conviensi a ognun i che na^ce 
Il procurar di. conservarsi *a vita» . 
Finché gioje cd^etti iotbtiaA 1' aliB^i 



iX Bl YlT^ tfJClt»«IO t*t. V.' 

Ma chi ma! noti pt^d (!«1 vittt ftòstKi 
L'amor, n^ fu del nameròy ^al danno 
Del non esser creato imquk «ver piiott^ 
In oltre onde impiantate a* Nomi ècetni 
fur r idee, far gli e^enipj , ond*essì*n ptimtf 
Tolser ciò che d'oprare cbHxt talento? 
£ come un^ua saper de* primi còrpi 
Potetter l'energia? coinè Tedere» 
Quanto essi in variando otdine e $!ta 
Fosse r atti a ^odur , st dalla stessa 
Natura co'l produr, ior non fb dato 
Vero indizio di ciò? Poiché in tal gufisi 
Fur delle cose molti semf in molti 
Modi percossi eternamente e spinti s 
£ da' propr} lor pesi ebbero in torte 
D'esser cacciati e trasportati in Tarìer 
Parti dcH'imiferfo , ed accozzani 
Fra loro in ogni guisa , e di tentare 
Tutto ciò che formar poteano, in mbdo^ 
Che per Ido^' ammirabile additarsi 
Non dee, se in tai di)positui« al fine 
Caddero, e in tali Vie, quali or bastanti 
tem> a ptoddt rìnòreHando il tatto . 
Ohe se pur delle cose i|;non afiaho 
"Mi fosseto i principe > io non {trtascò 
Ardirei rafletfoiar sicttrtmtate 
Ptor ifidMft t mìtt canlb ^ t pdr gl'istts^i 



1^9 Tao IfìCKiuorl^v^ V. i| 

Movimenti del citi » tsJifi 1* mÙTerto , 

eh' è caoto 4i{etc«is#» cssci hqq puete 

Per atil Ao^cr^ ékgìi Dei ciotto. 

£ pila» qivmco dot ciel. copte, e ctrcodU 

La Toliibiie forza > JùudÀ in graa pa(c« 

£ da noDii eccufiaio^ e. da. ix>soagUf i 

Nidi di fiere» « d'.axttaui ^Waggi» . 

£ da capi crascese > e da paludi 

Vaste iogombcata, e. da pfofondi abmt , . 

Di «ar, che iargameiuc. apre, o diigia!9g9 

I confia della terra. Iad;i Vaidenta 

Zona» e la fredda V miseri mortali 

Tolte haQ^itait due parU. Qr^ueU duiIBSta, 

Di spine» e teoaelii» e triboli caperci» 

Già fora» se deiruom flou 1* impedisse 

L* industria a: geaei pc£ la visa arvespia . 

CoD gagliardo bidenie» e.ooB adtiaeo 

Aratro a lendfie della terra ik dors^. 

Che se iralgeado k feconde aoUo 

Co *1 Tomere sossopsa^.c il suolo acaa4p 

£ertll aon si rei»desae> il gran» b biaie 

Mai. pei: se OSMI potiiafio all'aure «aoIU 

Sorgere: fl Boodimea.eoiche soTeoca 

Con tratagUo; e fatica « aiior che I4t(i 

Già di famè|> t di fisv a'orna^a t eaai|it 

O da' tal trappo xaUB.. arsa, del aala 

Sona , o da piioggia i fft i Mina «ffCfMfra 



14 DI Tiro lucABzro tiii. V/ 

O da gelida brina intempcstira 

Anctse , o* dal soffiar d' Austro > e di Cord 

Con urto impetuoso a terra sparse. 

In oltre» ed a qoal £a nutre, e fecónda 
. Natura delle belve in mare» e in terra 
li germe orrendo all'uman germe infesto ^ 
£ perchè le stagion Tarie dell' anno 
N* adducon canti morbi ì E perché vaga 
Immatura la morte ? Arrogi a questo» 
ette un misero fanciul i ^nasi dall' onde 
Vomitato nocfthier» nudo» ed infante 
Giace su 'I terren dura» e d' ogni^ ajuro 
Vitale ha d'uopo, allora che a* rai del giornor 
Fuor dell'alvo materno esponk» ìa prima 
Con acerbo dolor Natura;' e i( tutto 
Di fugubri vagiti empie» e di pianto:' 
Quale appunto conviensi a chi pel breve 
Corso di nostra vita esser dee segno 
Ad ogni strat delle sventure umane. 

Ma )ittfcono all'incontro armenti , e greggi y 
E ftrt d'ogni sorte , e non han d'uopo 
Di cembali y di tresche , e di nutrice > 
Che con dolce e piacevole loquela 
^«nza punto staaearsr in varj.modi 

^j gli alletti^ e gli iuiingfar ; 
"Se vaiio è il tempo» e il ccelo', 
iWKi. finalmcBce 




9t Tito Locftl^io Uè. V. iS 

Npn Iiaii d* armi mestier > non, d* alte mura» 
Con le quat se medesmi > e ior sostanze 
Guardin; mentre per se porge faconda ' 

* Largamente . la terra , e delle cose 

La Dedalea Natura il tutto a, tutti. 
Pria, perchè il terren.duro, e 1' acqme moliti 
Deirtùre i lievi spirti > e- il vapor caldo» 
Dalla cui- mistipn sembra, che il tutto 
Si fòrmi > ad un ad un nativo il corpo 
Hanno , e mortai creder si dee , che il mondo 
Sia tutto anch' ei d^l la natura stessa: 
Poiché qualunque cosa ad una ad una 
Ì.e sue parti ha native, ed e di forme 
Caduche , esser, da noi sempre si vede 
Natia non pur , ma sottoposta a morte i 
Onde reggendo noi le principali 
Membra del mondo riprodursi estinte , 
Quindi lice imparar , che in somigliante . 
Guisa il cirio , e la terra ebbero il prloio 
Gìotoo » e che a tempo .suo 1' estremo avranno « 

M qui vorrei , che tu credessi , o Memmio > 
Ch'io fin or corruttibUe supposu 
Abbia^ fuor, di ragion lajcerra, e il foco,- 
£ r aure aeree > e il mar profondo.) e detto ^ 
Che questi stessi .corpi anche di novo 
Si lìgeoeran tutti, e si fan grandi; 
Pritt, perchè parse dfUa terra adusu 



jS 91 'nto £oeiit2t» LlB V. ! 

• ì 

Dal^ fof oootlnao , o t»:i colata e inftihtft j 

Da 11« fensa dei* pie > tbmsL di pòÌTe> i 

Nebbie, e oubi /foUnti'^ che per mt«Q 

L'aer da'v«titi soa disperae e apatie: 

Parte aoeor dtfile glebe a lorza é datt ' 

Dalle piofrgv aihi piena» e tase e rose 

San da* fiumi le rive aacb'esse ia parte. 

Io oltre > sminuito è dai suo canto 

Ciò eh* altri nutre: e perchè dobbi» alcao^ ^ 

Mon T'hajchc sia madre del rutto, ed< ama ; 

Anche ^ e avpbicto uoirertal del tutto > 

Rosa è dunque k terra »^ si rìntègra. 

Nel resto, che i torrenti, t fiumi, e ii tn%xt 
Abbondin sempf« d'umor noro, e aenspr» 
Stiilifl chiaro liquor le vive fonti , 
Mescier non ha d'alcuna prova: appietté 
Certanoente il dimostra ti lunga corso 
Dell'acque. 1 pria, ciò clia dall' acque in aitò 
Ergesi, e brevemente, opta, che nvlla 
Cresca il liquido amor piò' che non de^tt 
Parte, perche da' venti ^ alioi ch« irati 

- Volgon soisopra il mar» per Faure è ^axso» 
E dal sai dissipacoi e pane aiocora» 
FercVegti a tatt'i sotterranei chiostri 

- Yieo largamente compartito i e faivi 
Lascia il saUif^ veleno, e di novo^ aneht 
Sorge in piò luoghi >t mxq ii fift.s'aduia 



1^ 



in T<^a Incitano I*ib. V. 17 

De* fittili al OfOy e la bella schiera» e dolce 
Scorre «^ra il terren per quella stessa 
VÌA> che per se medescna aprirsi 'n prima 
Foceo <;o.'l molle pie Tonda stillaate. 
Pr dell* aria dich'io, che in tatto il corpo 
looumerabilmente ognor si muta: 
Boiché ciò che dai mare , e dalle cose 
. Terrestri esala » entro il profiondo , e vasto 
Pelago aereo se ne vola, è tatto 
si cangia in aria . Or se da questa i corpi 
Noo fossero ali' incoqtro alle spiranti 
Cose restituiti 1 il tutto ornai 
Saria disfatto» e trasmuuto in aere. 
Dopqae r aer giammai dr generarsi 
D'altre cose non cessa > e in altre cose 
Giornalmente corromperai. Che rotte 
Mancar > già noto e manifesto è a tutti. 
Ma de* liquidi raggi il largo JPonre 
Di recente candor . mai i^mpre irriga 
Le stellc>.e l'Etra, e.. gli elementi, e ratto 
Ministra al elei con novo lume lì lume : 
Poiché ciò che di lume ,. ovunque il vibri > 
£i pecda^ iodi imparar perfettamente 
Si può d^ noi , che non si tosto al sole. 
Veggiam le nubi soctentrare , e tutti 
Quasi interromp^t di sua loce i rai , , . 
Che recente di. 1q<;., svanisce af&ttq 
HThàLHer.CìiriT.iu B 



tS m Tito Ivckezio Lia. V« 

l' infima pdrte ^ e il terrea globo adombrui > 
OTunc[tie i fosdii nembi il volo indriziaao. 
Oode conoscer puoi» che sempre il laicto 
D'uopo ba di splendor novo»' e che- perisce 
Ciò che pria di fulgor sì sparse incorno: 
E che per altra via vedersi i corpi 
Non potrebbero al sol , s egli '1 principio 
D' un perpetuo fulgor non ministrasse . 
Anzi i lami terrestri al bujo accesi > 
Le pendenti lucerne » e le corusche 
Di fumante splendor pingui facel/e 
Anch'esse ardendo io cotal guisa «vacciaosi 
Di sparger nova luce , ed instan sempre 
Di scintillar con tremule iìaroraelle : 
Instano , e luoga alcun quasi interrotto 
Non lascia il lume lor : con si gran fretta 
De' suoi lucidi rai l'alta rulna 
Co '1 veloce nacal sostiene il fòco ; 

Il sol dunc[ue così » la Juna > e tutte 
L'auree immobili stelle, e le vaganti 
Creder dei, che per altro ognora , ed altfo 
Successivo fiatai vibrino intorno 
Il lume» e perdan la primiera fiamma. 
D'uopo è pur dunque il confessar» die queste 
Cose, eom' altri pensa , esser non.ponno 
Di corpo irresolubile» ed eternò. 

In somma dall' «cade il bronzo, il marmo 



X 



in Tiro Lucjts2io Lui. Y. 1 9 

Vìnto al fin aoa si mira ? £ 1* aite rocche 
Non rovìnaaa a terra ? £ il darò sasso ^ 
Non è roso>;& marclsce?.£ l'are , e i tempU 
Ne' Numi eterai , e i stmoiaerl > e gt' Idoli 
Non vacilla» già lassi > .e d'ogo' intorno 
Mostrano aperto il travagliato fianco .' 
Né può la santa Maestà del Fato 
Debellare i coofin > ne fars' incontra 
Di natura alle leggL, e violarle. 
Al fin non veg^am noi- d'ogni uomo illustre 
Ceder 1* alte memorie , ed inTeccbiarsi 

s Per snbito accidente? e le robuste. 
Selci^ da' monti alpestri anche alle volte 
Staccarsi > e rovinar , he d' un finito 
Tempo soffirir le smisurate forze ì 
Conclossiachè staccarsi , e in già repente 
Non potrebber cader, se dell' etade 
Fin da tempo infinito ogni ureo.» ogo* impeto 
Privi d'ogni fragpr sofferto avessero • 

Al fin mira oggimai ciò che d'intorno 

N* è sopra > « il terren globo abbraccia e sttiogei 
£ com' altri han creduto > eternamente 
Sol di se pasce, e in se riceve il tutto. 
Tutto è nativo, e di mortai sostanza .. ' 
Formato : conciossiàchè ciò che -nutre • 

Di se le cose> « l' augumefìta , é d'uopo 1 
B a 



10 DI Tito Lucrezio Lib. V. 

Che scemi 5 quando poscia in se ticevcle ;. 
È mescicr , che s* accresca , e si lìstauri . 
In oltre, se la terra , e li ciel non ebbero 
Alcun principio genitale,, e sempre 
Perpetui' furo ; e per quaL causa innanzi 
Alla guerra Tebana , e d' Ilio al rogo 
Non cantaro altre cose altri Poeti? . 
Ove di tanti uomini iliuìscri, q tanti 
Cadder le gesta gloriose , e come 
Non fioriscon anc'oggi in luogo alcuno 
Di fama eterna alle memorie Inserte ? 
Ma siccome tfim*io, nova è la «omma ■ 

Del tutto, e noYo il mondo, e inolto innanzi 
Non ebbe il nascimento : onde alcunt arti 
Inyentansi anche adesso, ed anche adesso 
Polisìconsi alcune altre: ^ot molti arnesi 
Furo aggiunti alle navi : or messi in uso 
I sonori concetti. £ finalmente 
Questa scessa cagione, e questa stessa 
Natura delle cose, ancorché molto 
Sia, che già fu ttoraca, ornai ^el tutto 
\ Quasi sepolta in sempiterno obblio; 
Pur di fresco è risorta, e viepiiì vaga, 
£ più beile , che mai , per le immortali 
Opre dei gran Gassendo . onore , e lume 
Del bel paese, ove la Senna inonda. 
£d io pur or ptincipalmente » io stesso 



DI 



Tito LucHezÌo Lib. V. ti 



Fui trovato fra tanti> ed ebbi in sorte 
D'esporla altrui nella materóa lingua 
Pria d'ogni altro ToscaQ> come dcttolla 
Per entro a' dotti suoi carmi robusti 
Pria d'ogni altro Romano il gran Lucrezio 

Che se fórse tu credi essere' innanzi 
State più volte le medesme cose, 
Che al presente ci son * ma che 1' umana 
Specie da grave incendio arsa perisse , 
£ ruinasse ogni città s<]^uassau 
Dal crudel terremoto, o troppo gonf^ 
Per pioggia- assidua del natio lor Ietto 
Uscissero i torrenti > e d'ogn' intorno 
Sommergesser la terra >. ed affogassero 
Ogni uòmo, ogni animali tanto più vlhto 
Te forza confessar, che debbe al fine 
La terra, e il del pur dissiparsi in tutto: 
eh' ove da tali , e tanti morbi , e tanti 
£ si fatti perigli il mondo fosse 
Tentato , ivi eziandio , se causa alcuna . 
Più robusta l'urtasse-, alte ruine 
Mosrrerla di se stesso, e strage orrenda; 
Né per akra cagion d'esser mortali 
Pur ne sovvien , se non perché soggetti 
Siam tutti a' mali stessi , onde nat^ira 
Già tolse ad un ad un gli altri di vita. 

h oltre tutto quel, che dura eterno, 

fi } 



i-X ^DT Tifo LUCREZXO LlB. V, 

Conviene, che respìnga ogni percossa 

Per esser d'infrangibile sosran2;a , 

Né sofFra mai, che lo penetri alcuna 

Cosa , che disunir possa l' interne 

Sue parti (qual bella materia appunto 

Gli atomi son. , la cui natura innau2Ì 

€ià per noi s*c dimostra) o che immortale 

Viva; perché dagli urti affatto esente 

Sia, come il vuoto, il qual durando iotatto 

Mai non soggiace alle' percosse un pelo» 

O perché intorno a lui nessuno spazio 

Non sia, dove partirsi, e dissiparsi 

Possa, come h somma delle somme 

Fuor di se i>on ha luogo, ore rifug<^a 

Ne corpo, che l'intoppi , o con profonda 

piaga, rancida, e però vive eterna.^ 

Ma né, come insegnammo, esser contesto 

Il mondo può d* impenetrabil corpo $ 

Né misto- è, sempre infra le cose il vuoto ^ 

Né però, come il vuoto, intatto vive: 

Poiché corpi non mancano , che sorci 

Dall'infinito, ed agitati a caso 

Possan cozzar con violento turbine 

Questa somma di cose, ed atterrarla, 

O farne io altri modi orrido scempio i 

Né del ìttogo 1* essenza , o delio spazio 

Profondo 'manca; ove distrarsi, e spargersi 



Il^moòdb possa, o petalo yano immensa 
Splaco da,(][ualiio)ue alerà esterna forza 
fiflaimetue perir. Dunque ialla terra» 
i^i mare, al cielo, al sol loai del feretro 
Non è chiusa la porta» anzi all'incontro 
Sta sempre aperta , e con profonda , e. rasta 
Cola minaccia d' 1oghiottir$i '1 tutto. 
Sicché d'uopo £a pur, che tu confessi. 
Ch'egli ancora è natio ; poiché mortale 
Essendo non avrebbe ornai potuto 
Schermir d'immensa ^eta gli urti, e la pona , 
Al fin, poiché fra ior redi le membra 
Principali del mondo in cosi fatu 
Guisa pugnar con empia órribU guerra. 
Forza è pur , che tu dica : una battaglia 
Si lunga arer dee qualche fine, o quando 
Del soie, il foco , o quaiunqu' aUto ardente 
Vapor succhiando, e dissipando affatto 
U nutritivo umor vittoria avrannet . 
Il che ht tutta?ia tentai ma pare 
Non han per anco i siioi gran s^Fotzi cfFectts 
Tanto i fiumi d'umor vanno all' incontro, i 
Compattendp alle cos<^>. e dal pia cupo 
Gorgo minacciao d* anhegare il tutto i 
In van , posc^hé. i venti , alior che iati 
Spauaa soffiando , il mar , scemano in j^tto 
L'acquei, e l'eiteifoisot co"^ raggi aqch'egll 
« 4 



14 Di'Tirb LtjcRWiJo Lii. v: 

Le scema in parte, e le dispefde ia' 'aura; ? 

£ pria tutte le cose arder confida, 

Che possa uoqua i' umor gjaagere al fioie I ' 

Bramato dell'impresa; in cosi fatta ^ 

Guisa fan tuttavia con posse uguali 

Tra lor cruda battaglia, e di gran cose i 

MoYon gran lite i e per finirla , a gara 

Opran ogni ior forza, avendo il foco 

Vinto una volta e dominato il mondo , 

Come fama ragiona , e *1 1 liquor molle 

Regnato nn* altra pe '1 contrario, e tuttp 

Sommerso il grembo dell' anqca madre: 

Che vinse il foco , e molte cose allora 

Ardendo inceneri j eh' Eto , e Plroo , 

Di strada usciti il temerario Auriga 

Mal frenati da lui per ogni clima 

Della terra , e del ciel trassero a forza ^ . 

Ma qtfel , che tutto può , padre e signore 

D' ira infiammato allor , con violento 

E repentino fulmine gcittollo 

Dal cocchio in terra > e il: sol £act6S*in^oiitrd 

AI cadente garzon tosto riprese 

La grati lampa del mondo, e ricongiunse 

I dispersi cavalli, e per l' osato 

Calle gli spinse ancor lassi e tremanti . 

Quindi reggendo in suo viaggiof il tutto 

Pòrse alle ^ose il debito riicoroi ^ 



x>i Tito Lucrezio Lia. V. if 

Qaal «le* Greci Poeti ancicameote 
Cantar l'inclite trombe in ciò bugiarde^ 
Poicliè vincer può il foco, ove più corpi 
Della materia sua dall'infinito 
Sorci assalgon rumor; quindi o le ^orze 
Dal lor contrario rintuzzate > e dome 
Caggiono, o dall' ardenti aure abbruciate 
Muojon le cose . £ similmente è fama , 
Che UQ tempo anche l'umor fosse a vicenda^ 
Dominatore 9 allor che i fiumi uscendo 
laor dell'alveo natio molte sommersero 
Ampie terre, e citti,* ma poi ch'Indietro 
Il nemico vigor dall' infinito 
Sotto > per qualche causa il pie ritrasse, 
¥at le pioggie afFrenate , e in un represso 
L'orgojglio> e il corso impetuoso a fiumi. 
Ma io come degli 'atomi il concorso 

Fondasse il cielo, il terren globo, il mare, 
' La luna , t il sol , raccon cerotti , o Memmio ^ 
Che certo é ben, che i genitali corpi 
Ab sagace consiglio, e scaltramente 
Non s'allogar per ordine, né certo 
Sq^pe nessun di lor, che moti ei desse. 
Ma perohd mohi primi semi in molti 
Modi fuc già per infinito tempo 
Da colpi ionumerabili percossi , 
t da propr) lor pesi ebbero in sone 



x^ »1 Tito LucREeio: Li*. V. : 

D* esser ' commossi > e craspoicatt ia f arie * 
Parti deiruniwso, ed accozzarsi 
£ra loro io. ogni gaisa , « di tentare 
Tuito ciò che produr poteao congianti » 
Quindi avvieo poi, cbe dissipati e sparti 
Per lo vano infinito , ed ogni sorte 
Di moto, e d'union provando» al fine 
Più s* adattano insieme , e non si fi)sto . , 
Adattati si sun, che di gran cose 
Divengon semi, ed a produr son atti. 
La terra , il mare > gli aoifnali > e il eieio . 
Qui aé deli' aareo sol pocea mirarsi 
Il cocchio luminoso errar per Talto, 
Né stelle , o mare , o cid } oè finalmente 
Vedersi ariat, uè terra » o cosa alcuna / 

Somigliante alle nostre: indi una certa 
Nora tempesta insorse , ed una massa 
D* atomi y che svanir fé' dello spazio 
Le parti, ed a congioogersi ì prìncipi 
Simili incominciaro > e ad apparire 
11 mondo, e le sue inembjca» e le sue parti 
Disgiungere 9 ordinarle, e d'ogni sorte 
Di priflcipj arricchirle., i cui concorsi 
Gli spazj , i pesi , le percosse , i moti , 
Le tic, gli (accozzamenti alta discordia 
Turbava» e vi mescea risse e battaglie 
Per le varie figure^ e per le fora^ 



SI Tira Lucrezio Lib. V. i^ . 

fTortoi; onde* testar «utte in tal guisa 

mgiance non potean, né companitsi 

>nveneyoli moti. Or questo, o Memmiot 

separar 4^1 terren gIolx> il cielo, 

far, che d' acque superate abbondi 

sgiunro il mare ; e similmente i putì 

:hi deli* Etra ardan divìsi anch'essi . 

rciachè della letta 1 genitali 

rpi , percbVetan gravi , e i* un con 1* afferò 

te' in pia modi avviluppati I univansi 

nileramefìte, e tìclipìà basso centro - ■ 

rndean ior sedi, e quanto pid connessi 

iieme s'adunar, tànrò pid lungi 

tesser quei,. che produrre il mar , le stelle 

>veano> il sole, e della luna il corno 

icido, e le uìuraglie alte del mondo. 

mciossiachè tai còse e dì più lisci 

>rpi son fatte, e di p'ui tondi <e piccoli 

orni , che la terra ; e quiiidi accade , 

le l'Eira in pria per lo suo raro UKeodo 

^tuosamentc, e molte seco 

imme traendo sormontò leggiero t 

lale appunto vegglam, quando per l'orbe 

. rugiada ingemmate il mattatìno 

iteo lame del sol d'ostro si tinge, ' ' 

li stagni, 1 laghi esalar nebbia» e ì fiumi 

rrenai, e il terrea molle anche talvoka^ 



"ti DI Tito Lucrezio Lirf. V^, 

famar si mira. Or poi eh' ìq alto ascesi 
S'uniscon questi corpi, e in un sol gruppo 
Compressi intorno da rabbiosi Tenti 
Corrono ad accozzarsi , il eie! sereno 
Copron di nubi . In cotal guisa adunque 
Il lieve Etere, alìor che per natura 
D' ogn' intorno si sparge, in una massa 
Sola ridotto circondò se stesso- 
Da tutti i lati , e largamente sparso 
Per io vano infinito intorno chiuse 
Di folta siepe , e d* alte mura il resto. 
Della luna, e del sol quindi i principj 
Seguir, che ne la terra attribuirsi 
Poteò, ne il vasto cicli poiché ne gravi 
.Iran si, che depressi, e da'ldr proprj 
Pesi spinti all'in già nel basso centro 
Fosser atti a seder ; né lievi in guisa , 
Che scorrer per l'altissime campagne 
Fotesser; ma ft:a T Etra , e il nostro globo 
Ebber tal sito, che girar due corpi 
Ponno , e di tutto il mondo esser gran parte : 
Qual nell'uomo eziandio lice ad alcune 
Mettibra ferme posar, bench* altre , ed altre 
Sian mai sempre agitate. Or queste adun€[ae 
Cose accolte in se stesse in nn baleno 
la terra , ov* or dell' ocean profondo 
Volto è il clima maggior , cadd^ depressa > 



DI Tito Loc&szio Lib. V. pg.. 

£ foralo del suo grembo ampia cayeraa 
Nel salso gòrgo i e q;uanco più dall' Etra » 
£ da'.raggi del sol di giorno in giorao 
Verso gli estremi limitari aperta, 
Sovra > e da tacci i Iati era compressa, 
'£ coQ urti continui a condensarsi 
Forzata, ed a restringersi, ed unirsi 
Nel centro suo; tanto più ^presso il salso 
Sudore asciane, e dilatato i molli 
Campi intorno accrescea del mare ondoso , 
£ dell* aria i principj , e del vapore 
Tanto più «l'esalavano, e volando 
Lungi da terra, i chiari eccelsi templi 
Condensavan del ciel . Scendeano intanto 
I can^i , e s' appianavano , e degli alti 
Monti r erto sài ia , che i duri sassi 
Non poteano abbassarsi, ed egualmente 
Goder tutte le parti . In cotal guisa 
Dunque formato di concreto corpo 
fa della terra il pondo , e quasi un fango 
Di tutto il resto sdrucciolò nell'imo 
Centro, e qual feccia si fermò nel fondo: 
Qnlndi '1 mar , quindi l'aere , ^ l'Etra ignifero 
Restar liquidi e puri , e l* un dell' altro 
Più leve, e liquidissimo e purissimo 
L' Ecere leggerissimo ali '^eree 
Aure sovrasta. E benchc queste all'Etere 



fa ót Tito Lucrezio Lix. V* 

Turbcno il molle corpo y ei Don per taaio* • 
Con lor non si xiroescoia , ma' lascia 
Che tocre queste cose ognor s'a?Tolgana • 
Tra violenù turbini, e permette > 
Ch'elle siaQ da procelle incette e varie 
Sempre agitate. Egli però con certa 
Impeto,,! fochi suoi move scorrendo • 
Che volgersi con ordine , ed avere 
L'Etere una sol forza, aperto il mostra 
Un sì vast' oceani che parte, e torna 
Certo nel tnotOt e un sol tenor conserva.^ 
Or cantiamo, onde i moti abbian k- stelle. ". 
Pria, se l'ampio del ciel orbe s'aggira. 
Creder si dee , che quinci e quindi il poli> 
Sia dall'aria compresso, e d* ambi i lati 
Di fuor chiuso e ristretto. Indi che un altra 
Aer sopra ne scorra, e il corso indrizzi 
Là 've del mondo eterno a volger s* hanno 
Le stelle ardenti > e che dt sotto un altro 
Erga al contrario il ciel: come talora 
Miri i fiumi aggiirar le ruote, e i plaustri. 
ISotsc iaimabile è l'orbe» ancorché tutti 
Siaa mossi i chiari segni, o perché d'Eteite 
Rapidi ond^giamenti ivi racchiusi , 
Strada cercando , son portati in volta , 
E per gli ampj del ciel templi sublimi 
Si rivotgon pej; tutto ignee procelle ^ 



\ " . 

[ pttt soorre d* aitronde ; e\per di fuori 
j, L'aer lia qualche paice agita e mesce. 
\ Gli cter«i^chi: o ch'essi stessi pooiio 
\ Serper là, 've gli chiama > ove gì' lavica 
D' ognuno il .pro{u:io cibo ; e mentre a volo 
Se ne vaa per lo eitlo y esca > e ristoro 

* Porgono a' vasti ior corpi fiammanti i - 
Posciach^ r asserir » qual delle addotte 
Cause sia vera in questo nostro mondo 
1k diffìcile impresa . A me sol basta 

Il dir ciò eh' esser pooce , e che succede 

* Per l'universo in varj mondi in varie. .. 
Guise creati, e delle stelle a i moti 
Piacemi l'assegnar varie cagioni*. 

Che possibili si^n per l' universo > 
Delle ^ai non per tan^o una esser debbe 
(^Ua 9 eh' a gli aurei segni i movimenti 
Porga .Ma 1' affermar, qual sia dr queste». 
Opra non è di chi cammina ai bujo. 
Acciò poi che la terra entro il pid cupo 
Cèntro stia ferma , è- di mestier y che sfumi 
li pondo , e manchi a poco a poco,» e sotto 
4U>bia un'altra natura a se congiunta :' ' 
fin da principio » e strettamente unica : 
Con le molli dd mondo aere^ parti , 
Alle quai vive inserta^- t opinai all' aure 
Non è di peso > « aon le preme > e ca^ca ^ 



51 j>i Tito Lucrezio Lial V^ . 

Come pulì* aggravar posson le membra. V 
Proprie atcua uom » né d* alcun pondo al collo 
Esser la resta ; e qaal ne' piedi al fine 
Nessun peso del corpo unqua non senti. 
Ma <}ualunc[ue altra mole esternamente 
Posta sopra di noi, benché di peso : 

Di gran lunga minor » spesso n' offende : 
Tanto importa qual cojsa , e a cui s* appo^ . 
Còsi dunque la terra incontinente 
Trasportata non fu quasi aliena 
D'altronde, né d* altronde all' aure imposti^ 
Aliene da lei ; ma già con esse 
Nacque fin dall'origine primiera 
Del mondo» e qual di noi pajon le membra 
È d* esso una tal parte . Accade in oltre 
eh' ella da grave tuon scossa repente , 
Tutto ciò eh' eli' ha sopra > agita e scuote ; 
Il che far non potria> se circondata 
Non fosse d'ogn* intorno, e dell'aeree 
Aure , e dall' ampio ciel . Poiché comuni 
Fin da principio lian le radici , e stanno 
Fra lor tai colpi acconciamente uniti . 
Forse non vedi ancbr , quanto gran pondo « 
Di corpo in tutti noi regga a sua voglia . 
Il vigor tenuissiqio dell' alma > 
Sol perch'ella é con lui si acconciamente 
Unita? £ qua! vircude ergere il corpo 



DI Tito Lucrezio Lib. V, 33 ] 

Da terrà, ed avvezzarlo agile e pronto 
.Al ^alto > al nuoto , alla palestra > e al corso 
Itnaimente pptria , fuorché deli' alma 
Il debile vigor, che il frena e regger 
Vedi' tu dunque ornai , quanto possente 
Kiesca un tenue corpo, allorch' unito 
Vieoe'ad un grave; in quella guisa appunto i 
Che son l'aure alla terra, e l'alma all' uomo. 
Ne maggiore , o minor molto è del SQÌt 
L'orbe , e V ardor, di quel cfie pare al senso: 
Che sia pur', quanto vuoi, lungo lo spazio. 
Onde luce , e calòr vibrano i fochi j 
]^i però nulla toglie, e nulla rade 
I>al corpo delle fiamme, e . nuli' affatto 
Stringer sì mira , o raccorciarsi '1 foco . 
Qurndl perché del sol la fiamma, e il lume 
Lanciato arriva a*^ nosui sensi , e puote 
Tutta del suo tolor tinger la terra. 
Dee da terra il suo globo anco apparirne 
Tal, che veracemente alcun non possa 
Crescerlo , o sminuirlo . Anco la luna , 
O con luce non sua vaghi e passeggi 
Dell* Etra i campi , o per se stessa il lume 
Vibri , checche ne sìa , punto maggiore 
Non e, di quel eh' ella sia mostra all'occhio: • 
Poiché fissando di lontano il guardo 
Per mole' aer frapposto , ogni altro corpo 
di Tito Lucr, Curo T. 21, C 



14 DI Tito Lucrezio Lib« V. 

Pria confuso n'appar, che scopra affatto 
Gli ultimi tratti. Ond'é pur d'uopo ancora.,' 
Che poiché chiara e cerca, e come appunto 
Pali* estremo suo lembo è circoscritta, 
N'appar la luna, ella di quinci in alto 
Tanta appunto, quant'c, da noi si scorga; ■ 
Ai fin qualunque fi^imma in ciel tu miri | 

(Poiché qualunque fiamma in terra splende ^ 
Mentre I* aria scintilla , e i* aureo lume 
Ne mostra il proprio termine , assai poco 
Si yedej apprender puoi, ch'ella è minore 
Poco, o maggior , di quel ch'appare al senso, 
Né punto dee meravigliarsi alcuno > 
Che si picciolo sol luce sì grande 
Vibri , che il mare , e il ciel vasto , o la terra 
Irrighi, e sparga di calore il tutto; 
Poich' esser può , che quinci aperto un solo 
Fonte di tutt' il mondo in lar^ra vena 
Sorga, e da tut<ti i mondi eternamente 
Scaturisca un sol £ume , ove in tal guisa 
Dei calor, della luce i genitali 
Semi concorran d' ogn' incorno , e dove 
S'aduna il gruppo in guisa tal , che n* esce» ' ; 
Quasi da proprio suo fonte perenne , 
Questo lume, ed ardor. Forse non vedi j 

Quanto ancor largamente i prati irrighi [ 

D'acqua un picciol roscello , e i campi allaghi l \ 



' Di Tito LucRtzio LiB. V. 37 

£ con pari ragion la, lana, e l'altre 
Stelle» che ne* grand' orbi i lor grand* anni 
Volgon , creder si dee > eh* ire , e tornare 
Possan per l'aere alterno» atto a cacciarle. 

For$e non vedi ancor da varj Tenti 
Spinte correr le nubi, in yarie parti, 
£ pili ratte dell'altre ir le più basse? 
Dunque chi può negar > che pe' gran cerchj 
Dell'Etra l'aer basti in così varie 
Guise a portar si varie stelle in volta? 
Ma con vasta caligine sorgendo 
La notte ingombra il terreo globo , o quando 
Già scaccia il sok dopo il suo luogo corso 
Del ciel Testime parti > e spira intorno 
Languido i raggi ornai debiti e stanchi 
Per lo troppo viaggio , e dal soverchio 
Aer interposto conquassati e laceri j 
O perché la medesima energia» 
Che pe *1 ciel sopra noi V orbe sospinse» 
Sforzalo anche a voltar sotterra il corso. 

Ma del vecchio Titon la bianca amica 
Con la fronte di rose , e co '1 crin d' oro 
Mena in certa scagipn 1' alba vezaosa 
Per l'eteree camjpagne» e n'apre il lumc^ 
O perchè di sotterta a noi tornando 
Quel medesimo sol co' rai precorre 
Se stesso i e del lor foco il cielo accende.; 

C 5 



5t i>J Tiro LucMZio Ln," V, 

O perché molte fiamme > e molti semi 
D' ardore in scagion certa han per costume 
D' antrsi , e far , che sempre un lume no?o 
Si crei di sol : come da* monti Idei 
Fama è > che mentre io oriente appare 
L'aureo lume del di, miransi intorno 
Varie fiamme disperse ; indi in un solo 
.Qiiasi globo adunarsi, e formar l'orbe. 
Né dee con cnttociò gran meraTÌglia 

Parerti , o MemmÌQ> che in stagion si eerta 
Questi semi di foco atei ad unirsi 
Sieno> e del sol rinoTcliare il lume. 
Poiché molte da noi cose mirarsi 
Posson\ che in ogni specie in tempo certo 
rannosi .. In cerco tempo il bosco , e '1 prato 
Si veste, e in certo tempo anco si spoglia 
Di .fiori , e frondi s e nulla meno in certa 
Tempo i denti a cader sforza 1* etade> 
£ di molle lanugine a velarsi 
li giovinetto corpo: e le polite 
Guance di molle barba s e finalmente 
he nebbie, i venti, le tempeste, i fulmini. 
Le nevi, li ghiaccio in aon gran fatto in cerd 
Tempi si orean : poiché non prima i primi 
Principi ^^^^ ^^^^ ^^ questa , o in quella 
Guisa s'unir, che qoal prodotte al mondo 
fur dal caso le tose in fin dal primo 



.\ 



m Tiro LixeAszio tin. V. ip, 

Lor oaseimenta ormai > tal ne consegue 
La natura di tutte in ordin certo . 
Crescer poi lice a' giorni, ed 'alle irotti 
Scemarsi, e divenir più brevi i lumi > 
Qiialor i' ombre all' incontro hanno augamento 
O perché sotto terra, o sopra terra 
Il medeaimo sol con disuguali 
. Cerchi correndo il ciel diride y p V orbe 
Parte in non giuste parti , e ciò che all' una 
Tolse, rende all'opposta, infin eh* ai segno 
Perrenga, ore dell* anno li nodo appunto 
Alle tenebre cieche i[ lume adegua: 
Poiché a mezzo il cammin del violento 
SofHó di borea, e d'austro il <iel disgiunge 
Quinci, e quindi egualmente ambe le. mete; 
£ ciò pe '1 sito, e positura obbliqua 
Del grand' orbe de* segni, in cui serpcndo 
Il sol logora un anno , e con obblrquo 
Lume circonda il terren^ globo , e il cielo: 
Qual appunto insegnar quei , che nel!* Etere 
Tutto osservar di ben disposte immagini 
L'orbe trapunto-, o perché 1* aere in certe 
Parti èi più denso ^ onde sotterra il foco 
Dubbio i tremoli rai vibra , e non puoce 
Sì 'facilmente penetrarlo , e sorgere 
Si ratto in oriente . Iodi l'invesno 
Doran le toghe notti, iofio che g^g» 

C 4 



5|d i>x Tiro Lucrezio Lib. V;* 

L'altra insegna del di cinta di raggi j - - - 
O forse ancor, perche dell* anno- in varie • 
Stagioni alternamente han per costume 
D'unirsi alcune fiamme, e dissiparsi . 
Or più prèsto, or più tardi , e far , che il sole 
Cada e risorga in varj luoghi e cerei . 
Splender poi può la luna, o perché i raggi 
La percotan di fcbo, ond* ella Tolga . 
Ver noi di giorno in giorno in apparenza 
Lume tat^o maggior, quanto dal 1 orbe 
Suo s* allontana , infin eh* opposta , e piena 
Tutta d* argentea luce ella rifulse , 
E l'esequie del sol ride nascendo; 
£ quindi ancor per Io contrario al lume 
Tanto qunsi nasconda a poco a poco 
Quando più presso a lui gira il suo cerchia 
Dall' altra parte del zodiaco appunto : 
Come sembra a color, che ad una palla 
Fingon , ch'ella sia simile, e che volga 
Socco Torbe del sole il proprio corso. 
Onde avyien , che affermar pajano il vero . ' 
Forse anco può di propria luce ornata 
Volgersi, e di splendor forme direrse 
A gli occhi appresentar •» che forse un altro 
Corpo con lui s'aggira, e in varie guise 
L'incontra, e l'impedisce, e non si vede» . 
Perché priro di iacc il ciel trascorre . 



DI Tiro lucRizio LiB. V. 4^ 

£ puote anche il suo globo intorno a' poli 
Proprj aggirarsi; in qucrila. guisa appunto» 
Che potria per metà tinta u^ia palla 
Dì lucente candòr volta in se stessa 
Varie forine mostrarne a vario lume^ 
Infin ch'ella ver noi tarta volgesse 
La parte luminosa, e l'apparente 
Suo sguirdo; e cjuindi a poco a poco indietro 
Rivolgtfss»? il suo globo , e n' occultasse 
La sua lucida faccia in quella stessa 
Guisa, che i Babilonici dottori , 
I Caldei confutando, incontro all'arte 
Degli astrologi lor tentan prorarc: 
Come verificarsi ambi i paesi 
Nv>n possano , o vi sian ferme ragioni > 
Onde quel, più che questi altri difenda» 
K\ fin perchè non può con ordin certo 
Di figure, e di fosme esser prodotta 
Sempre fina nova luna , ed ogni giorno 
Scemar da quella parte , ond' essa, io prima 
Creata fu , mentre dall' altra opposu 
Va aesoendo altrettanto , e si ristaiira ? 
Certo che il dimostrar- con evidente 
Ragion, che ciò sia falso, e con parole 
Convìncerlo a bastanza » è dura, ed aspra 
Impresa, quando ognun vede mill'altrie . 
Cose eoo oxdifl ccKto cssp: ptodotte. 



41 i^X Tito LucJtEZia Lx*. y; 

Torna la vaga primarera , e seca. ■ r - 

Venere torna, e mcssaggier <U Venete 
Zeffiro alato, e T orme sue precorre, 
Cui la madre de' fior tutta cosperge 
La strada innanzi di color novelli > 
Bianchi , gialli > vermigli > azzurri , e misti >' 
£ di soavi odor l'aure riempie. 
Quindi nel luogo suo l'arida estate 
Succede, e per campagna ha F alma . Cerere 
Sparsa di polve il crine, e It soffio Eresio 
Dei rigido aquilon . Qtiindi V autunno 
Segue, ed in Un con lui 1* Evio Evoc ? 

^ Quindi l'altre stagioni j^c quindi gli altri . 
Venti ,. e Volturno altitonante , ed austro 
Cinta di nembi > e turbini sonori . 
La bruma al fin reca le nevi e il pigro 
Ghiaccio n' apporta: strepitando il verno 
Giunge, e le membra altrttl sforza a gelarsi. 
Non e dunque stupor , se io certo tempo 
Maore, ed ih certo tempo anco rinasce 

. La luna , poiché pur creansi al mondo 
Tante > e si varie cose in certo tempo . 

Ma del sol parimente, e della luna 
Creder dei, che l'ccclisse in varj modi 
Possa avvenir: che per qual causa il lame 
Del sole a noi pdò tor la luna , e molto 
Da noi iQngi ofRiscado^ iaterponeodo 



DI Tiro tucRizio Lii. V. 4ji 

Fra gli arcicnti suoi raggi, e gli occhi nostri 
Uorbe suo cieco? e nei medesmo tetiipo- 
Far noQ può questo iitesso uu altro CMpìo , 
Che scorra il ciel , sempre di lume ignudo ? 
£ chi coglie anche el sol « cfat in cerco tempo 
Non lasci i fochi suoi languidi , ed aneb 
Riscauri*! lume, allorché i luoghi infesti 
Alle fiamme ha trascorsi atti ad estinguerle 
Tra via per Taute, e dissiparle affatto? 
£ perche può la terra anche a vicenda 
Spogliar la lut^a di splendore > t il sole 
Sovra oppresso tener, mentre in un mese 
Scorre della piramide terrestre 
L* ombre rigide , e dense i e nello stesso 
Tempo opporsi non può qualcli* altro cotpò 
Al suo lucido globo, o sotto l'orbe 
Scorrer del sole , e il lume Suo profuso 
Lsser atto a celarne, e i vivi raggi? 
pur se la medesima rifulge 
Di suo proprio splendor , perche non puotè 
Languir del mondo in qualche certa parte y 
L'aure passando al lume suo netto iche? 
Nel resto, conciossiach'io t'ho risolto, 
CooK nel vasto mondo, e per 1' immenso 
Spàzio si possa generare il tutto; 
£ come i varj mòti , e i varj cerch) 
Della luna, e del sol da noi sapersi- 



44 i>i T^'TO Lucrezio Lit. V, 

Possono i e per guai causa , e da qual forza 
5iaa rotaci i lor globi; eri in qual modo 
Soglian mancar per I* eccl issato lume , . 
jE la terra coprir d' ombre improvvise , 
Allor che quasi i proprj iumi han chiasi % 
E come poi con isvelaca faccia 
Tornano ad illustrar Taure tranquille > 
£ di candida luce empiano il tutto: 
Or di DOTO mi volgo al nascimento 
Del mondo» e della terra al molle dorso, 
£d a ciò , che alla luce aurea del giorno 
Nel primiero suo parto ergere osasse» 
E commetter de* venti al soffio incerto . 
Pria le specie dell'erbe» e il verde onore 
La terra germinò ; florido il prato 
Di color di smeraldo a i colli intorno 
Rifalse, e in tutù i campi: a varie piante 
Quindi concesso fu d'ergersi a gara 
Per r aere a lente briglie; e come in prima 
Nel corpo de* quadrupedi animali 
Si creano > e nelle membra degli augelli 
Le piume , i Velli » il duro pelo , e il molle ; 
Tal dalla nova terra erbe» e virgulti 
Sorsero in prima ^ e poi cfeate in varie , 
Guise far d'animai specie diverse. 
Posciaccbé ni dal ciel cadder» oé fuori 
Delle salse lagune uscito in secco 



H^ 



ttt Tito J.UCIIBX10 LiBf V; «ff 

I terrestri abltànn i onde sol resta > 
Che k terra a ragion madre dèi cucco 
Chiamata sìa^ poiché di terra il catto 
Nacque , e non pochi ancor sono i ▼iveoti » 
Che dall'umide piogge» e dal vapore 
Caldo de' rai del sol nascono in terra. 
Scupor dunque non e, se in maggior numero 
Nacquero , e viepiù grandi , allor che nova 
Era la terra, ed era 1- Etra adulta. 
Pria de' pennuti augelli il vario germe 
Nella nova scagion di primavera 
Dall'uovo esclusi deponeaóp il ^dscioi 
Guai depor le cicale al caldo estivo 
Soglion la tenue spoglia, e per se s cesse 
Vitto > e vita cercar. La terra allora 
Pria ne die gli animali . Erano i campi 
£ di caldo, e' d'umor molto abbondanti^ 
£ dovunque ' oppontuno offri asi il luogo y 
Molti del suolo alle radici affissi 
Quasi ventri crescean, che poi che al tempo 
Maturo apria de' pargoletti infanti 
La'ceaerella ecade a sugger atta 
L* umore , e spirar 1* aure > ivi natura 
Della tetra volgea 1' occulte vene , 
Che poscia aperte rifondeano un succo 
Simile al latte i in quella guisa appunto, 
Ch ogni femmina adesso > allor che .figlia > 



é^€ 6i Tito LucAizio Lzi. V. I 

Suol dì latte abbondar » percbè si volga 
Dei nutrimeoto alle mammelle ogo* impeto t 
A' fanciulli porgea cibo e ristoro 
La terra» il vapor yeste» e letto il prato, 
Di molli erbette tenere abbondante. 
Ma ne' rigidi verni il novo mondo 
Né soverchi calor>>cié tempestosi 
Venti eccitar potea$ poiché ugualmente 
Cresce ogni cosa > e vigor prende e forza : 
Sicché molto a ragion di madre il nome 
Pria la terra acquistosst » e giustamente 
Se 'ì tiene ancor . Poich* ella stessa il germe 
Uman produsse» e quasi sparse in certo 
Tempo ogni' altro animai , eh' ebro , e baccante 
Scorre pc' monti , e per le selve 5 e tutte 
Creò le specie degli aerei augelli. 
Ma perché qualche termine al suo p^rto 
Pur al fin si dovea , steril divenne , 
Quasi per troppa età donna impotenre; 
Poiclté del mondo stesso il tempo al fine 
Varia tutta V essenza , e d' uno in altro 
Srato il tutto si cangia > e nulla dura 
Simile a se medesmo: il tutto altrove 
Fuggcsi , il tutto muta > il tutto volge 
Natura. Conciossiaché aluo divenga . 
Putrido y e per vecchiezza egro e languente! 
Altro nasca ali* incontro > e forza acijuisti. 



Cosi (losque 1' età varia l'essenza 
Del mondo, e d'un H terra in altro stato "^* 
Si cangia : ornar quel, che poteo , non spossa » 
E possa quel , che non- sof&rse innanzi . 
Varj in oltre crear mostri, e portenti 
Allor tentò la terra in varie guise, 
£ di faccia ammirabile , e di membra » 
£ di .mani , e di pie molti eran privi : - 
Molti ancor senza braccia , e senza volte 
Ciechi aftatto nascean : mole' impediti 
. Di membra , che fra ior per tutto il colpo 
Intrigate , e legate erano in guisa , 
Che nulla oprar porean. Non rifuggirsi 
A luogo alcun, non le maivage cose 
Schifar , non le giovevoli seguire , 
Non usarle abbisogni. Altri portenti 
Producea di tal sorte, ed altri mostri; 
In van,'che Ior natura il propagarsi 
Vietava , onde attivare al fin bramato 
Non potean dell'età, né trovar cibo. 
Ne venerei diletti avere insieme . 
Conciossiachè concorrer molte cose 
Debbon -negli animali , acciò sian atti 
A servar propagando il proprio germe.- 
Primieramente i pascoli , le vie 
Dopo, onde i semi genitali uscire 
Possan per tutto il corpo, alior che sono 



49 or Tito Lucrezio Li». V# 

Rilassate le merobn: e perchè a] macchia 
Si congiunga la femmioa, ed entrambi 
Va d^uopo, onde accoppiar possano insieme 
Gii scambievoli gaudj Adora è forza , 
Che molti d'animai germi diversi 
Perisser , ne bastami a propagare 
Fosser la specie lor. Poiché qualunque 
Di dolce aura vital si nutre , e pasce , 

r astuzia, o la forza» o la prestezza » 
finalmente del corso ha per custode > 

Che fin dal primo tempo il serba intatto^- 
£ molti ancor per 1* util , che ne danno ^ 
Son da noi conservaci, e custoditi. 
Primieramente i fier leoni , e tutte 
L' altre belve crudeli hanno in difesa 
la forza . Dall' astuzia il proprio scampo 
Riconoscon le volpi; e dalla fuga 

1 cervi ; ma i fedeli, e vigilanti 

Cini , e qualunque specie al mondo nacque 
Di veterino seme , e i mansueti 
Gi^tggi lanosi, e gli aratori armenti 
Tutti dell'uomo alla tutela, o Memmio> 
Si dier; poiché fuggirò avidamente 
I morsi delle fere, e seguir vollero 
La pacifica Tira , e i larghi pascoli > 
Che senza ior travaglio apparecchiati 
JLot son da noi > quasi condegno premio 



DI Tiro ttjctiiuo Lia, V. ^^ 

Dell' atil > .che ne danno. Or quei ^ ch'alcuna 
Non • ebber di tal cose > onde potessero 
Viver per se medesmi , o di qualche arile- 
Essere all' aman germe» e per qua! causa ' 
Toitcrar si dorea , eh' e* si nutrissero 
Per nostro mezzo; oda! furor nemico 
Fosser guardati ? £$st giaceapo adunque 
Preda, è pasco ^egli altri entro i fatali 
Lor nodi avvolti, insin che tutti al fine 
Fur quei germi hiainati afiàtto estinti/ 
Aia ne visser giammai centauri al mondo» - 
Né con doppia natura > e doppio corpo 
Fon di membra straniere in un coogiunte 
Formarsi altri animai , se quinci > e quindi 
Pjri a pari energia non corrisponde: 
£ ciò qutnd* imparar lice a ciascuno. 
Sia quantunque d'ingegno ottuso» e utdo. 
Pria, fiorisce il cavallo agile, e forte 
Poco dopo i tre anni; e allor bambino 
Tenero \c l* uom , mentre per anco il petto 
Palpa toccando alla nutrice, e tenta 
SUggeroe il dolce latte. Allor che manca 
Per i* eti- gii cadente il consueto 
Vigor dell* uno, e che dal corpo infermo 
Languida , e dalle membra oppresse e stanche 
Gli s'invola la vita, allor appnnto 
Veggiam , che alfaltro in su'l fiorir degli anni 
di Tito lucr Caro Tomo 21 D 



50 oi Tito I^iic&Eztò Lry. V* 

Spunta la vaga gioyÌDe(ta> e Tette 

Di laougine molle ambe le guaqce j 

Acciò ta £oisc tion ti credi > p Memmio i 

Che nascer d'animai tanto diversi 

Pebban centauri , ^cille > o sonligl ialiti .. 

Mostri , de' quai le membra esser veggianif 

fra lor tanto discordi , e che degli aiinij: 

Giunger con egual passo ai fio bramato . 

Non possop, né di corpi esser robusti» 

Ne toccar dell* età T ultima meUi 

Né di venereo ardor^ né di costumi 

Insieme convenir, né degli stessi 

Cibi nutrirsi Le barbute greggi 

S'ingrassan di cicuta > ove ali* incontro 

La cicuta é per Tuomo aspro veleno. 

Che se il fòco, e la fiamma incenerisce 

De* leoni egualmente i fulvi corpi > 

£ d'ogni alrro animai , che io terra alberghii 

£ com' esser può mai y che una chimera 

Leon pria , quindi capra , ai fin serpente 

Dal tergemino corpo unqtta spirasse 

Foco > e fiamma per bocca ? Onde chi fi^e , 

Che nel primo nata! del mondo infante» 

Quando nova pur anco era la terra , 

Novo il mar > nova Ilaria » e novo il cielt» 

Cosi fatti animai nascer potessero} 

Chi ciò» d^co» appoggilo « foéft» sola. 



ài t Ito tuetfrtio Li^. V. fi 

Nome di tiorìti Tino / e hììic€ 
fìngiti ben paote ancor nel moda flesso 
JFinger moice altre cose» e 9CìodCànfenie 
Dir, che aUor da per fucco .arene d'oro 
Volgean sotca a quel fiumi, e chtf^di gemme 
Fioriano i boschi > e che ne' memlirì ogni uomGT 
Si grande impeto avea> che ìì mar d' un salta 
VaròaTa> e con le mani a se d'incorna 
Tutto voìgea rapidamente il cielo.' 
Poiché 1* essere srati in terra sparsi 
Molti semi di eose, slUor cber in prima 
Largamente il terreof ne diede i yar) 
Germi degli animai, punto non prova» 
Che potesser fra lor misti e confusi 
Nascer itomini , e belve , armenti , e gfegg^ ^ 
Conciossiachè quantunque il suolo abbondi 
D'erbe anche adesso, e d'^aftieri fronzuti» 
£ di biade ^ e di frutti , essi non ponno 
Germinar non per àinta insieme avvinti: 
Tal fermo è fisso in suo costume il tutto 
Procede, e le dovute dit&renze 
Per certa légge di natura osserva . 
Nascéan gli uomim: allor per le campagne 
Tutti» quài «ónvenia» molto pia rozzi , • 
Poiché la rozan terra avean per madre, 
£ dentro di maggiori , ^ di pia salde 
Ossa finidati ^ e ék* pia forti nenri 
D z 



ji oi Tixo Lucuszro Lii. V. 

Stabiliti». ed acconci; e natia, o poco 

da caldo , o da freddo , o da straaieci ' 
Climi , o da novi cibi eran oiTest , 
Né dei corpo patian difetto alcuno ; 
£ motti errando delie fere in guisa 
Per più nel elei del sol lustri volanti 
Traen lor vita. £ non v'avea per anco 
Chi eoa braccio robusto ni corvo aratro 
Desse regola e norma» o le campagne 
Or con zappe , or con rascri » or con bideiti 
Culte e molli rendesse, e propagasse 

1 novelli virgulti, e dall' eccelse 
Piante troncasse i folti antichi rami . 
Quel, che it sole ,o la pioggia , o il suol fecoadi 
Producea per se stesso, i petti umaoi 
.*^aziava a bastanza ; e grato e dolce 
Cibo spesso porgean nelle foreste 
Le ghiaodifere querce,* o le mature 
Rubiconde corbezzole , o l' agresti \ 
Poma» o le noci, o l'odorose fraghe, j 
Che maggiori, e pia belle, ^ più soavi 
Nasceano allor della gran mjidre in grembo, i 
£ motti anche., oltre a ciò, Teca fiorita \ 
Del mondo producea vivi alimenti 

Ampli a bastanza a* miseri mottali. r 

Invitavano allor l'umano germe 

Ad estinguer la sete i fiumi» i fonti» 



i»i Tito toòRiZio LtB. V. li 

Come crr fan gtl animai Toade tranquille:^ 

Che d' aito caggfon luormoraodo al cbino . 

£ al' fin Tagabbndi a ciel nocturao 

Abica?an quei popoli prinnieri 

Delle ninfe i silvestri orridi templi ; 

Onde liquidi dscian lubrici rÌTÌ> > 

Che le grotte 9olean d'ogni sozzura > ■ • 

£ dal fango lavar. gli umidi sassi) 

Gli umidi sa»$i sopra il Terde musca 

D* umor chiaro stillanti . E parte al piaioòr. 

Non capendo inr se stessi , impetuosi 

Scesero , e fffribond} errar pe* campi • • 

Né sapevn maneggkf co '1 loco aJcuna 

Cosa, né con le peHi , o ootr le spoglie 

Delle fere coprisi l'ignude mèmbra» 

Ma ne' boscki , negli antri , e nelle sel?if 

lUcovravan se stessi , e nelle caVe 

Grotte ( e per ischi fai de' venti irati 

Gli assalti» e delie piogge,. il sozzo e squatlidar 

Corpo asconder solean tra. gli/ arboscelli $ 

I<9é poteano aver l'occhio ài comun bene. 

Né fra loro tncrodur riti , iè' costumi» 

Né formar V oè servar ieggi^V.. io statuti. 

Quel, che offetia dal casa, o vialla sortof 

Della preda venia» quel <deisa apfNioco r' 

Prendea ciascuno ammaestrato , r doto» 

Ad esser per se sttiso « se bastante y ' 

D 3 



)4 l^i Tito CucAUio Lii. V« 

£d a TÌTcr contento. ìocttlta te jtozta - 
Venere congìungea per le ifbresie 
I corpi degli amanti. All'uomo in bnHDCto 
Ogni donna poneatt, o da focoso 
^Kendevol desio vinta > o da mano 
yroleata e rapace, o da sfrenata 
Cieca lussuKiai e prezzo àllor non vile 
.£ran le ghiande, e le castagne elette, 
beile mani» e df'pfc tutti affidandosi 
Nel mirando valor > seguian con sassi 
Atti ad esser lanciati > e con bastoni 
Noderosi 9 e pesanciN i £eri getmì 
De* selvaggi anfmai. Molti di loro 
Vinceao^, poiché Inggian per le caTernci ' 
Ma l'irsute lor membra in ciò simili 
A'setosi cignai, nel suolo ignàdc 
Stendean la noite > e le coprian di frt>ndi. 
Ne vaganti per i' ombre > il giorno, e il tok 
paurosi cercar soiean piangendo i 
Ma tàciti aspettar muti, e sepolti 
Nel sonno , io&n che il sol nato ddl' tMMle 
Con la rosea fiicella ornasse il cielo > 
Di novello splendor: che sempre avyczii 
Sin da picciorinfanri a veder l'ombre 
Nasieer nel mondo alteitiamente , e il looie, 
Non. poteano addicir per meraviglia > 
Kè temer, che perpetua > turida» e «drota 



Di Tito LtJCKE^lo LiB, y. a 

Notte i*atfe ingombrasse etiernamente 
Spemi i raggi del soli ma rie maggiofe 
Noja pr^ndeaa ^ che gli animai selvaggi 
Spesso infesta rendèano» e perigliosa 
La quiete, e il sonno a gli infelici.* ond'essi 
Dalle grotte cacciati , i tetti loto 
Fuggtan tmartitt , o pe *1 venir d' un fiere 
Spumifera cignale » ò d* an robusto 
Leone i e nella notte intempestiva 
Solean cremanti a gli ospiti crudeli 
Cedere i letti lo^ it«si di- fronde. 

Né molto allor, pia ch'ai predente, il dólce 
Lume del viver fuggitivo, é frale 
Petdeao piangendo i miseri mortali . 

ì Che sebben , pia che adesso , allor ciascufto 
Da' selvaggi animai colto improvviso 
Pasti vivi porgea per divorarsi 
Da' fieri denti, il bosco, il <nOrtte , e tutta 
Intorno «mpià di gemiti , e di strida 
La selvósa foresta , in viva tomba 
Sèppelir vive viscere veggendo : 
£ sAhàfk cbi trovava alcuno scampò, 
Teocodè poi sii'l già corroso, e guatto 
Cprpò,;e satie maligne ulcere tette 
Ibernali tremÉnct , in voce orrenda,^ Cera 
Solca driaidar In morte, ln£a che wf^tó 
Da'Wnù fogoML vermini crudeli 

D 4 



$i5 ivt Tito Lucrezio Lia. V« 

Fosse di vita ignudo affatto» e casso 
D*ajuco, e di consiglio, ed ignorante 
Di ciò, che giovi alle ferite» o noccU). 
Non però mille, e mille schiere ancise 
Vedeansi 'n un sol giorno orribilmente . 
Tinger di sangue i mari , e d' ogn' intomo 
La terra seminar d'ossa insepolte» 
Kè dell'ampio ocean Tonde orgogliose ' 
Fean le navi in un punto» e i naviganti 
Naufragar tra le sirti » e tra gli scogli & 
Che folle il mar di tefnpestosi flutti 
Armato indarno incrudelirsi» e folle 
Spesso a' venti spargea minacce indarno j 
Né potcan le lusinghe allettatrici 
Della placida sua calma incostante 
Incitar con inganno i legni all'onde* 
Cieca allor si giacea la scellerata 
Arte di fabbricar fuste » e galee» 
£ navi d'ogni sorte. Allor sovente 
La scarsezza dei vitto a' corpi infermi 
Togliea la rita » or pe '1 coti uar^o spesso 
L' abbondanza de' cibi altrui sommerge ; 
Quelli incauti il velen porgean talora 
Per se sressi a se stessi. « or più sagaci 
Questi , e più scaltri a' ior nemici il danno* 
Ma poiché a fabbricar case » t capanne. 
Si dieroy e ad abim^j e che rignajé 



si Titb Lucrisi oLi^ V« f/ 

Membra vestir d^irsuce pelli} e il foco 
Messere in uso *, e che un sol tetto accols» 
Con la moglie il marito } e note al mondo 
Far del privato amor le caste noasze» 
£ che nàscer di se non dubbia prole 
Vedea ciascuno > alior primieramente 
Cominciò 1' uman germe ad amraoltirsì. 
Poiché si foco operò, che i corpi algenti ; 
Non potessero mai nell'aria aperta 
Soffi:ir pia tanto freddo. Agevolmente 
Venere alrrui scemò le forze, e U fieio' 
Spirto de'genitor frjUiscro 1 figli 
Con lusinghe , b con ve^zi . Allora in pcima 
Cominciar ramicisie.* i confinanti 
Non Vodèodean:! raccomandar T un l'altro 

I figli- pargoletti > e il fragii sesso 

Con le voci > e co- cenni » altrui mostrando 
Io lor balha favella > opra esser giusta 

II dar soccorso a' deboli» e mal fermi. 
Ni però generarsi «oà totale 

Pace fra icur potea» ma la migliole 
Parte osservò leligiosa 1 patti . 
Poiché il genere > uman spento e distratto . 
Gii fora» e lor semeosa indarno ornai ; ; 
Tentato avrian di prolungar le genti. 
Ma l'umana natuia i tarj accenti 

Pria formò dellA laiq{ia>.e Tutil posóa 



fi 91 Tito Lucjiizio Lib. V. 

Diede i nomi alle cosci in quella stessa* 

Guisa» che par, che la medesma infanzia | 

I teneri laociuiii induca al gesto, i 

Mentre fa, che da lor sia mostro a dito I 

Quel, che han presente ali* occhio. Ogni «aifluk t 

Sente il proprio rigore , onde abusarlo 

Possa. Pria eh* al vitel nascano in testa 

Le coma 9 egli con esse irato affronta» 

£ il nemico rivai preme id incalza . 

Ma de' fieri leoni i pargoletti 

Figli, e delle pantere, allor che appena 

Nelle branche hanno Tugna, e i denti'» bocca) 

Gii co' piedi, e co' morsi altrui fan guem. 

Senzaché confidar culti gli augelli 

Veggiam nell'ale, e dalle proprie penne 

Chieder tremalo ajuto. Il creder donque. 

Che alcuno allor distribuisce i nomi 

Alle cose, e che quindi ogni 'ac»n potesse 

Apparare i foeaboli primieti, 

È solenne pazzia* Poiché io qual modo, 

E perché chiamar questi ad ooa ad noa 

Potè le cose a oòme, e i varj accenti 

Esprioicr della lingua, e ùtììo stesso 

Tempo' a lare il medesimo bastante 

Alcun alttù non fu* Ma se le voci 

Non per anco appo gli altri erano in os». 

Onde fa del^ lar ot^r comi 



m Tito XxujLZZi^ Us. y. s$ 

La BoctSBia instritt? £ drigli dìUe 

Qficfca prima poceou > «od* ci «apcsse 

■Specular eoa k meoce i «. pojare in opra 

Ciò cIm^ far gli aggradane? la oltre , «uk jolo 

Noa ptlra sforzar mcki >, « ao^iogarlì 

Si, cbe appreader da lai fosscr /consenti 

Delle odie i vocaWt. Né certo A- 

'Ex* atto i?ad lasegi^o t né. hx ioteideie ; 

Ciò ciuM fatto sia À*mfb a fooce Mrdai 

Poiché né pazIeDÙ avrian toSerto* 

Che suoei ) e voci lòaudits, indarao 

Stordir lor 1* orecchie. £ ficulUneatc 

Perché mal si mirabile tdinatsi 

I>ee, che il genere tioiaa». ci|es?ociy « liogaa 

Di >rQhuto vigor dotata aìrea> .- v 

Secondo i var) lor aensi» «d eiSrttl 

Varj nomi ponesse. a; rarie €fese) 

Se k £ere> « gli armenti > e i muti gtngg^ 

Soglion voci, disssmìii fosmnre ».. 

Qoinde iian, speme,. ^ timor > noja » «e diletto» 

E ^ciò da cose manifeste « conte 

Può «claacuno imparar • Pria* se irritato 

Freme. rtl molosso^ ^ la "gran bocc^ apeendo 

htodeTnottm le zanne» it i ciuci "dead» 

XjÌìl dMnsaoD fiuos preg^» e di raUk» ' 

-In tnon moli» diverto altrui miaacria 

Da ^acl> «k*eil|aua| «4*ucIi«S8adqd»ii«ionda. 



$0 DI Tito Lucrezio Lii. Vi 

Ma se poi luosioghiero i pfoptj figli 
Lecca» o scherza con essi, o eoo h zstmpt^ 
Sossopra volcolapdogii , o co' morsi 
Leggietmence offeodeodogli > sospea..- 
I denti, i molli sorsi a imitar prÀdey 
Co '1 gannir della voce in akra guisa 
Suoir ad essi adubr, cbc se lasciato 
In casa dal padrone uria ,^ ed abbaja/ 

se fagge piangendo umile, e diiao 
Della rigida s&i^ i duri cólpi . 

In somma non ti piar, eh* assai diversa 
Dir st deggia il .nitrir fra le cavalle. 
Quando nel fior ddl'età sua trafitto 

' il destrter. da|;li stimoli pungenti 
Del Dio pennuto incrudelisce , < slMiffk'i 
£ feroce, e superba armi , arnri. fremev 
Da quand'ei dalla. greggia errando sciolto' 
Scuoce i* membri , e nitrisce i E -finalmente 

1 varj germi degli, alaci augelli , 

Oli iparrierì, egliascor, rac|uile, e r mergbi. 
Che dei mar sotto Tonda e vitto t e tìu. 
Cercai!» voci assai varie in var; tempi 
fòrman, die so calor pe 'i cibo iran guerta> 
£ comhacton la pfedar . Ed anco in patte 
Mttcan con le stagioni il rauco cantai 
Qual fiume i corri» e.le conacchie annofe» 
QBaloi (st Ttn i ia vtJgar csedcnia) 



si Tito Lacuueio Li&TW ^p 

Cbiamaa Tacquer e le pioggle , e i venti , e VtmCf 
Dunque le gli animali , ancorché muti » x » 
Spiati da varj sensi ebbiRo in sorte 
Di formar varie voci , e vlarj snoai r 
Quanto é pia convenevole > ehe l'uomo 
Potesse ailor con altri nomi, ed altri 
Altre y ed altre ^appellar cose difFotmi ? 
Acciò poly ohe tu>sappia in qua 1' maniera .. 
Ebber gH uomini *1 focb: il fuJmin prima 
PortoUo in terra) indi ogni arder, ti sparse» 
Poiché mpl te veggtam cose incitate 
Dalle fiamme ieì ciel splendere intorno 
Là, *ve' caldi vapori erran per l'aare: 
£ par se vacillante^ allor che il fiero ' 
Soffio di 'borea impetuoso, o d'austro 
Scuote, e «cfuassa le selve, a' rami appoggia 
D'antica pianta antica pianta i rami, 
Spesso avvien , eh* eccitata > e fuori espressa 
Dal -fregar violento alfin s* accende 
Fiamma che sfavillante alkima il bosco; 
Mentre tronco con tronco in varie guise 
S'urta a vicenda, e si consuma, e stritola: 
Il che dar similmente a noi mortali 
Poteo le.fiamgie. A cocer quindi il cibo 
Co' suoi caldi vapori, ed ammollirlo ^ 
L'aureo sol n'insegnai poiché pereóssii 
Moke da vivi suoi ràggi luceoti'^ 



I 



#2> DÌ/ Tiro LucjiBZio Lis. V.]* 

Costf' Te<leaa per le eampagne apriebe 
Deporre ogni acerbezza, e maturarti: - 
Onde (]uei , che pld- scaltri era» d'ifigegao^ 
Mostrar con cibi novi iti varj modi 
Cotti, e conditi, ogni di. più inveocandone , 
Come l'antico ritto, e la primiera 
Vita aspra, e rozza in deHcata, e mollcr 
Già murar si potesse. I regi intanto 
Cominciaro a fondaf cittadi, e rocche 
Per |or rèfugio; indi gli armenti, e i campi 
Divisero; e secondo il proprio merto 
Di beiti, di vigor, d'ingegno/ e d'arte 
Gli assegnato a ciascun , che molto allora > 
La bellezza era in pregio r e valesr molta 
La forza : il mio r e il tuo quiod*'invefKossi; 
£ Toro si trovò , che ^Bcifmentv 
A' più vaghi di faccia, e a' più robusti 
Di membra ogni onor tolse r e gli uni, e gli altci 
Sottomesse a' più ricchi ancorch' indegni. 
Che se regger su vita altri bramasse 

Con prudenza, e con senno, è gran teserà 
Per l'uomo ii viver parco allegramente t 
Che penuria giammai non fu del: poco 
In* luogo alcun j ma desiar gli sciocchi 
D'esser chiari , e potenti ^ acciò ben lerma^ 
Fosse la lor fortunata; stabii base 
Quasi appoggnu , t . per polvi mai sempre 



DI Txvo IfManio Lia. %. fi 

f acuitosi menar pUeido ▼Ica t 

Io vaa» poiché salir tencaodo al sommo 

Grado, ed onoc, lutto di spine» e .bronchi 

•TEo^ar pieno, il viaggici ove ai -fin giunti 

Spu^sp dal sommo <iel nell'imo abisso 

L'invidia, quasi filmine, gettolU 

Coob dispregio , e :Coa scherno . Ond'io per l'uomo 

Stimo' assai meglio un ubbidir quieto , 

Che un voler con l'impeco a varie genti 

Dar leggi , e sostener scettri , e, diademi . 

Lascia pur dunque ornai » ch'altri s'adnni 
III van satigue sudando, e per l'angusto . 
Calle dell' ambixioa corra, e s' aggiri^ 
Poiché, quasi da Alimi ne, percossi 
Dall' invidia , cader sogliono a terra 
Quei, che son più degli altri eccelsi e grandi: 
Che sol per 1* altrui bocca ad esser saggi 
Apprendono 9 e gli onor chieggon piuttosto 
Mossi a ciò far dalle parole udite , 
Che da'proprj loe sensi. £ non é questo 
Pia or , ne sarà, poi , che fosse innanzi • 

Quindi ucciso ogni re tfossopra ornai 
Giacca l* antica maestà del soglio, 
£ gli scettri superbi , e del sovrano 
Capo il diadema iilostte intriso, e Iorio 
Di polvere, e di stngae sotto i piedi 
piaogei dd T^gB il suo JG^aie oooies 



^4 ** Tira LucltEZio Lib. V*^ ' 

Che troppo avidamente altri calpesta 
Ciò, che pria paventò. Dunque il goyemo 
Tornava alla vii ftrccia , e ali* ime turbe i 
Mentre ognuno il primato , e il sommo i 
Per se chiedea . Quind' Insegnaro in parte 
A crear magistrati, e promulgare 
Leggi , a cui sottoporsi a tutti piaccpie ( 
Poiché il genere uman di viver stanco 
Pe '1 mezzo della forza , egro languiva 
Fra guerra , e inimicizie; ond'egli stesio 
Tanto più voicntier soppose il collo 
Delle rigide leggi al grave giogo. 
Quanto pili aspramente a vendicarsi 
Correa ciascun , che dalle giuste > e sante 
Leggi non si permette. II viver quindi 
Per mezzo della forza a tutti increbbe, 
Ood' il timor delle promesse pene 
Di' nostra vita i dolci premj inietta: 
Che la forza , e l'ingiuria intorno avvolga 
Ciascuno, e a quel ritornt assai sovente» 
Onde già si partio . Né facil cosa 
È , che placida vita , e senza guerra 
Viva chi della pace i comuo patti 
Viola con Topre sut-i poiché quantuoqae 
Bgli i numi immortali , e 1* uman germe ' 
Possa ingannar, creder non dee per questo , 
eh' ognor star deggia il maleficio occalio * 



\ 



sA Tito LuGRizio LxB. y. 6$ 

poiché parlando io sogno , o yaneggiando 
Egri, molto sovente i lor misfaiti , 
Gii gran tempo a ciascun celati indarno , 
Propalar per se stessi , e ne pagaro , ' ' 
Quando men se '1 credeano, acerbo il flo'. 
Or come degli Dei fra nuqnerose 
Genti là maestà si divolgasse } 
Come d' altari ogni citta s' empisse > ' 
Come solenni sagrific) , e pompe 
Posser prima introdotte , onde anche adesso 
Negli affari importanti, e ne* sacrati 
Luoghi fiorìscon venerande , e tale 
Danno a gli egri mortali alto spavento 
Che già del terren globo in ogni parte 
A drizzar novi templi a* sommi Dei 
Ne sforza , e a celabraroe i di solenni , 
Non è cosa difiScile a sapersi. 
Posciaché sin d' allor solean le genti 
D'animo aocor ben deste, e vie più in sogno 
Jacce egregie veder d'uomini eccelsi, 
£ corpi d' ammirabile grandezza . 
Or perch'essi appariaa di mover Taire 
Lor menbra , e di vibcar voci superbe , 
Come d* aspetto maestosi > e d' ampie 
Ponre, lor dieder senso» e oon mortale 
V'ita indi attrìbnix ; poiché i Jor rolci 
Eran sempre i »c^csmi» e la tor fozau 



€$ DI Tiro Luc&s^io Lis. ^T, 

Datava, e dura Teramente eterna.; . . " 

N^ punto a caso immaginar, che tìbiì 
Esser non potean mai da forza akaaa 
Quei , che di si gran forza eran dorati • 
£ in oltre s'avvisar, che di fortuna 
Superasser di molt» ogni mortale i 
Perchè mai della morte il rio timore 
Non potea tontientarH } e perché in sogli» 
Molte far gli^ vedean cose ammirande 
Senza punto stancarsi. A ciò s'aggiungi' 
eh* ess' intorno vedean con ordin certo 
Moversi 1 cielo, e in un co '1 ciel le ym 
Stagion deli' anno $ e non sapean di questo 
Le varie cause investigare; e quindi 
Prendean per lor reiìigio il dare a* somari 
Numi il fren d'ogni cosa, e far, che il 
Obbedisca a'ior cenni; e in ciel locavano 
Degli alti Dei l'eterne sedi e i templi i 
Perché volgersi 'n ciel vedeano il sole» 
La lun^ , il di, la notte, e delia notte -. 
Tutti i lucidi segni, e le vaganti 
Notturne faci, e le volanti fiamme, 
£ le nubi , e le piogge , e la rugiada , 
La neve, i venti, e i filmini > e l'acerba 
Grandine, e i rapidissimi rimbpnkbi 
De' tuoni, e il fiero murmurc tremendo. 
Povero uman lignaggio.' Ahi quante allora 



tojt Tirò lucftizxa Lii. V. ' if 

£gli a'Niimi immortali opre si fatte 
Diede > e lor l'ire aggianse , le vendette! 
Quanti» oh quanti esso àllor pianti a se stesso > 
Quante à hbi piaghe acerbe, e a' minor nostri 
Quante , e quai partòrlo lagrime* amare/ 
Né punto ha di pietli> che il sacerdote 
Spesso telato il cria verso ana sorda 
Statua per terra si dvolga , e tutti 
Corrano al sacro aitar , né, ch'ei s'inchini 
Prostrato al suolo, e tenga ambe le palme 
Innanas al tempio a i Numi sacro , e V are 
Ùi sangue di quadrupedi animali 
Sparga in gran copia > e voci aggiunga a i voti» 
Anzi é somma pietade il poter tutte 
Mirar le cose, e con sereno ciglio, 
£ con placido cor: che mentre ergendo 
Gli occhi, ammiriam dèi vasto mqndo i templi 
Celesti alti e superni , e 1* Etra immobile - 
Tutt' ardente di stelle, é viene in mente 
Dell'aureo sole^ e della lana il corso i 
Tosto dagli altri mali oppresso anch'egli 
Quel nojoso pensier di mezzo al petto 
il già desto sao capo al cielo escolle» 
E qual forse gli Dei porere immenso 
>Abbi'ano occultò a noi , che in varie guis^ 
Ruoti i candidi segni, egro sospira. 
Posciaché il dubbio cor dall* ignoraoz^' 
£ a 



r 



€% DI Tito tucR£€io Ltb. V* 

Tentato cerca , e se, princìpio avesse 
li mondo, e se ugualmente aver de* fine; 
£ fino a quando le sue mura> e tanti 
Moti» e sì varj a tollerar sien atti 
Così grave fatica y o pur se il tutto 
Per opra degli Dei vita immortale 
Goda» e scorrendo con perpetuo tratto 
Di tempo» disprezzar possa in eterno 
D* immensa età le smisurate forze . 
In oltre a chi non s'avvilisce il petto 
Per timor degli Dei? Cui non vicn manco 
L'anima? Cui d'alto spavento oppresse 
Non s'agghiaccianle membra » allor che d'ampii 
Torrida mibe il fo/gor piomba» e rapidi 
Scorron per l'alto ciel murmuri orrendi? 
Or non treman le genti , e il popol tutto } 
Non quasi un mortai gelo i re superbi 
Sentonsi ai cor » mentre de' Numi eterni 
Temon l' ire nemiche , allor che giunto 
Credon quel tempo» in cui de'lor misfatti 
Pagar debbono il fio? Che se l'immensa 
Forza d'euro» e di noto in mar sonante , 
Squassa » e ruota suli' onde un sommo duce 
In armata navale» ed allor quando 
S' urtan le schiere avverse , e gli elefanti » 
Non chied' egli con voti a* sommi Dei 
P^ce? Non fa preghiere a i venti irati 



A 



91 Tito LvCKttio LIb. V. 6$ 

pAHtoso y e non chiede aure seconde ì 
In van , che nulla meno' ei pur sovente 
Oa violento turbine assalito \ 

Spinto e di morte ai guado: in cotal guisa 
Calca una certa riolenta. occulta 
Tutte rumane cose , e prende a scherno 
I nobil fasci , e le crudeli scuri . 
Al fin quando la terra orribilmente 
Sotto i pie ne racilla, e scosse ai suola 
Caggionoy o stanne di cadete, io forse 
Ampie terre, e città, qaal meraviglia 
£* y se gli uomini ailor cura non hanno, 
Qiaai si dovria , di ^ medesmì , e solo 
Ampia danno a gli Dei forza , e ammiranda , 
Che freni, e volga a suo talento il tutto? 
Nel resto il rame poi, 1* argento, e l'oro 

Trovossi, e il duro ferro, e il molle pk>tnbo. 
Allorché sopra ì monti arse le selve 
Fiamma o da nube ardente ivi lanciata ^ 
O da provida man per, le foreste. 
Ove alfor combatteasi , in guerra accesa 
Per terror de' nemici ; o perch* indotti 
Dalla fertilità d'alcun terreno 
Scoprir grasse campagne , e paschi erbosi 
Voleano s o aneider fere , ed arricchirsi 
Di preda. Coneiossiachè molto prima 
Nacqne il cacciar éo '1 foco , e con le fosse. 



^o DI Tito Luc&X2io Lib. V- 

Che il cinger con le reti, e con le gttda> 
E co' bracchi, e co'TcIcri, e co*jiiasKÌQÌ 
Destar le selve. Or che che sia di questo b 
Per qualuoqae ragion la fiamma edace 
FiQ dall'ime radici in suon tremendo 
Divorasse le selve» e il suolo ardesse s 
Dalle fervide vene entro i più cavi 
Luoghi del monte un coovenevoi rio 
Scorrea di puro argento, e di fin oro> 
£ di piombo > e di rame > che rappreso 
Poscia al suolo splendea d* un vivo , e chiin 
Lume , e d* un liscio , e nitido lepore , 
Dalla cui dolce vista aiFascinati 
Gli uomini 1 si prendcao : quindi veggenàli 
Ch'egli in se rìtenea la forma stessa 
Ch'avean le cave pozze, onde fu tratto. 
Tosto allor s'accorgean, che trasformarsi 
Liquefatto dal foco in ogni forma 
Potea di cose } e quanto altrui piacesse 
Co '1 battedoy e limarlo, ed arrotarlo 
Tirarsi in punte acute, ed in sottili 
Tagli , onde poscia di saette armarsi 
Potessero, e tagliai piante silvestri, 
^ spianar la materia, e rimondare 
**€ travi , e gli altri necessarj arredi 
^cr oso delle fabbriche , e pulirli 
Anco , e forarli , e conficcarli insieme , 



^ 



■^ 



ijr Tira locRi^tio lii. V. fx \ 

Ni jnen punto sdlopriir st^ fatte, cose 
G)a ràrgeii(to, tfoii Tor gli uomini in primft 
S*aocÌBgeaa> che co '1 forte, e dura ramei 
la Tan, posciaché tima ogni sua posià 
Era a ceder costretta» e non potea 
Soffrir tanta £atica . Indi in maggiore 
Pregio era il racne ; < l' or negletto , e Vile 
Giaceasi inucil póndo } or airincontc^ 
Si giace il ram^, e in sokntno pregiò è Vàtot 
Tal éeììe uoiane cose i tempi muta* 
La rolubii età. Qpel^ che una- volta 
Caro eistr-^^ne solca, d'ogni onor prito • 
Finalmente diviene Quindi succede. 
Che r or già dispregerolé , com* era , 
Non seòlbra; anzi ?iepiù di giorno in giohio 
£ bramalo , e cercato, e ritrovato ' 
pi lodi adomo fra morra li sciocchi 
Fiorisce , tfd ha meràTigliosi onori ^ • 
epe tu per te 'medesmo agevolmente 
Beo conoscer potfai > come trovata 
fosse dei (trro la natura, e Tuso. 
Armi pria fot le mani, e -Pugna, e i denii , 
£ i sassi , e in un co' lassi i tronchi famt ^ 
De' boschi i e poi che ne lur note in ptiiiiaf 
Le fiamme, e il <bcd{ indi tìrovossi il ftrro» 
£ il ramej e pria- del ferro il rame iii opra 
Fu^iafs^, perché illoi ctpin aiaggléré 

E 4 



yx Pi Tito Lucrezio JLib/Y. 

N'era, e Tiepiù trattabile oattira 
Avea del ferrò. Essi la terra adunque 
Coltivavan co '1 rame ; in guerra armati 
Di rame usciano , e tempestosi flutti 
Mescean fra lor d'avverse schiere, e vaste 
Piaghe fean tra nemici , e i greggi , e i ean[ 
Kapian; che armati essendo, agevoImcDCe 
Tosto ogrun lor cedea nudo , ed inerme « 

Quindi di passo in passo i ferrei brandi 
Dagli uomini inventati , e quindi voice 
Furo in obbrobrj e in disonor le falci ,, . 
Di rame s e cominciar gli agricoltori 
A fender della terra il duro seno 
Solamente co *1 ferro ; ed adeguati 
Pur della guerra i perigliosi incontri ^ 

E pria fu da' mortali in uso posto 
Il salir su i Cavalli, e moderarli 
Co *1 freno j e della spada armar la maoo. 
Che il tentar sovra i carri a due corsieri 
Della guerra ì perigli. £ i carri a due 
S* inventar > pna che a quattro, e che di fiki 
Crudeli armati. Iodi a* lucani btioi 
Gravar di torri il vasto orribil dorso 
I peni y ed insegnar delle battaglie 
A soffrir le ferite , e in strane guise 
Di Marte a scompigliar l'ampie ca terre .- 
Tal d'altro altro poteo l'empia e crudoler 



DI Tito Lucrezio Lib. V. 71 

Discordia partorir, che ali'uman germe 
Posse poi spafencevole fra 1* armi ; . 
£ tal sempre viepiù di giorno in giorno 
Della guerra al terror terrore accrebbe. 
Tentaro i Tauri atìche io battaglia , e spesso 
Per prova d'inviar contro i nemici 
I crudeli cignali i e in lor difesat 
1 Parti vi mandar fieri leoni 
Con severi maestri , e con armate ' 
Guide, che a moderarli» e porli a freno 
Tesser bastanti: Invan> poiché iafiamoian 
Di strage indifferente ambe le schiere 
Scompigliavan crudeli > e de' lor capi 
D*ogn' intomo scocean i'orribil creste ^ 
Né poteao de' cavalli i cavalieri 
Piegare i petti spaventati, e messi 
Da' lor frèmiti in fuga , e rivoltarli 
Co 'i fren contro i nemici i e d* ogni parie 
le leon2e irritate a precipizio 
Si lancia van dal bosco, e i viandanti 
Assalian fttriboDde, e inaspettato 
Gli rapivan da tergo, e con acerbe 
Piaghe a tetra gettandogU > i crudeli 
Denti in essi aEBggeano, e Pugne adunche; 
Agitati i cignaU erao da' tori , , 
£ calpesti co* piedi, e per disotto 
Spalancati i cavalli i fiknchi > e il venuc 



'j^4 i>^ TiTd LocitBsid Lia. V. 

Dalle torna robasce , ed atterrati 
Pagli urti in oiioaccevole sembiante; 
Ma con 1' orride zanne 1 fier cignali 
I compagni uccidean ^ del proprio saogae 
Tingendo i dardi in se spezzati , e mistt 
Stragi facean di cavalieri , e fanti . 
Conciossiaclìé i catalli, o dell'irato 
Morso schivando 1 perigliosi incontri 
Lanciavansi a traverso » o con le zampe 
Moteaoo eretti aspra battaglia a i ventic 
Invan> poiché da' nervi i pie succisi 
Ruinar gli vedresti, e gravemente 
Sovra il duro terreo battere il fianco. 
Che se alcuni abbastanza essere innanzi T 

Domi in casa credean , nel manegc^iarli 
S'accorgean, che irritati ,. e d*ira accesi 
£ran poi dalle piaghe , e dalle strida » 
Pai terror, dalia fuga, e dai ta malto s 
Poiché tutti fuggiao , come sovente 
Mal difesi dal ferro or gli elef»ci 
Soglion anco fiiggir, tra saoi lafdkodo 
Molte di ferità vestigia orrende. 
Si far poteaa > bench' io mi creda appesa > 
. eh' essi pria molto bene immaginarsi 
Non dovesse! con T animo > e vedere 
Qiianto gran comun danno» e laido scempiò 
Foste poi per siMcedenei è pinccosto 



hi firo ItfC&tzto Lifi. V. ' i% 

Contrastar st potrù, che ciò ocl tutto 
Sia più vpltc accaduto in varj moadi ! 
Variacneote creati , che in un certo , 
£ sol orbe tetrcn ; Ma e' non* tanto 
Ciò fer con speme di futura palma, 
Quanto per dar, che gemere a'ior fieri 
Nemici > e disperati essi morire 
Diffidando dei nomerò, e dell'armi. 
Pria di aessili vesti il nudo corpo 

Gli òomini si coprian^ ohe di tessuto 
Manto. Il manto tessuto é dopo il ferro» 
.Che solo il ferro a prepararne è buono 
or insrrumeoti da tessere, e non ponno 
Farsi per altra via tanto pulite 
Le fusa, i subb), i pettini, le spole, 
Le sbarre , i Ucci , e h sodanti casse • 

Ma pria te lane a lavorar costretto 
Oa natura fu Tuoni, che il femminile 
Sesso; poiché ndrarte il riril germe 
Preval molto alle donnt , e di gran lutigt 
È di lor pia ingegnofo, e diligente: 
£ ciò , finché i severi agricoltori 
Se T asfisserò a tizio , «- v' impiegaro 
Le femmiae, e per st voller piuttosto 
Soffrir durt fatiche, e in oftt dure 
Durar le membra ed iscallir le mani* 

Fu poi delle semente, 4 de^V innesti ' - « 



'j€ or Tito Locrbzio Lia. V. 

Prima saggio, ed orìgine la stessa 
Creatrice del tutto alma natura . 
Conciossiaché le bacche , e le caduche 
Ghiande sotto i lor alberi nascendo ■ 
Tempestivi porgean sciami di figli ; 
Onde tratto eziandio fu 1* inserire 
L* una pianta nell* altra , e sotterrarne . 
Nel suol pe* campi i giovani rampolli . 
Quindi tentar del dolce earopicello 
Altre > ed alrre culture y e vider cpindi 
Farsi ognor più domestici , e pid dolci 
1 salvatichi frutti > accarezzando • 
La terra > e con piacevoli lusinghe 
Più , e più coltivandola : e sforzaro 
Le stUty e i boschi a ritirarsi a i monti» 
Cedendo i luoghi inferiori a i culti; 
Per aver poi oe' campi > e su pe'cplli 
£ prati , e laghi , e rivi , e grasse biade» 
£ dolci e liete vigne ; e perchè lunghi 
Tratti potesse! di cerulei olivi 
Profusi ir distinguendo, e per l'apriche 
Collinette, e pe' campi, e per le valli: 
Quali appunto vedersi anco al presence 
Può di v^rio lepor tutto distinto- 
Ciò che di dolci intramezzati pomi 
Ornai! gì* industri sericoltori , e cinto 
Tengono intorno di felici arbusti « 



s 



i>i Tiro LucRizio Lib. V, 77' 

In oltre il concrafBir le molli yocl , 
Degli auge! con la bocca innanzi molto 
Fu> che in musiche note altri potesse 
Snodar la lingua al canto , e dilettarne 
' L'orecchie. £ pria gli seffiri spirando 
Per lo vano de* calami palustri 
Insegnar coMor sibili a dar fiato 
Alle rustiche- a?ene.'Ind*impararo 
Gli uomini a poco a poco 1 dolci pianti , 
Che sparger tocca da maestra mano 
La piva suol, che. per le selye e i boschi 
Trovossi , e, per 1* antiche erme foreste ^ 
Alberghi de' pastori, e tra felici 
Ozj divini. In simil guisa adunque 
Trae fuor 1* etade a poco a poco ogni arte 
Dal bujo , in cui si giacque » e. la ragione 
L' espon del giorno ai lume . Or con si fatte 
Cose addolcir solean le prime genti 
L* animo , . allor che sazio aveano il corpo 
Di cibo; poiché alior si fatte cose 
Tutte in grado ne son. Dunque prostrati 
Non lungi al dólce mormorar d*un rio 
Tra molli erbette i pastorelli ali' ombra 
Di salvatiche piante , il proprio corpo 
Tenean co '1 poco in allegrezza, e in 
Massime allor <|he la stagion ridente/ 
Dell'anno il prato cospergea di fiori». 



^i DI Tito Lucrezio Iib, V-- 

Allora io uso eran gli scherzi , allora 
le iaeete parole , allora 11 dolce 
Sganasciarsi di risa, ailor festante 
L'amorosa lascivia incoronava 
Le spaile, t il capo con ghirlande imeste 
Di fior novelli , e di novelle frondi , 
lócicàndo a ballar quel popola rozzo 
Goffamente,, e senz'arte, ed a ferire 
Con dólci salti alla gran madre il dorso ^ 
Onde nascer solean dolci cachinni. 
Perchè allof viepiù nuove, ed ammirande 
£ran tai cose ; e quindi avean del sonno' 
Il dovuto conforto i vigilanti. 
Variando y e piegando in ibolti modi 
Le voci, e il canto, e con adunco labbra 
Scorrendo sopra i calami- £ disceso 
Quindi ^or si conserva un. tal costume 
Appo quel , che da morbo , e da nojosa 
Cura infestati, i^ consueto sonno 
perdono. £ benché questi appreso ornai 
Abbiano il modo di sonar con arte , 
Osservando degnameli concordi 
Le' varie specie, essi pero /'maggiore 
prutto alcun di dolcezza indi non hàtino 
Di quel , che della terra i rozzi figli 
Aveano alfor: che le presenti cose 
(Se BOA se forse di fìà care e dolci 



] 91 Tito Lucrjtzio Lis. V« ^ji^ , 

Pria si gustar ) pnnrìpalm«nte ti sento 
Piacciono , e 9*hati é^lV uomo in sommo ^cgio\ 

Ma la nova, e miglior qoasi corrompe* 
L'antiche invenzioni, e muca i sensi 
A ciò, che pria ne fii soave. In qtiesU 
Gaisa i* acqua , e le ghiande incominciaro 
Da gli uomini a scliifarsi^ e posti 'd uso 
Pur da tutti in tot vece il grano, e Tuva* 
In questa gunt a poeo a poco i Ietti 
Stesi d'erbe, e' di fròndi^ abbandonati 
Furo, e il suo primo ohor perse la ^ife^, 
£ la veste ferina $ ancorché fosse 
Trovata alior con si mahgna invidia: 
che ben creder si dee, che a tradimento 
Fosse «cciso colui > che pria porjtolias 
£ che al fin tra le spade insidiose 
Tutta dèi proprio sangue intrisa e lorda 
Fosse astretto a lasciarla, e non potesse 
Trarne a prò di se stesso utile alcuno. ^ 

Allor dunque le pelli, or Toro, e l'ostro 
Ne travaglian k vita , e d* odiose 
Cure n' empiono il petto , e ne fan guerta ; 
Onde a quel > che scim* io , viepiù la colpa 
Risiede in noi , che della terra i .nudi 
Figli del duro ghiaccio aspro tormento 
Senza pelle somian . Ma nulla offènde 
Noi r esser privi di purpureo manto > 



IO DI Tito LtrcRizio Lib. V. 

Di ricchi fregi , e di fin oro intesto ; 
Parche Teste plebea 1* ignude membra 
Ne copra j> e dal rigor dei verno algente 
Possa intatti serbarne . Indarno adunque 
Suda il genere umaa sempre, e s' affaci t&a» 
£ fra Tani pensier l'età consuma > 
Sol perch^ei non conosce, e not^ apprezza 
Punto , qual sia dell'aver proprio il fine, 
E fin dove il piacer vero s'estenda; 
£ ciò ne spinse a poco a poco in alto 
Maire a fidar la vita a i vent' infidi , 
£ fin dall' imo fondo ampj bollori 
D'aspre guerre eccitò. Ma i vigilanti 
Globi del sole, e della luna intorno 
Girando > e compartendo il proprio lume 
Ai gran tempio , e versatile del mondo > 
A gli uomi n'insegnar, come deiranno 
Si volgan le stagioni i e come il tutto 
Nasce con certa legge, ed ordln cerco. 

Già di forti muraglie , e di sublimi 
Torri cinti viveansl, e gii divisa 
S' abitava la terra . Allor fioriva 

[ Di curvi legni '1 mar; già collegati 

L'un l'altro aveaho ajuti » avean compagai: 
Quando in versi a narrar 1' opre famose - 
Comiociaro i poeti , e poco innanzi 
Far le lettre inventate i indi non puote 



[ 



' DI Tira LucUBZio Lii. V. St 

L* età nostra v'odet ciò , che s'opiMe 
In ptia> se non se fin là> Ve ne addita 
I vestsgj 1 dfseotso ^ pr la cKkuijij 
De* campi > e 1* alte tocche» e le robuste 
Mura, e le navi audaci, e le severe 
Leggi» l'afnÈu, le tie, k rrfeitii e r:akrt 
Cose a lor soniiglianti > e tutte in somaa 
Del vttfer le délkì^,4 dobi carmi; - 
L'ingegnose pitture, e le Dedalee 
Statue r uso ias^oènoc , e dell* impigta 
Mente il discorso, il qual di passo in passo 
Sempre s* avanza. In cotal guisa afiunque 
Trae fooc T ccade a peeo a poco il tutto 
Dal bajo» in cui «i giaeque, e la -tagiàék - 
L^espon del giornor a' laminosi faggi* - 
Poiché far si vedeà nata con I-arte 
L* una eòsa dall' akra, iafin che giunti 
Fot deir^oquuMt industria al' sommo giogo. 



di rit$ iucr. Caro T. 11 • 



il 

D I T I T O 

LUCREZIO CARO 

DELLA NATURA DELLE CX>SE, 
LIBRO S ESTO. 



. Rimi « gli egri mortali Atene un tempo 
6ofXA flgoì altra cittì chiara e fkmosa . 
Gli almi p^ fruttiferi, e le sante 
Leggi discriboh pria 4eUa vita 
Dimostronne i dftogi, e dienne i dolci 
Sollazzi 9 alloc che di tal mente un nomm 
Crear poteo > che già dif!use e sparse 
Fuor di sua bocca yeritiera il tutto» 
Di cui, quantuncfu* estinto, ornai l'antico 
Grido per le divine intenzioni , 
Della fama sull'ali al ciel sen vola. 
Poiché allor , eh' ei conobbe a noi mortali 
Esser quasi oggimai pronto e parato 
Tutto ciò , che n' è dnopo ad un sicuro 
Virere, e pet cui gii lieta e felice 



M tàso Lj/cMzio LiB. V. iy 

Può meoarK-riici vitj^> essef potca^l, 

Di ricchezze, e d* òaoc colmi, e di,. lode 

G(i uomini »^«: i figH ior .per..^nu Itltiitriy 

£ pur lempre arci tucti ingombrQ il .pptto 

D* ansie ciue , e mordaci > ■ e vii oia^cipio : 

Di nocive querele esser d' ognuno 

L' animo , ei beo .s' accorse , ivi '1 di£;tco 

Nascer dal vaso stesso} e tutti il^eni. 

Che TI giungoà di' fuoii , ad uno ad uno 

Dentro per colpa sua contaminarsi. - 

Patte 9 perché . si largo , e, si forato 

Vedeal > che per empirlo al vento sparsa 

fora ogn* industria > ogni fatica, ogni altee i 

Patte > perchè incettar quasi '1 mirava 

D* un malvagio sapor tutte le cose , 

Che in lui capi;^!. Quindi, purgonne il petto 

Con veridici dettU e tecmin pose 

Al timore» al desio » Quindi insegnonne, 

Qual fosse il sommò òene, ove. ciascuno 

Dì giunger brama i, e n'additò la -via» 

Onde per dritto calle ognun potesse 

Correrti i e qtiaoco abbia di ipaie iti tutte 

V umane cose , altrui fé' manifesto » 

£ come d' ogn' intorno egli si spanda, 9 

£ voli in virie guise, e ciò sia f^ao, 

O di natura impulso; e per quai poi^e 

Debba, incontrarsi . E al fin proròjt.-c^e l'uomo 



n 



34 DI Tito Luc&Ezto Lib. VI. 

Spesso inran dentro al petto agita, e yciff 
Di bojosi petsier £uttì dolenti. 
PoieM siccome i fancialctp al bajo 
TeniOD £inrasini insussistenti, t htvti 
Tal BOI «srenie paTemiamo al sole 
Cose 9 che nnlla piò son da temersi 
Di quelle, che future i fanciullecti 
SoglioQ fingersi «i bajo, e spaventarsi. 
Or si Tano terror> si ciécho Tenebre 
Scuocer bisogna, e via scacciar dall' anraMi 
Non co' bei rai del sol, non già co*Iacidi 
Dardi del giorno a saettar poc' abili 
Fóorché l'ombre notturne > « i sogni pallidi i 
Ma co*I mirar della natura, e intendere ' 
L'occulte cause, e la Telata immagine $ 
Ond' io Tiepid ne' rcrsi miei Teridici 
Seguo la tela incominciata a tesserci . 
£ perchè t'insegnai, che i tempi eecelsi 
Del mondo son mortali $ e che (brniAto 
È il cifel di liatlo corpo; e ciò the in dm 
Nasce, e méstier fa, che vi nasca, al finb 
Ptt lo pia si dissolve ; or quel, che a ditti 
Mi resta, Memmio» attentamente ascolta* 
Poiché t Salir su'l nobil carro a un crac» 
Incitar mi poteo Talta speranza 
Di famosa vittoria; e ciò che il corso 
Pria tcDtd d'inrpedirmi > ora é^ coovtrtò' 



k f iti £u«r«(«zio tcB >VL 2f 

in prò{ltio*ftt.or\-Già tane V/aitté 
Cose , l|A infit^m , e in de( redtf crmrti 
l'uomov a11<f «be' niciicc tiicerco fifrni}^: 
Con pàuio^ Vor^^ ani mt nostri 
-Co'l timor degl*r Del viH. e. coilacdi : . . 
llendono, e sotco'*r pié^calcangli a terra i 
Posciaehé a dae Fiinpero a gì' immortali 
ì^ami,^ ed a por nelle lor mani '1 tutto» 
Sol Àé sforza del Ter l'alta ignoran^oa • 
Che veder noir potendo il volgo ignaro 
le càuse in modo alcun d' opre si fatte , 
le ascrive a'somipi Dei. Poiché qaantunqoé 
Gii sappia alcun, che Impefturfaabil tempre g 
£ tranquilla , e srcurà i sanò Numi 
Menaa l' etade in ciel -, se nondimeno 
Meraviglia è stapor [''animo intanto 
or iogombtay onde ciò sia» che poMan toste 
Genefafsi le cose> é specialmente 
Quelle, che sovra*! capo altri vaghe^ia 
Ne' gran campi deli' Etra » ei ncli' ancichf 
Religion cado di nóvo^ < piglu 
Per se stesso a se ttesiò aspri tiranni » 
Che il miset crede oontpotenti: ignaro 
Di cid che puote» e ehe non puote ai nfondor 
Frodarsi ; é come' finalmente il tatto ' 
Ila pot^r limitato^ e termin certo: 
Ond' errante tiepiil dal yer si scosm . 



85 Di Tito LucRcriò bB« Vii 

Che se tu dalla meme ornai mofì Cft^i 

Un ti folle pensiero V t no'l respift|^ 
Lungi da te, de' somvv Dei credendo 
Tai cose indegne,- ed aljteqe affacca. 
Dall'eterna lor pace,, ak £ che. de' santi 
Numi la maestà, limata e rosa 
Da te medesmo a te medè&m^ innanzi 
f arassi ognoc i non perchè possa il sommo 
Lor vigore oltrnggiat»i , onde iufiaoimacL 
Di sdegno abbian desio d'aspre yeudetce^ 
Ma sol perchè tu stesso a te proposto 
Ayrai , eh' essi pacifici . e quieti 
Volgan d' ire crudeli orridi ■ flutti : 
Né con placido cor visiterai 
I templi degli Dei i né con tranquilla 
Pace d'alma potrai di santo corpo 
L'immagini adorar, che in rarie guise 
Son nunzie all'uom della Divina forum.. 
Quindi lice imparar , quanto angosciosa 

Vita ornai ne consegna. Ond'io, che noj/^ 
Più desio, che scacciar 'da' petti umani 
Ogni noja , ogni afknoo , ogni cordoglio f 
Benché molto abbia detto, ei pur mi resta 
Molto da dir, ^che di puliti versi 
D*uopo è , eh' io fregi . Or fa mestieri , o MenUD» 
Ch'io di ciò, che negli ahi aerei campi j' 
£ in elei si crea, l'incognite cagioni ' 



^i Tito Lucrezio Lib« VI. ^7 

Ti sveli. ^ e le tempeste > e 1 chitri fiitmini 
Canti , e gli cfièctì loto , e da qiuil haof^o 
Spiati corraa pcr« 1' aria» acciò ^càe folk 
Tu> le parti. del del fta loi di^i^> / 
Di panca. non tremi: onde il Tolahte 
Foco a noi giangai.o s'ei quindi- si Tolga 
A destra 9 od a «ialsrra s ed in qua! modo 
Penetri deatto a chiusi luoghi; e còme 
Quindi ancox trionfante^ egli se n'esca;' 
Che fcder non potendo il Tolgo igna'ko 
Le cause in modo alcun d' opre si fatte , 
Le ascrive a'aoromi Dei. Tu megere io corro 
Quella via> che'mi resta aI4a suprcitira 
Chiara e candida meta a me prescritta > 
Saggia Musa Calliope» almo riposo 
Degli nomini , e biacer degl* immortali 
Numi dei cielo, ot me l'addita e mostra: 
Tu, chie soia- puoi ht con la tua Ada 
Scorta» cb^ io del bel Laura in riVa all'Arco 
Colga l*ftmate fronde, e d'esse omaf . 
Gloriosa ghirlanda al crin m'ìntessa. 
Pria del eenileo ciel scuotonsi 1 campi . 
Dal tuon» petthé l'eccelse eteree nubi 
S' urtan cacciate da contrarj tenti . 
Conciossiaché il rimbómbo unqoa non riène 
Dalla paxtt serena ^ anzi dovunque ^ ' 
Soa k nubi piò fohe, indi sovente 

54 



8t DI Tito Urcuzio Ub. VI. 

Coo muriDtire maggior nasce il suo fremito. 

la oltxe 9c si molli > me si dense > 

Come i «assi , e le travi > esser iR>n powM 
Le nubi ^ né si molli, né si rare ^ ' 
Come le aebbic inattutioey o i filmi 

' Volanti i poiclié o-> dal gran pondo a tetri 
Spiote cader dovrian > qual cade apponOD 
Ogni trave, ogni sasso,' o dileguarsi , 
Come. il fumo, e la nebbia » e. in se xaecMB 
Non potrian fredde oef i » e dure grandài. 

Scorre il tuono eziandio suiitf diffuse • 
,Onde aeree del mondo i in quella giùaa 
Che la vela talor tesa negli ampli 
Teatri strepitar suole agitata 
Tra Tameone, e le travi} e spesso io 
Squarciata dal soffiar d'Euro protervo 
Jreme, e de* fogli il frafil suono imitai 
Cbe tuoni esserci ancor di quesn sorte 
Ben coocscer si puote » allor cbe il veqco 
Sbatte o i fogli volanti ^ o k iospese 
Vesti ; poiché talvolu anco succede , . 
Che non canto fra loc testa per testa 
Possano urtarsi le contrarie nubi > 
Quanto scorrer di fianco,! e con avverso 
Moto rader del corpo il lungo irate o |- 
Onde poscia il lor taono arido terga 
L'oreccUe^ e moleo duri» infin ch'ei 



\ 



èi Tito Lifcnizio Lib. VI. Ì9 

Ùscic da' luoghi aogosti > e dissiparsi • 
Spesso parnè eziandio , cbe in simil guisa 
Scosto da grave tuon tremi e vacilli 
li tutto, e che del mondo ampio repente 
Sradicate i' nlti'siime maraglie 
Volio pe *1 vano immenfo , allot eht accelt;! 
Di ^ento irato imfietijbsa e fier^ 
Improvvisa procelta entra alle nubi 
Penetra, e vi si chiude , e con ri corto 
Turbo, cbe sempre pia ruota, ed avvolger 
D'ogni parte la nube, intorno gonfia 
La sua densa materia i indi l'estrema 
Sua forza , e il violento impeti acerbo 
Squarciando il cavo sen la vibra , ed ella 
.Scoppil, e scorte per V aria in suoli tremendo» 
Ne mirabil è ciò ì poiché sovente 
Picciola Tescicketta in simil guisa 
Suole in «rÌ4l produif piena di spixtcì 
0' knpiotviso -è^rciata alto Hrabombo. 
£vvi an^or la ragionef, onde^ i robusti 
Venti facciano il tuoii, mentre scorrendo 
Se uè vati tra le nubi. Elle sovente 
Volan «imose in varie guise , ed ^sptp 
Per lo vano dell' afi< i ot nella s;es$a 
Gttiia f eh' alloif che il tiofcnta 6kt0 
Di coro i folti boschi agint e sferza, 
FischiAo 1« fcoiif Itoadry ed' ogii' intorno 



K 



^9 DI Tito Ldcaezio Lib. VI. 

Tronchi orrendo fiagpr spargono i xami: 
Ta! del vento gagliardo anche alle toIcc 
V incitato rigor spezza , e in più parca 
Co i retto impeto suo squarcia le oubl . 
Polche qnal forza ei^ v' abbia , aperto il 
Qui per se scesso in terra , oire più dolce 
Spira ; e pur non per tanto insin dall' itat 
Barbe i robusti cerri abbatte e schianta. 
Son per le nubi ancor Bucci» che fanno 
GraTcmence frangendo un quasi roco 
Murmure ; qual sovente anche negli alti 
Fiumi, e nell'ampio mar, che vada, e coni, 
Soglion Tonde produr rotte , e spumaod. 
Esser puote eziandio» che se vibrato 

D* una nube in un' altra li fui min pioaiba , 
Quesca , se con mole' acqua il foco beve , 
Tosco con alce grida il mondo assorda: 
Qual se caler dalla fucina ardence 
Sommerso in fretta é 1* infocato acciaro 
Nella gelida pila, entro vi stride. 
Che se un'arida nube in se riceve 
La fiamma» in un momcnco accesa» ed arsa 
Con smisuraco suon folgora incorno: 
Qual. se pe' monti d* Apollineo alloro 
Criniti il foco scorra » e con grand' impeco 
Gli arda cacciato dal soffiar de' vénti % 
Che nulla e » che abbruciando in si cremendo 



DI TlTp LUCILZZIO LlB. VI. ^l 

Suon crat le fiamme screpiuodo scoppi > 
Quanto i delfici lauri a Febo sacri. 

Al hn d'acerba grandine, e di gelo 
Un fragor yioleotOy e un precipizio 
Spesso nell'ampie nubi alto rimbomba: 
Che allor che il vento gli condensa y e gli^empie> 
Frangonsi 'n luogo angusto eccelsi monti 

, . Di grandinosi nembi in gelo accolti • 
Folgora similmente > allor che scossi 
Vcngon dagli urti dell' avverse nubi 
Molti semi di foco 5 in quella guisa 
Che se pietra é da piecra , o da temprati» 
Accia r percossa, un chiaro lum^ intorbo 
Sparge, e vive di foco auree scintille. 
Ma pria che a* nostri orecchi arrivi '1 tuono, 
Veggon gli oc^bi '1 baien $ perchè più tardo 
Moto ban semprie i principj atti a commovete 
L'udito, che la vista; il che ben puossi 
Qiiindi ancora, ipipa rat: che se da loogi 
Vedi con la bipciine un tronco busto 
Speziar d' alberp annoso a il #oIpo n^iri 
Pria che -1 aoon ,tu ne senta . Or nello stesso 
Modo a ^li occhi eziandio giunge il baleno 
Pria che T tiv>no all' orecchie i ancprch* il tuono 
Sia vibrato co'Holgore, e con lui 
D' una causa prodotto , e d' un conoocfo . 
Speuo ay vico > che in tal guisa aiu^r si tinga 



j^i DI Tito Lucrizio Lib. VJR*" 

b' un lume yelocissimo , e , risplenda 
t)'uQ tremalo fulgor 1* atra tempesta ^ 
Tosto che il reato alcuna nube asstlse , 
£ quivi *n: giro yolto , il cavo seno , 
Qaal sopra io ti dicea , n'addensa / etuidgejl 
£ ferve per la sua mobil natura, 
Come tur te scaldate arder le cost^ 
Veggiam nel moto } ònd' anche il luDgcr coni 1 
Strugge i globi gire?oli del piombo . 
Tal dunque acceso il vento , atlor che iti adn 
Squarcia l'opaca nube, indi repente 
Molti semi d'ardor quasi per fotta 
Spressi disperge > i quai di fiamiìia ihcorod 
Vibran fulgidi lampi. Or quinci*! tuoDo 
Nasce, il qual vieppiù tardo il seosd move 
Di qualunque splendor, ch'arrivi all' occhio i 
' £ ciò tra folte , e dense nubi avviene V 
In un pfolbhdan^ente altre sopr' altre 
Con prestezz' ammirabile ammassate. 
Né t'inganni il veder, che l'^uom dà ferri' 
Può viemeglio osservar , per quanto spasio 
Si dist^ndon le nuvola i che quanto 
Salgano ammonticate in verso il cielo i 
Poiché se ttf le miri ,- allor che i venti 
Pter l'aure se le portano a traversò » ~ 
O allor che pe^gran monti accumulate 
Si stana» alcfc ^opr' altre; e le supero» - 



l^remon P ioferne immollili, tacendo 

Dei tutto i Tenti , sllor potrai le vaste 

Lor moli riconoicete, «'Vedbre 

L*altiislm*, ed terribili nj^lonche» 

tjiiasi costrutte di pendemi sassi » 

O^Cf poi cbe tciiipcRi il ci^Io ingooeibniv 

Entrati labbicài'i >venci,- e con tremendo. 

Marinure ti' ogn'-jinorno '^■IW Mceiiiusi /* 

Tremo ; e mìnacctvnlf , 'e superbi 

Vibran , di fere in giiisà >' ancorché in gabbia > 

Per le nnbi agitate or quinci, or't|uindi 

I lor fieri raggici y e via cercando 

.Si raggiran per tiitto» e dalle nubi .. 
Convoigon molti semi atti a pix)dorrtt 

II foco, e in guisa tal n'aduoan molti» 
E dentro a <jueUe concave fornaci 
Ruocan h fiamma * lor, finciié coruscfai , 
L*atra nube is^aavciatà , indi risplendano.i 

Avviene ancor > che^lbrioso^ e rapido 
Per quest'altm cagioo 1* aureo fulgore 
Di quel liqaìdo foco, in terra icenfa; 
Perché molti di foco faan semi *accòlti 
Le anbi itessef il che vedersi aperto 
I\iò da noi) ^ando asciutte t « lenz* alunno 
Umido son ,' che d' un fialMmaaté » e vivo 
Color splendon lovente: e ben oooviensi > 
eh* elle accese in quel iémpa>.c nbipoiidt 



>4 ^^ Tito Lucaeìió Libv VI» 

Spargono in larga copia alate fiamme s . 
Perché molti di lol raggi lucenti 
Mestier é pur > eh' abbian concetti . Oi quaodtf 
Dunque il furor dei vento entro gli afona 
A raccogliersi 'n uno, e stringe, e calca * 
Premendo il luogo, e'«i difibndou eosco 
Gli elessi semi in larga copia; e quindi 
Della fiamma il color folgora, e splende. 
Folgora similmente » allor che molto 
Rarefansi eziandio del elei le nubi ; 
Poidbé qualor , mentre per 1* aria a role 
Sen Tanoo> e if vento leggiermente in v ade 
Parti le parte , e le dissolve , é d' uopo 
Che cadan lor mal grado , e si dispergano 
Quei semi , che il baien creano i edf allora 
Folgora senza mono , e senza retro 
Spavento orrendo , e senz* alcun tumulto . 
Del resto qua! de* fulmini l'interna 
Natura sia , bastevolmeitte il mostra 
La lor fera percossa , e dell' ardento 
Vapor gì' inusri segni , e le vestigia 
Gravi , e tetre esalanti aure di zoifo^ . 
Che di kcp son questi , e non di vento 
Segni » né d'acqua. £ per se scessi *n obfc 
Degli eccelsi edificj ardono i tetti» 
£ con rapida fiamma entro gli scessi 
Palagi Kosron trionfanti. Or questo 



mTàTo Lucits2io Lm. Yì; $$ 

foco spilli più d* ogni fpcb , è l^tto 
D'atomi mioatissimi > e si mobili. 
Che oair af&tto può durarg^ incontro y 
Posciachè furibondo : il fulmin passa > 
Come il toooo. e la voce > entro i pia chiosi 
luoghi degli edifìcj > e pet le dare. 
Pietre > e pe 'ibrofiz0 Ve ìQ ^(^ sol tratto « e in uno 
Punto liquida rende ìi rime , e Toro. 
uole ancor procurar., che «fitere e sane 
Kimanendo le botti il vi* repente 
Sfumi .* e dà perchè- tutto intorno i fianchi 
Del vaso agevolmente apre, e dilata 
Il vegnente calor , tosto che in lai 
Penetra , e in uà balen soiv« , e disginnge 
Del vino i. semi; il che non par, che possa '; 
Io lunghissimo tempo oprare il caldo 
Vapor dei sol: cos) > possente è questo 
Di coriisco fervore impeto , e tanto 
Viepià tenue , e pia- rapido , e pia grande • 
Or come il fui min ita creato, e tanto 

Abbia in se :di furor , che in un sol colp« 
Aprir possa. le torri, e fin dall'imo 
Sc[uassar le case , e Jc robuste *travi 
Svellere, craiòarlej e de* famosi ^ 
Uomini demolir gli alti trofei , 
Spavjentar d*ogii' intorno , ed avvilire 
E gli auncQti, ci pastori, e te sdtagge 



^S Bx Tito Lvcriueio Lii. VL 

Belve» e tante alare optar cose ammircnde 

Simili alle oartace » io brevemente 

Sporrotti » o Memmlo , e senza indugio- nlcoM « 

Creder dunque si dee > che generato 
li fulmin sia dalle profonde e^dense 
Nubi $ poiché* giaoimai dal ciel sereno 
Non piomba» o dalle n^Tole men folte .- 
£ ben questo esser vero» aperto il moscrai 
Che allor s' addensan d* ogn' intomo ia «ria 
Le ndbl in guisa tal» che giureresti » 
Che tutte d*,Acberonce uscite l'ombre 
Riempisier del ciel 1* ampie caverne : 
Tal iosoru di nembi orrida notte , 
Ne $OTrastab squajrciate e minaccianti 
Gole d* atro terrore, allor che prende / 
Fulmini a macchinar 1* aspra tempestìi. 

In oltre ,a&sai sovente un nembo scuro» 
Quasi di molle pece un nero £ume> 
Tal dai cielo entro ai mar cade neironde» 
£ lungi scorre , e di profonda » e densa 
Notte caliginosa intorno ingombra 
L* aria , e trae seco a terra atra tempesta % 
Gravida, di, saeue, e di procelle, 
£ tal principalmente ei stesso e pieno 
£ di fiamme , e di turbini , e di renrì , 
Che in terra ancor d'alta paura opprem 
Trema^ e «fiigge la gente ^ e sr nasconde • 



DI tiro Lucrezio Lib. VI. ""ff 

Tal sovra H nostro capo atra tempesta 
Jotzà duoqu<è> die sia, ciie né con taata * 
Caligine oscurar potriano il mondo 
Xe nuvole > se molte onice a molte- 
Kon fosscr ^r dtvsopra, e i vrvi raggi 
£scludessez del sol ; né eoo si grande 
I^ioggia opprimer potrian la terra in gaisa > 
Che i fiumi traboccar spesso , e i rorìrebn 
Facessero» e notar nell'acque i campi > 
Se non fpsae di nuvole altamente 
Ammassate fra lor 1* Etere ingombro . 
Dunque di questi fochi, e questi Tenti 
È pieno il tutto; e per ciò freme, e ribra 
Folgori d* (^n* intorno irato il cielo. 
Conciossiacbè poc' anzi io i* bo di»05ti:o , 
Che molti di yapor semi in se stesse 
Han le concave nubi : e molti ancora 
D'uòpo è, che dall' ardor de'rai del sole 
Lor ne sian compaithi. Or questo istèsso 
Vento , che in un sol luogo , ovunque el scorie , 
Le unisce a oo^o , e le comprime , e sforza > 
Poiché spressi ha d' ardor^ molti principj » 
£ con lor s* é mischiato, ivi s'aggira 
Profondamente insinuato un vortice , 
Che dentro a qjielle calde acre fornaci 
Ag\iiXà > -e tempra, il fulmine tremendo. 
Che per .doppia, cagvon ratto s' infiamma ^^ 
a T$f§L$Mr. Cmtì r. 21. G 



< 



^l DÌ Tito Ldc&ezio Li«. VL 

Coflciotsudiè si scaldi, e pe*l soo i^do 
Moto, e dei foco pel contatto, e quindi 
Non si costo per se ferre agitata 
V energia di quel Tento > o graTemente 
Delle fianune i' assai l'impeto acerbo. 
Che tosto allor quasi maturo il fiiimio^ 
Squarcia l'opaca nube, e di conisco 
Splendor Taer illustrando ii lampo stuttia« 
Cui tal grave succede alto timbomix>» 
Cbe^ repente pezzati opprimer sem^^a 
Dei eie! gli eccelsi tco^pli. Iodi un gela» 
Tremor la terra ingombra, e d'ogo* Intono 
ScprroQ per Talto ciel murmuri orrendi i 
Che tutta quasi ailor crema sqoassau 
La sonora tempesta, e freme, e mugge/ 
Per lo cui squassamento alta, e feconda 
Tai dall' £tra cader suole ona pioggia , 
Che par, che i'£tra stesso io pioggia Tolto 
Siasi, e che tal precipitando in gioso 
Ne richiami ai dilurio . Ot si tremendo 
Snpn dei ratto squarciarsi 'o ciel le nubi 
Vibraci, e dalla torbida procella 
Del vento in lor racchiuso , allor che rqh 
Con ardente percossa ii fulmin torto.. 
TaiTolta ancor l'impetuosa forza 

Del fcoto esternamente urta, e penJtrn 
Qualche nube j»busM , e di inatUffo^ 



Bt tiro LuftAEtio LiB« VI, ^9 

Fttlmm^glà pregna » onde repente allora 
Quel vortice dì foco indi ruina» 
Che noi con patria foce appeliiam fulmine.' 
£ i' istessp succede anche in mole' altre 
Parti » dovunque m tal furor lo porta . 
Succede; ancor > che 1* energia del vento > 
Benché senz* alcun loco in giù vibrata » 
Pur talot , sientte viene , arde nel lungo 
Corso > per via lasciando alcuni corpi 
Grandi , che penetrar Taore egualmente 
Non ponnoi e dallo stesso aere alci^n' altri 
Pìcciofetti ne rade , ì qua! volando- 
Misti 'n aria con lui ft^rouMi le fiatnn;iè : 
Qual se robusta man di piombo un globQ 
Con girevole fionda irata scaglia» 
Ferve nel lungo corso, allor che molti 
Corpi d' aspro rigor per via lasciando 
Neir aure avverse ha già eoncettp il foco. 
Ma suole anco avvenir > che dallo stesio 
Colpo F impeto grav« ecciti, e svegli 
Le fiamme , allor che ratto io già vibrato 
Senza foco è dei venco il freddo sdegno. 
Poiché, quando aspramente ei fiede in terr/i| 
Pon da luì di vapor molti pi?iocip| 
Tosto insieme concorrere , e da quella 
Cosa, che'l fiero colpo in se ricerer 
Qoal se ima viva pietra è da temprato 

G a 



1 



} 



loo DI Tito Lucrbzi® Lis YI. • 

Acciar percossa; indi fciacilla il (beo; 
Né perché freddo ei sia, que'serai ioremi 
Di cocence splendor meo lievi > e ratti 
Concorrono a' suoi cólpi . In simil gaisa 
Dunque accendersi ancor posson le cose 
Dal fulmia, se per sorte elle son atte 
La fiamma a concepir ; oé puote al certo 
Mai del tutto esser fredde il vento, allom 
Che Còti canto furor dall* alte nubi 
Scagliato e in terra , sicché pria nel cono 
Se co '1 foco non arse, almea commisto ' 
Voli co *1 caldo, e a noi tiepido giunga • 
Ma che il fulmine il moto ahbia sì rapido > 
£ si gtave , e sì acerba ogni percossa , 
Nasce, perché l'istesso impeto innanzi 
Per le nubi incitato in un si stringe 
Tutto , e di giù piombar gran forza ac^piiiti. 
Indi allor che le nubi in se capire 
L* accresciuta sua forza ornai non ponoo 
Spresso e '1 vortice accolto , e però vola 
Con furia immensa ; in quella guisa appuat»' 
Che da belliche macchine scagliati 
Volar sogliono i sassi. Arrogi a questo^ 
Ch*ei di molti minuti atomi, e lisci 
Semi è formato, e contrastare ai corso 
Di natura si fatta é dura impresa. 
Che tra' corpi ei s'insinua, e per lo rata. 



bi Tirò LdcREzìò Lit. VI. joi 

l^enetraj onde per molti urti, ed intoppi 
Puntò non si riticn ; ma striscia > ed oltre 
Vola con ammirabile prestezza. 
In oltre, perchè i pesi kàn da natara 
Tutti propension di gire al basso j 
£ s* avWen , che percossi esternamente 
Siàn da forza ma^ior , tosto s* addoppia 
La prontezza del moto, e viepiù grave 
Divien i* impeto loro , onde più ratto , 
£ con pia violenza < urti e sbaragli 
Tatto ciò, eh' egl' incontra > e non s* arresti < 
Al fin , ciò che con lungo Impeto scende , 
D' uopo è , che sempre agilità maggiore 
Prenda , che più , e più cresce nel corso -, 
E il robusto vigor rende più forti, 
£ più fieri i suoi colpi t e più pesanti « 
Poiché fa, che di lui tutti i pcincipj. 
Che gli son dirimpetto, il volo indrizzino 
Quasi 'n un luogo sol, vibrando insieme 
Tutti quei, che ii lor (y>rso ivi ban rivolto: 
Forse e deli"aria stessa alcuni corpi 
Seco trae , mentre vien , che crescer ponno 
Con gli urti lor, la sua prontezza al moto*/ 
£ per cose penetra illese, e molte 
Ne passa intere e salve, oltre volando 
l^ei lor liquidi foti; ed anche àf&cto 
Mdte ne speaea^, allor qhe i. semi stessi 



jet ©1 Tito tuCREno Un. VI, 

Del fulmine a colpir vati delle cose 
Ne* contesti prkicipj, e insieme avvinti J 
Dissolve poi si facilmente il rame> 
£ il ferrò, t il bronzo, e l'or fervido rende s 
Perchè 1* impeto suo fatto é di corpi 
Piccioli > e mobiRssimi, e di listi, 
£ rotóndi elementi, i quai t'insinuano 
Con somma agevolezza, e insiaoati 
Sciolgon repente i duri lacci, e tutti 
Dell' interna testura i nodi allentano . 
Ma viepiiì oell* autunno i templi ec^celsi 
, Del ciel di stelle tremule, e splendenti 
Squassansi d' ògn* intorno*, e tutta 1^ ampia 
Terra, allor che ridente il colle, e il prato 
Di ben mille color scorna, e dipinge. 
Conciossiachè nel freddo il foco manca, 
* Nel caldo il vento ; e di sì denso corpo 
Le nuvole non soo. Ne' tempi adunque 
Di mezzo, allor del folgore, e del taono 
Le varie eause in on concocron tutte , 
Che Io stretto dell'anno insieme mesce 
Co '1 freddo il caldo, e ben d'entrambi è cT oop 
I fulmini a prodarre, acciò che nasca 
Grave rissa e discordia , e furibondo 
Con terribil tumulto il cielo ondeggi 
£ dal vento agitato , e dalle fiamme.* 
Che del caldo il principio , e il Sa del pig» f 



^ 



M Ttro Lut&izio LiB. Vi io| 

Gelo è stagioQ di primavera s e ^tadi 
lotz'iy che Ton eoa Taitro i corpi tTT6nI 
Pagnino àcérbatneote » e tucbia tutte ^ # 
Le miste còise, £ del calor resctemo 
Co '1 principio del fteddo è il tempo appooto » 
Che autuono lia nome > e in esso ancor con gli aspri 
Verni pagnan i* estari; onde appellarsi 
Debbon ^este da noi guerre dell'anno. 

' Ne per cosa mirabile s* additi > 

Che in si fatta stagioi^ fulmini > e lan^pi 
Nascan , pid che in nuli* altra , ed agitati 
Molti sian per lo ciel torbidi nembi , 
Conciossiacbé con dubbia a^ra battaglia 
Quinci , e quindi é turbata i e quiaci > e quindi 
Or i' incalzan le fiamme > or 1* acqua , e il reato. 

Or quest' e specular l' interna essenza 
Dell' ignifero fulmine , e vedere 
Con qual forza éì produca 1 varj efitti $ 
£ non sossopra rivolgendo i carmi 
Degli anispici Etruschi, i varj segni 
Dell'occulto voler de' sommi Dei 
Cercar senx' alcun frutto: <oode il "vokiite 
Foco a nói giunga , e s* ei quindi si vo^a 
A destra , od a sinistra > ed in qual mòdb 
Penetri dentro a* chiusi luoghi , e coate 
Quindi ancor triòfifantt egli se n' esca i' 
E qual possa apporuc danno a' moi tati 

G 4 



1 ^CI^EZXO tlB. VU 

Soipte'*'^' e 'ti anche alle 
VlbrangU, e Ij ^^^^^^ « 

^ f "*^lot P'à Vigorose , e ^ ^ ^p 



j>i Tvo tucMzro Lij. VI. loy 

Acciò j]uindi TÌcia 1* aspre percosse 
Meglio del celo suo limiti al segno ? 
Io oltre ond'é > che in mar gli avventa , e l'acque 
Travaglia, e '1 molle gorgo, e i campi ondosi è 
£ s* ei vuol , che dei fulmine, cadente 
Schivio gli uomini i colpi , a che no 1 vibra 
Tal che tra via si scerna f £ s' improvviso 
Vuol co '1 foco atterrarne, e perché tuona 
Sempre da quella parte, onde schivarsi 
Possa ^ £. perchè di tenebroso e denso 
Manto innanzi '1 ciel copre, e freme, e mugge? 
Forse creder potiai « eh' egli l'avventi 
Insieme in molte parti? O forse stolto . 
Ardirai di > negar, ch'unqita avvenisse 
Che potesse pili fulmini ad un tracco 
Dah cielo in terra ruinar? Ma spesso 
Avviene } e benché spesso avvenga , e d'uopo , 
Che siccome le piogge in molte parti 
Caggion del nostro mondo, anche in tal guisa 
Caschin molte saette a un tempo stesso. 
Al fin , perché degli almi numi i santi 
Templi, e, l'egregie lor sedi .beate 
Crolla con fulmin violento , e frange 
Spesso ic statue degli Dei costrutte 
Da man dedalea, e con percoissa orrenda 
Toglie air.smmagin.sue l'antico onore ^_ 
£ pejché unto spesso l li^oghi^i^eccelsi 



e 



itcc- ]>i Tito Lucrezio Lt^ VX. 

Ferisce? E noi molti veggiam ne' sommi 
Gioghi d*un foco tal noa dub^j segoli 
Nel resto age7olmeDte indi si puote 

Di quei r essenza investigar , che i Greci 
Presteri nominar da i loto efiètci» ^ 

fi come , e da qua! forza in mar Tibratl 
Piombia dall* alto ciel } poiché talora. 
Scénder suoi dalle nubi entro le salse 
Onde quasi calata alta colonna > 
Cui ferve intorno dal soffiar de* venti 
Gravemente commosso il Butto insano i 
£ qualunque naviglio in quei tumulto 
Resta «orpreso , allor forte agitato 
Cade in sommo periglio: e questo avfieoé» 
Qualor del vento il tempestos* orgoglio 
Squarciar non sa la cava nube adatto. 
Che à romper cominciò ; ma la deprime 
Si > che quasi calata a poco a poco 
Paja dal ciel nell'onde alca colonna t 
Come sia d'alto a basso o nebbia, o polve 
Tratta co '1 pugno , o co 'i lanciar del braccio p 
£ distesa per V aeque . Or poiché '1 vento 
lucioso {a straccia > itidi prorompe 
In mare> e nielle salse omie risveglia 
Il girevtì(le turbo > e il molle corpo 
Della nul^ accompagna : e non à tosco 
Grarida di se stesso ia ttukt l'ha spinta » 



ui Ttio Lisciittio LiB. VX /1^7 

eh* eì tìeir ac(jaè si tuffa , e con tremendo 
Fremito a fluttuar !e sforza , e tutto 
Agita e turba di Nettuno ii regnò . 

Succede ancor , che sé tnedesmò avvolga 
Il vortice ventóso infra le nubi 
Deli* aria , i' seihi lot radendo > e quasi 
Emulo sia del prestici^ suddetto. 
(Questi giunto eh' e in terra , in un momento 
Si dissipa , e di mtbo ,' e diprocellx 
Vomita d'ògn' intórno impeto- immane^ 
Ma perch' ei veramente assai di rado 
Nasce, e forza e, che in terra ostinci i mónti. 
Quinci avvien , che pili smesso npjjar neir ampia 
Prospettiva dell'onde , e a cielo aperto 

Crescon poscia h*, nubi allor che in -questo 
Ampio spazio del ciel , eh* aer si cbiatba» 
Volando mole! còrpi aspri e scabrosi 
D* improvviso s* accozzano in si fatta 
Guisa 9 che leggiermente avviluppati- 
Star fra lor nohdimén possono avvinti. 
Questi primieramente alcu ne picciole 
; Nubi soglion formaiMflp poscia in varie 
Guise insieme V àpjìraRono , e 6>ngiangofao> 
E congiunte s* accrescono , e s* ingrossano 5 
£ da* venti cacciate in aria scorrono/ 
Finche nembo chidel be insorga , e '^àrepiti. 
Sappi ancor > che de* monti il sommò giogo 



I08 DI Tito Lucrezio Izb. VI» 

Quanto al del più vicin sorge emineate. 

Tanto più di caligine condensa 

Puma continuo » e' d' atra nebbia è iogombio ; 

£ questo avvien , perché si tenui in prima 

Nascer soglion le nuvole > e si tare , ^ 

Che il vento , che le caccia , anzi che gli occhi 

Possan mirarle , in un le stringe all' alca ■ 

Cima de' monti , u* finalmente insorta 

Turba molto maggior, folte e compresse 

Ci si rendon risibili, e dal sommo 

Giogo pa jon del monte ergersi ali* Etra s 

Che ventosi nel ciel luoghi patenti 

Ben può mostrarne il fatto stesso, e il senso, 

Qualor d* alta montagna in cima ascendi . 

In oltre, che natura erga da tutto 
Il mar molti principj , apertamente 
Ne *1 dimostran le vesti in riva all'acque 
Appese, ailor che T aderente umore 
Suggono, onde viepiù sembra, che molck 
Corpi possano ancor dal salso flutto , 
Per accrescer le nubi , in aria alzarsi ^ 

In oftre d*ogni fiuqfltaj^ dalla stessa 
Terre sorger veggiaH^ebbie , e vapori , 
Che quindi , quasi aliti in alto espressi^ 
Volano, e di calìgine spargendo 
L'Etere, a. poco a poco in varie guise • 
S*anlsconQ, e a produc bastan le nubi; 



DI Tiro Lucittzio ^LiB, VI. xo^ 

Che di sopra ' eziandio preme il fervore 
Del signifero cielo , e cjuasi addensi 
L'acr socco > 'di nembi orridi '1 copre. 

Succede ancor , che^a tal concorso al e ronde -■' 
Vengan molti principj acri a formare* 
£ le nubi volanti, e le procelle: 
Che ben dei ramnléntar , che senza numero 
6 degli atomi *!- numero > e che tutta 
Dello spazio la somma e senza termine; 
£ con 'quanta prestezza i genitali 
Corpi soglian roiare, e come ratti 
Scorre!: per Ib gran spdzio immemorabile . 
Stupor dunque non é> se spesso in breve 
Tempo , si vasti monti, e terre, e mari 
Copron sparse dai ciel tenebre , e nembi. 
Conciossiaché per tutti in ogni parte 
I meati dell* £tra', e dei gran mondo. 
Quasi per gli spiragli, apena intorno 
fi 1^ uscita, e r cntrsCca a gli elementi. 

Orsù come il piovoso umor nell'alte 

Nubi insieme s' appigli , e come in terra 
Cada r umida pioggia , io vo* narrarti . 
£ pria dubbio non v'ha, che molti seii^ 
D'acqua in nn eòn le nuvole medesme 
Sorgan da tutt* i corpi ; e certo ancora 
È, che sempre di par le nubi, e 1* acqua, 
Che in loro e chiosa , in quella guisa appunto 



t 



Ilo DI Tito LyigaEZio Lia. VI. . 

Crescaa > che ia noi di par cresce co '1 saiag^ 
U corpo, e il suo sudore » e qualunque alito 
Liquore al fin» cfie nelle membra alberghi. 

Spesso eziandio quasi pendenti velli 
Di lana dalle salse onde marine ^ 
Suggqno umido assai > qualora 1 veau 
Spargon suiralcp mar nuvole» e nembi* 
£ per la stessa ^ausa anche da. tutti 
I fiuqdiy e tutc*i laghi all'alte nubi 
L* umpr s' attolle , u poi chjB n^olti semi 
D* acqua perfettameote in molti modi 
D'ogn' intorno ammassati in un sol gr^po 
Si son» tosto le nuvole compresse 
DaU* impeto del vento, in pioggia accolli 
Cercan versargli 'o due maniere in terrai i 
Che r impeto del vento insieme a forza 
Gli unisce ^ e la medesim' abbondanza 
DeUe nuvole acquose, allor che insorta 
N*é turba as^ai maggior, grava, e di coirti 
Freme, e fa, che la pioggia iodi si spaojk* 

Io oltre quando i nuvoli da i venti 
Anco son rarefatti, e dissoluti. 
Da' lai del sol, gronda la pioggia a ittlkf 
Quasi di molle cera una gran massa 
Al -foco esposta $i consumi e manchi. 
Ma furiosa alloc cade la pioggia, 
Che le nubi ammassate a viva forza 



luTftM LUCJUWIQ io. V{. Xll 

Restao gagliardamente, ad ambi i lati 
Compresse » e dal furor d* irato renco r 
jparac poi tango tempo in ano stesso 
Luogo sogiioQ le piogge» aUor eh* iosicmo 
D'acqua si soo mobl principj aGcoIci ;, 
£ ch'altre ad altre nubi» ad altri nemUi 
Altri nembi succedono » e di sopra 
Scorrono, e d'ogn' intorno, e ailor che tutM 
Fama, e '1 ^piotato umor la terra esak. 
{Quindi ae co' suoi raggi il sol risplende 
Tra l'opaca tempesta» e tatta alloma 
Qualche rorida nube ad esso c^posul 
Di ben mille color rarj dipinto 
Tosto n'appar l'oscuro nembo, e formt 
Il grand' arco celeste. Or. ciascun' altra 
Cosa , che in aria nasca , in aria cresca» 
£ tutto xiò ,. che neUe nubi accolto 
Si crea , tatto ( dicb' io ) la nere , l Tenti » 
£ la grandine acerba, e le gelate 
Brine, e del ghiaccio la gran forza, e il.gronde 
Indorarsi dell' acqua , e il fren, che puote 
Atrescar d* ogn' incorno a' fiumi il corso ^ 
Tatte ( ancorché io non le ti spooga) tutte 
Tu per .te non per tanro agerolmente^ 
£ trorar queste cose , e co '1 pensiero 
Veder potrai , come formate , e d'onde 
Prodotte aiaa^ menerà ben sappia ina^ftti» 



lift x>i Tito LoeREZio Lin. VL 

Qual natura conirenga a gli..elemenci • 
Or via» da qual ragion ttemi agitata 
La terra» intendi. £ pria suppor e* e d'aopo» 
^S'ella 9 siccome è faorr, anche sia denteo 
x'iena di yenci , e di spelonche > e molti 
Laghi y e moire lagune in grembo porti » 
£ balze, e rupi alpestri, e dirupati 
Sassi 9 e che molti ancor fiumi nascosti 
Sotto il gran dorso suo Tolgano a fors^ 
£ flutti ondosi, e in lor sassi sommersi: 
Che ben par, che richiegga il fatto stesso/ 
Ch'essere il terren dobo.a se simile 
Debba in ogoi sua parte . Or , ciò supposto, 
Trema il suol per di fuori entro commossa 
Da gran ruine , ailor eh* il tempo edace 
Smisurate spelonche in terra cava. 
Conciossiaché cader montagne intere 
Sogliono, onde ampiamente in varie parti 
Tosto con fiero crollo il tremor serpe : 
£d a ragion^ che da girevol plaustro 
Scossi lungo le vie gli alti edificj 
Treman per non gran peso, e nulla manco 
Saltano 9 ovunque i carri a forza tratti 
Da feroci cavai fan ^delle ruote 
Quinci, e quindi trottar gli orbi ferrati.. 
Succede ancor, che vacillante il suolo 
Sia dagli urti dell'onde orribilmente 



m tiro LuCRizKi tw. VX 113 

Squasfaeo , allor che d' acque iti ampio e rasro 
Lago per troppa, età dalt* imo svelta 
Ruotola immensa zolla 1 io quella, scessa 
Guisa che fermo star oon puoce uo Taso 
In terra > se Tumor prima dod resta 
D'esser commosso dentro il dubbio flutto • 
In oltre allor che d'una parte il vento 
Ne' cavi chìostp jtottertanci accolto 
Scendesiy e furioso» e ribellante 
Prem^ con gran vigor l'alte spelonche» 
Tosto là, 've di lui l'impeto incalza. 
Scosso è il van della grotta , e sopra terra 
Tremano allor gli alti edificj ; e quanto 
Più sublime ognun d' essi al ciel s' estolle , 
Tanto iDchinato più vetso la stessa 
Parte sospinto di cader minaccia ; . . 
E scommessa . ogni trave altrui sovrasta 
Già pronta a rovinar . Temon le genti 
Si , che dell'ampio mondo al vasto corpo 
Credon > eh' ornai vicino alcun fatale 
Tempo sia , che '1 dissolva , e il tutto tomi 
Nel caos : cieco» una si fatta mole 
Veggendo sovrasur... Che se il respiro 
Fosse al vento intercetto > alcuna cosa 
No '1 potria ritener 1 ne dall' estremo 
Precipizio ritrar t quando vi corre »■ -. 
Ma perch'egli ail' incentro altemameore 
di Tit0 Imr, c»9 r . ih H 



314 91 Tiro Lucrezio Lib. Vl# 

Or respira» or rinforza» € quasi arToIlfr- 
Riede,'e cede respinto, indi più spesso > 
Che in ver non fa» di roirìoar mioacda 
La terra • Cònctossiach' ella si piega > 
£ iDdiecio si ri?ersa, e dal gran poodo 
Tratta nel seggio suo tosto ritorna . 
Or *^tiiiidi éj ch'ogni macchina vacilla» 
Pia che nel tn^teop al sommo; < pii nel tntnoi 
Che ali* imo , ove un tal poco appena è mam» 
£vTÌ ancor del medesimo tremore 

Quest'altra causa, allor che irato vento 
Subito, e del vapor chiusa un'estrema 
Forza , o di fuori insorta , o dalla scossa 
Terra negli antri suoi penetra, e qaìyd 
Pria per l'ampie spelonche in suon tremcli» 
Mormora , e i^uando poi portato d in Toltt 
Il robusto vigor, fuori agitato 
Se o' esce con grand' impeto » e fiendefedo 
L'alto sen della terra, in lei produrre 
Suol profiinda caverna . Il che sueoesse 
In Sidonia di Tiro, e nell'antica 
£ga d'Acaja. Or quai cittadi abbarco 
Questo di vapor chioso esito orrendo t 
£ il quind* insono terremoto? In oltre 
Molte ancor rovinar muraglie in term 
Da' suoi moti abbattile , e molte io omm I 
Co' cittaéiai ior cìnaài illoscri -• I 



i 



bl f ITO Luc&Ì2t^to Liii, Vt |1$ 

Caddero » t si posar deli' acque in fondo . 
Che se par non prorompe » aiaen la stessa 
Irorza del chiuso fipirto» tf il fiero crollo 
t)cl Vento >N[uàsi orcor^ tosto si Sparge 
^e* folti pori della Xecrft> t qaindi 
Con non ite?è tremot la séòoce; appunto 
Come quando per Fòssa uù freddo gelo 

. Mal nostro grado ne coihmOTé > e shtìA 
A tremare e riscaotérci. Con dubbio 
Terror dunque paventa il folle volgo 
t^er le città ; tenie di sópra i tetti s 
DI sotto > che natura apra repente 
tt terrestri caverne > 6 1' àmpia gola 
bistratta spanda > e in uh confusa e mist;^ 
I>eUe proprie ruine enipiet la voglia. 
{Quindi, ancorché l^oom creda esser eterna 
La tetra, e ihdélf pur nondinicn commosso 
t)3 si grave periglio avvien talora » 
eh* ei non So da ^ual parte un tale Occulto 
Stimolò tragga di paura, ond'cgli 
Vien Costretto a temer, che sotto i piedi 
Non gii manchi la terra , e voli ratta 
l'è 1 vano immenso , e già sossopta il tutto 
$i Volga y e caggia a predpitio il mondo • 

Or cantat ne convièii, perché non cresca 
il mate . È pria, iliolto stupiste il volgo i 
Che maggior la natura un^ òo '1 rondai 



ìiS VI TiTò 1ck:rszio Lib. Vfc 

Ort scorrób tant' acque j e d' oga' intorbò 
Scende ogni fiume. Aggiunger dei le pbggi 
Vaganti , e le volubili tempeste , 
Che tutto il mar, tutta irrigar la terra 
Sogliono . Aggiunger puoi le fonti s e paté 
fia 1 tutto a gran fatica appo l' immenso 
Pelago in aggrandirlo una sol goccia . . 
Stupor dunque non é , che il mar non ami* 

}n oltre di continuo il sol ne rade 
Gran pane: che asciugar 1* umide vesti 
Con gli ardenti «uoi raggi il sol ei scoigei 
Ma di pelago stese in ogni clima 
Veggiam campagne smisurate i e quindi» 
Benché da ciascun luogo il sol delibi . 
D'umor, quanto vuoi poco, in si gran tram 
Forz*è pur, ch'ampiamente involi ali* onde. 

Arrogi à ciò , eh' una gran parte 1 venti 
Ponno in alto levarne , allor eh' il piano 
Spazzàn del mar , poiché ben spesso in opa 
Notre le vie voggiam aec<^arsi , e il molti 
Fango apprendersi tutto in dure croste. 

In oltre , io sopra t* insegnai , the molto 
£rgon anche d'umor l'aeree nubi 
Da lor dal vasto pelago concetto ; 
£ di turco quest'ampio orbe terrestre 
Spargonlo in ogni parte., allor che Jq ttttk 
piove i e che seco il ycnto i nembi poitt « 



v 



•f Tito Luenizio Li2,/Vi. \if 

Al fin petchè la terra è di sostanzi^ 
Poittsa • « cinge d* ogn* intorno il mare 
JndissolidbilmcQte a lui congiunta , 
Dee , siccome' 1* umor da terra scende 
Nel mar» cosi dalle sals*onde in terra 
Penetrar similmente > e raddolcirsi : 
Perch* egli a tutt* i sotterranei chiostri 
Vlen largamente compartito , e quivi 
Lascia il salso yeleno s e ancor di novo 
Sorge in più luoghi , « tutto al fin s* aduna t 
De* fiumi al capo , e ii^ ideila schiera , e dolce 
Scorre sopra il tcrrcn per quella stessa. 
Via > che per se medesm^ aprirsi 'n prim^ 
Potèo co '1 molle pie Tonda stillante. 
Or qual sia la cagion, die dalle fauci 
D'Etna spirin talor con si gran turbo 
Fochi > e fiamme» io dirò? che gii non sorsf 
Questa di tetro ardor procella orrenda 
Di mezzo a qualche strage, e le campagne 
Di Sicilia inondando ) i convicioi 
Popoli sbigottiti a sf converse ; 
Quando tutti del elei vedendo i templi 
Fumidi scintillar, s'empiano 11 petto ^ 

D' una cura sollecita , e d' un fisso 
Pensiero, onde temean ciò che natura 
Macchinasse di novo a' danni nosui. 
Dunque io cose si fatte a ce coavicof 



i 



Sìt 91 Tito LucaEZio Lib. VL 

Hssar gli occhi altamente» e c['ogti'intotii0 
Disrender lungi in ampio giro il 'guardo { 
Onde poi ti sovvenga esser profonda 
La somma delle cose s e vegga>^uale 
Piccioiissima parte è d*essa un cielo. 
£ qua! di tatto il terren globo un uomo. 
Il che ben dichiarato» e quasi posto 
Innanzi a gli occhi tuoi> se ben io miti» 
£ 'i vedi^ cesserai senz'^alcUn dubbio 
D'ammirar molte cose. £ chi di noi 
Stupisce , se alcun y' ha , che nelle membtt 
Nata da fervor caldo ardente febbre 
Senta» o par qualsivoglia altro dolore 
Da morbo cagionatogli 2 Non torpe 
Airimproyyiso un pie ? Spesso un acerbo 
Duolo 1 denti non occupa, e negli occhi 
Stessi penetra ì li sagro foco insorge , 
£ scorrendo pe *1 corpo arde qualunque 
Parte n'assale , e per le membra serpe ^ 
£ questo avvien, perché di molte, e oioke 
Cose il vano infinito in se contiene 
I semi, e questa terra, e questo stesso 
Ciel ne porta a bastanza , onde ne* corpi 
Crescer possa il vigor d'immenso morbo* 
Tal dunque a tutto il cielo, a tutto il 
Globo creder si dee > che l'infinito 
Somministri a bastanza^ onde repente 



r^ Tntt. JLOCK1894 Ili A ve tt^; 

iAglctfest tremtr po$s« b itcrct , 

1^ per l'ampio sua docso» e soft» laonde 

Scorrer rapida turbiafr> e rateare 

loco r etnea moatagna» c^ fiamme^iaote 

Mirarsi '1 cieL Che ciò ben anche arriene 

Spesso» e gli Eterei templi arder far Tisti^' 

£ di pioggia» o di grandine sonante 

Torbido nemba aera tempesta insorge 

Là, *ye da fiero turbo i genitali 

Semi dell' acfue trasportati a tasa 

Insieme s'adunar» Ma troppa immana 

£* il fiero ardor di quell' incendio . Un fiumey 

Ancorché ia ver non è > par nondimeno 

Smisurato a colai» che alcuào innanzi 

Maggior mai noa ne ride» e snulnrato 

Sembra un albero» an uomoi e^ in ogni specie 

Tutto di che ciascun vede pia grande 

Dell'altre cose a hii simili» il finge 

Immane» ancorché sia col mar pifòfosido. 

Con la terra »;.e col cielo appo T immensa 

Somma d'ogni altra somma un ponto ». «a oolla,. 

Or come dalle tasce etnee fornaci - > 
D'imptoyyiso irritata in aria spiti 
Nondimen q^uella fiamma» ia to* narrarti. 

Pria » tutto è pieti di sotterranei » e cavi 
Antri sassosi 'I lóonte» e in ognun d'essi 
Chiuso sete' alcun dubbio é vento > ed afria » 
H 4 



i 



xaio Di Tito Luchezzo Lib. YIJ 

Che nasce il vento, ore agitata .2 l'aria: 
Questo poiché infiammossi > e tasto lotomoi 
Orunqu* ei scorre > iofuriato i sassi 
Scalda, e la terrai e con veloci fiamme 
Ne scosse il caldo foco, ergesi 'n alto 
JBLapido i e qaindi poi scaccia dal cenerò 
P^r le rotte sue fauci , e lungi sparge 
L'iocendiòso ardore, e viepiù lungi 
5eco ne porta le faville, e volge 
Fra calìgine densa il cieco fumo^ 
£ pietre insieme di mirabil peso 
Lancia ; sicché dubbiar non dei , che qaesto 
Non sia di vento impetuoso un sofEo*. 
In oltre il mar delle montagne all'ime 
Radici i flutti suoi frange in gran, parte» 
£ il bollor ne risorbe . Or fio da questo 
Mar per vie sotterranee ali* alte fauci. 
Del monte arrivan gli antri; indi è mestieto 
Dir , che T acque penetrino , e eh' insieme 
S' avvolgan tutte in chiuso luogo , e fuori 
Spirino; e quindi a forza ergan le fiamme ^ 
£ lancia sassi 'n alto, e sin dal fondo 
Alzin nembi d'arena: in simil guisa 
SoQ dell' alu montagna al sommo giogo 
Ampie cratere, orribili spiragli .* 
(Cosi pria notpinar l'atre fessure, ^ . 
Che fiù da noi fauci chiamate» e bocche.) 



»t Tito lueuxxio Li3.^Vi; li e 

CoQciossiaché nel moado alcune cose 
Troraùsì, delle ^uall addar noa basta 
Uiu sola cagioo; ma moke , ond' una 
Nondimen sia la vera: in emacila guisa 
Stessa > che se da lungi un corpo esangue 
Scorgi d'un uom » che cu m'adduca è focM 
Di sua morte ogni causa , acciò compresa 
Sia queir una fra lor» che né di ferro 
TroTcìai, che perisse» o di tropp'a^rQ 
Freddo, o di morbo» o di velen • ma sola 
Potrai dir , eh' una cosa di ul sorta 
L'ancise, II contar poi> ^1 ella fosse 
Tocca de' curiosi spettatori 
Al Tolgo. Or cosi dunque a me convicof 
Fac di moke altre cose il somigliante . 
Cresce il Nilo l' estate , unico fiume 

Di tutto £gitto,, e delle proprie sponde 
£uor trabocca ne' campi. Irriga spesso 
Questi f Egitto, allor <he'l sixio cane 
Di focosi latrati il mondo avrampa > 
O perche sono alle sue bocche opposti , 
D'estate i Tenti aquilonari ^ appunto 
, Nel tempo stesso che gU Etesj fiati 
Soffiando Io ritardano , e premendo 
L' onde , e forti incalzandole , di sopra 
Oonfianle, e le costringono a scsi hrmet 
Che sccrron senza dubbk> al Milo iaconcra 



< 



Iti DI Tira LvcMitio- Un. VL 

L* Etesie s conciossiacbé dall* algenti 
Sedie gpiran del polo, ove quel fiume 
Fuor dei torrido clima esce dall' aosttoj 
Fra' neri Etiopi , e dal calore arsicci » 
Iodi dal mezzodì sorgendo, appunto 
Pao di rena ammassata anche un gran 
A i flutti avverso di quel vasto fiume 
Oppilar ie sue bocche» allor che il ntare 
Agitato da* venti entro vi spinge 
L'aràia;^ onde avvien poi, che'l fiume ttesf» 
Men libera r uscita» e men proclive 
Abbia dell'onde sue l'impeto, e 1 cono. 
Xsscr forse anche può^ che più che in altro 
Tempo verso il suo fonte acque abbondanti 
Piovano, allor che degli Etesj venti 
Il soflSio aquilonar tutti imprigiona 

I nembi 'n quelle parti , e ben cacciate 
Ver mezzodì le nubi» e quivi accolte» 
£ spinte alle montagne , insieme ai fine 
S'urtano» e si condensano, e si spremono* 

Forse dell'Etiopia i monti eccelsi 

Fanno il Nilo abbondar, qiiando ne* caaipi 
Scendon le bianche nevi » a ciò costrette 
Da' tabifici rai del sol , che cinge 

II tutto , il tutto alluma » il tutto scalda • 
Or via cantar conviemmi i luoghi » e i laghi 

Attrai i e qua! natura abbiano la loro > 



\ 



m Tito LucitErto LxB. W l%ì 

Brevemente naifarcL In prima adunque 
Che si chiamino avernt» il noma e tmtta , 
Dalla lor qualità ; poiché nemici 
Sono a tatti gli aagel. Perch'ivi appens^ 
Giungon Tolando» che scordati affiitto 
Del rigor delle penne , in abbandono ^ 
Lascian le vele , e qua » e li dicf ersi 
Ruinan con pieghevoli cerrici 
A precipizio in terra» s* è pur tuie 
La natura dei luogo» ovvero ÌA acq^a» 
Se un lago ivi si scende. Un stmil la^ 
È preso a Cuma assai vicinq al monte 
Vesuvio, ove continuo esaian fumo 
Piene di calde fonti atre paludi. 
Enne un d'Atene in sulle mura in ciqda 
Della rocca di palla, ove accostassi 
Non fur viste giammai rauche cornici s 
Non «Itor che di 'sangue intrisi e lordi 
Fumano i sacri altari i e in cosi fatt« 
Guisa fuggendo van <, non le vendette 
Deli' adirara Dea» qual già de' Greci 
Cantar le trombe adulatrici, e faiset 
Ma sol per se medesma ivi produce 
La natura del luogo un tal effètto. 
Fama e ancor, che in Soria si trovi un aluo 
Averno , ove non pur muojan li a^Ui > 
Che sopra vi volati ma che non pdfiu 



i£4 i>i '^'vo Lucrezio Lib. Vi. 

V'abbiati dei proprio pie segnate l'orme 
Gli animali quadrupedi > ehe a terra 
$ian forzati a cader; non . altrimenti 
Che se a. gì' inferni dei repente offerti 
Fossero in sacrificio . E tutto epiteto 
Vtttdc da cause naturali , e noto 
N' é il lor principio ; acciò tu forse , o Memmfo, 
Dell' orco ìri piuttosto esser non creda . 
La sparentevol porta * e quindi avvisi , 
Ghe nel cieco Acheronte i Numi inferni 
Per sotterranee vie conducan Taime: 
Qpal fama è» che sovente i cervi snelli 
Conducan fuor delle lor tane i serpi 
Co *i fiato delle nari; il che dal vero 
Quanto sia lungi, ascolta. Io veggo al fatto. 
Pila torno a- dir quel, che sovente innanzi 
Io dissi i e questo è , che figure in terra 
Trovansi d'ogni sorte atte a produrre 
Lt cose; e che di lor molte salubri 
Sono all'uomo, e vitali s ed anche molte 
Atte a "renderlo infermo , e dargli morte. 
£ che meglio nutrir ponno i viventi 
Questi semi, che quei, già s'è dimostro 
Per la varia natura, e pe- diversi 
Congiungimenti insieme , e per le prime 
Forme tra lor difformi. Altre inimiche 
IPon dell'uomo all'orecchie, altre alle nasi 



if^ Tito LuciLBZio Liti, VI, iftf 

Btttse contrarie» e di malvagio senso 

Altre al tatto i altre ali' occhio , alcu alia lIogHa « 

In oltre veder puoi 9 quanto sfap molte 

Cose aspramente a' nostri sensi infe9.te . 

Sporche I gravi» e nojose. In prima a- eertt 

Alberi die natura una si grave 

Ombra , che generar dolori acerbi • 

Di capo suol, se sotto ad essi akuno 

Steso fra l'erbe molli incauto giacque. 

£' stt'l monre elicona anche una pianta. 

Che co'I puzzo de* fior gli uomini uccide. 

poiché tutte da terra ergonsi al ciclo 

iTai cose, perchè misti in molti ìnodi 

Molti de*lor prioeipj in grembo asconde 

La terra, e separati a ciò che nasce . 

Distinfamente gli comparte. Il lume » 

Che di fresco sia spento , allorch' oficie * 

Ha co '1 grate nidor 1* acute nari , 

Ivi ancor n'addormenta. £ per lo grave 

Castoreo addormenuta il capo inchina 

La donna s^pra gli omeri , e non sente , 

Che^il s|io bel lavorio di man le cade» 

Se il ficfta, allorché de' suoi mestrui abbonda « 

£ molte andie oltre a ciò cose possenti 

Trovansi a 'rilassar ne' corpi umani 

Le illanguidite membra > e nelle propfie 

Sedi interne a turbar V.^nimo^t r«fana. 



t 



Ixi bt Tito lucftEzio Lis*VL 

AI fiti se cu ne* htiìAì laracri 
JEstterai bed satoHo» e trattenerti 
Vorrai nei sòglio del liquor bollente» 
(guanto flgeToT sarà, che al vaso in metto 
Tu maggia? £ de'carbon i* alito graV6 » 
£ l'acuta virtd quanto penetra 
Tadlmente il cernei > se pria bevuto 
Non abbiam d' acqua un sorso ? o se te tttiis 
Membra innanzi non copre il fido setro t 
O st da* penetrabili suoi datdi 
Con grato odor non ne difendè il rioo^ 
£ non vedi tu ancor > cbe nella Stessè 
Terra il solfo si genera ^ e che il tetro 
Puzzolente bitume ivi s' accoglie ? 
Ai fin dove d' argento > e d*or le vede 
Seguon» cercando dell' anti<!a madre 
Con curvo ferro il più riposto grembo^ 
forse quai spiri allor puzzi maligni 
La sotterranea cava , e che gran dannci 
Faccian col tetro odor gli aurei metalli | 
Quai degli uomini i volti > e qdai de' tolti- 
Rendan tosto il color i non ycdi> d fòtsà 
Non senti 'n quanto picciolo intervallo 
Soglion tutti perir quei , chef dannati 
Sono a forca a tal opra ? £gli è tòestiet^ 
Don^ i che tài bollori agiti, e tolga 
Io 49 la tem» e fuor gfi spiri ^ e sparge 



191 Tito Ioaiiziò 1x1« Vìi [>i7 

¥er gli aperti del elei campi patenti. 

Tal denno anche a gli augelli i luoghi tterai 

Tramandar la morciiera pcssaoaa > 

Che spirando dal suoi nell* aure molli 

Sorge» e il eiel di se stessa infetto rende 

Da qualche parte •ove non prima è giuoto 

L'augel, che dal non >lsto alito grave 

B* improvviso iassalito il toIo perde > 

£ tosto la> dovie la term indrizta 

li nocivo vapor, cade, e fcaduto 

Che V è > ^uel rio velea da tutti i membri 

Toglie de} virer suo gli ultimi avanzi t 

Poiché quasi a principio un tal fervore 

£ccita> onde avvien poi» che già caduto 

l' Ne* lonti stessi dei velen > gti ^ ioma 
La vita aftatto vomitarvi > e l*almas 
Coneiossiaché di mal gran copie ht intottkV' 

Succede anche talor » che questo stesao 
Violento vapoìt de' luoghi averni 
Tutto f aet frapposto apra, e discacci ^ 
Sicché quindi à gli angei tosto rimanga 
Vuoto quasi ogni spastoi ond* ivi appena 
Giungon, che d'improvviso a ciascun d^^ÈÙ 
Zoppica delle ptsne il vano sferzo » 
£ il dU>attef dell'ali è tutto indarno. 
Or qui ) poich'è lor tolto ogni vigiM 
Deir alt i t ^oitentitt ornai noti poftfOt 



14 8 w Tito LvcniLZio Lx«. Vt 

Tosto dal natio peso a forza tratti 
Caggiono ia terra a precipizio , e tutti 
Qua, e là per lo ruoto ornai giacendo 
Da* meati del corpo esalaa Taline. 

Freddo è poi nell' estate cntto i profondi . . 
Pozzi Tumor; perché la terra allora 
Pe '1 caldo inaridisce , e se alcun seme 
lÌ:Qe in se di yapor , tosto il tramaad* 
Nell'aure. Qr quanto il sol dunqu'é pia caldo, 
Tanto il liquido umor, che in terra è chiuso, 
Più gelato divien ; ma quando il nostro 
Globo presso è dal freddo, ei si condensa, 
£ quasi in uil. s'accoglie. È d'uopo fU ccriD, 
Che udora nil ristringersi ne' pozzi 
Sprema, se caldo alcun cela in se stesse. 

fama è , eh* un fonte sia non lu agi al tem^ 
D' Ammon , che nella luce alma del gtorm 
L'acque abbia fredde e le riscaldi a notte. 
Tal fonte è per miracolo additato 
Pa quegli abiratofis.e il volgo crede. 
Che dal sol violento entro commosso 
Per sotterranee vie rapidamente 
Ferva, tosto che'l cieco aer notturno 
Di caligine orrenda il mondo copre i 
11 che troppo dal ver lungi si scosta. 
Posct^hé se trattando il nudo corpo 
Dell' àcq[ua il sol dalla^ superna parte» 



Vi T/ro lucRBZio Lib, VI. izp 

Non può punto scaldarlo» alloc die vibra 
Pien.d'un tanto feryor 1* ecereo lame, 
'Bìy come pouà cocer sotto terra, 
Che di corpo è si densa , il freddo umore > 
£ co '1 caldo yapore accompagnarlo ì 
Massime quando a gran fatica ei puote 
Co' gli ardenti suoi rai de' nostri alberghi 
Penetrar per le mura, e riscaldarne? 
Qual dunque è la cagion ? Certo è mestieto , 
Che intomo a questo fonte assai più rara 
Sia, ch'altrove» U terra > e che di foco - 
MoHi vicini a lui semi nasconda , 
£ quinci avvien, che non si tosto irriga 
La notte d' ombre rugiadose il cielo , 
Che il tcrrcn per di sotto incontinente 
Dlvien freddo , e s' unisce . Indi succede , 
Che quasi ei fosse con le man compresso» 
Spremer può tanto foco entro a quel fonte » 
Che il suo tatto, e il sapor fertido renda. 
Quindi tqsto che il sol cinta di raggi 
l^asce, e smove la terra > e rarefatta 
Co'l suo caldo vapor l'agita, e mesce, 
Toroan di novo nell' antiche sedi 
Del foco i corpi genitali, e in terra 
Dell'acque il caldo si ritirai e quindi 
Fredda il giorno divien l'acqua del fonte « 
In oltre il molle umor da' rai dei 8ol$ 
di Ti$0 Lmr. C4r0 T$mé 11. I 



Ijo DI Tito Lucrezio Lib. VU 

Yorte è commosso, e nel dìatnò lame 
Dai suo tremulo foco è rarefatto i 
E quinci avTÌen > che quanti, egli 4* arÌ(^e 
Semi 'n grembo ascondea , tutti abbandoni: 
Qual sovente anche 11 gel > che in se contiene 
Muta , e il ghiaccio dissolve , e i nodi allenta. 
Freddo ancora è quel fonte, ove posata 
La stoppa , in un baien concetto il foco 
Vibra splendide fiamme a se d' intomo s : 
£ le pingui facelle anch'esse accese 
Dalla stessa cagion per Tonde a nuoto 
Corron , dovunque le sospinge il veotos 
Perché nell'acque sue molti prlncipj 
'Son certamente di vapori, e fdrza 
È, che da quella terra in sin dal fondo 
Sòrgan per tutto 11 fonte, e spirin fuori 
Nell'aure uscendo delie fiamme i semi( 
Non si vivi però, che riscaldare 
Possan nel moto lor 1' acque del fonte.: 
In oltre un cotal impeto gli astringe 
Sparsi a salir rapidamente in aria 
Per r acque , e quivi unirsi ; in quella stessa 
Guisa che d* acqua dolce in mare un fonte 
Spira, che scaturisce, e a se d'intorno ' 
Le salse onde rimove. Aòz' in molti altri 
Paesi il vasto pelago opportuno 
A 1 nocchier sitibondi util compatte» 



^i Tito Luceczio Lib. VI, tii 

Dolci dal salso gorgo acque esalando: 
Tal dunque uscir da quella fonte ponao 
Quei semii e insinuarsi eilcro alla stoppai 
Ore poi che s* uniscono, e nel legno 
Feo etran delle faci, agevolmente 
Ardon, perché le faci anco, e la stoppi^ 
Molti senti di foco in se nascondono. 

Forse non yedi tu , che se a* notturni 
Lumi di fresco spenta una lucerna 
5' accosta , ella in im subito s'accende 
Pria che giunga la fiamma? Or nella stess« 
Guisa arder soglioa le facelles e molte 
Cose oltre a ciò dal vapor caldo appéna 
Tocche, pria da lontan splendono accese/ 
Che l'empia il foco da vicino: or questo 
Scesso creder si dee ', che in quella fonte 
Anche all'aride faci accader possa. 

Nel resto io prendo a dir, qua! di natura 
Scambievole amistade opri, che questa 
Pietra , che i Greci con paterna voce 
Già maf^nete appellar, pere h' ella nacque 
Ne'confin di Magnesia, e in lingua tosca 
Calamita vien detta, allettar possa 
Il ferro, e a se tirarlo. Or questa pietca 
Ammirata è da noi perch'ella forma 
Spesso di varj anelli una ca'cena ^ 
Pa lei pendente ; e ben talor né lic^ 
^ " I * 



i3» ^i Tfro LvcKEZto Lib." Vi. 

Cia^e vederne , e più con ordin cerco 
Disposti esser da liere aura agitati -, 
Qjialor questo da quello a lei di sotto 
rCongiunto pende ; e quel da questo i lacci 
Riconosce» e il vigor dal nobil sasso: 
Tanto la forta sua penetra, e vale. 

Ma d'uopo, è, che in macerie di cai sorta. 
Pria che di ciò> che si propose, alcuna 
Verisimil ragion possa assegnarsi 
Sian molte cose stabilite e ferme; 
E per troppo intrigate , e lunghe vie 
Giungervi ne convien . Tu dunque atceatr 
Con desioso cor porgi l'orecchie . 

Primierainente confessar e d* uopo , 

Che da ciò , che si vede , alcuni corpi 
Spirin continuo ) e slan vibrati intorno,. 
I quai gli occhi ferendone, /a visca, 
Sian atti a risvegliarne ^ e che da certe 
Cose esalin per sempre alcuni odori $ 
Qual dal sok il calor, da* fiumi *i freddo, 
Dal mare il flusso > ed il reflusso edace 
Dell'antiche muraglie a i lidi intomo: 
Ne ccssin mai di trasvolar per l'aure 
Suoni diversi» e finalmente in bocca 
Spesso di sapor salso un succo scende, 
Qiiando ài mar siam vicini > ed all'iocootio 
Riguardando infelici il tetro assenzio 



»1 Tito LuceezxO L1B.VI. li^ 

Ne sentiam 1* amsi'ozza . In cosi fetta 
'Guisa da tatti 1 corpi il corpo esala, 
£ per Taer si sparge in ogni parte} 
Né mora , o re^aie in esalando alcuna 
Gli e concessa gianotmai, mentre ne lìce " 
Continuo il senso esercitare, e tutte 
Veder sempre le cose , e sempre udite 
li suono, ed odorar ciò che n'aggrada. 
Or convien, che di' novo io ci ridica, 
Quanto, raro, e poroso abbiano il corpo 
Tutte le cose, di che 'i mondo^è adorno» 
Il che , se ben rammenti , anch' è palese 
Fin dal carme primier • Poiché ^uantun^ue 
Sia di ciò la notizia utile a molte 
Cose, ptiocipalmente in questo stesso. 
Di eh' lo m* accingo a ragionarti , è d'uopo 
Subito stabilir , che nulla a' sensi 
Esser può sottoposto altro che corpo 
Misto co 'i yfuto • Pria dentro alle care 
Grotte Sudan le selci, t distillanti 
Gocce d' argenteo umor grondano i sassi : 
Stilla in noi dalla cute il sador molle: 
Cresce al mento la batba , al capo il crtoe « 
Il pelo in ogni menibro: entro alle vene 
Si sparge il cibo, e s'augumeaca, e nutts. 
Non che 1* estreme parti , i denti , e l' ugna ; 
Passar pe '1 rame similmente il iceddo 

la 



Ì34 oi Tito Lucrezio Lib. Vt 

SeQti , e'I caldo vapor; isenti passarlo 

Per Toro, e per 1* argento , allor eh- aTvmd 

Con man la coppa; e finalmente il suono 

Vola per l'angustissime fessure 

Di ben chiuso edificio: il gel dell'acque 

Penetra» e delle fiamme il tenue, spicco > 

E de* corpi odorosi , e. de* fetenti , 

L'alito acuto; anzi del ferro stesso 

Non curar la durezza, e [ìenetrarlo 

Sudi li, 've d'ogn' intorno il corpo £ Qgom 

Di fino usbergo , il contagioso morbo > 

Bench* ci venga di fuori: e le tempeste 

Insorte in terra , in ciel fuggon repente 

Dalla terra , e dal ciel; che nulla al moodi^ 

può di non raro corpo esser contesco. 

S' arroge a ciò , che non han tutti UQ tea» 

I corpi, che vibrati esalan fuori 

Da sensibili oggetti; e che non tutte 
Pon le cose adattarsi a un modo scesso ^ 
Primieramente il sol ricoce, e sfoYza 
La terra a inaridirsi , e pure il sole 
Dissolve il ghiaccio , e V altamente estmtte 
flevi co' raggi suoi su gli alti monti 
Rende liquide, e molli: al fin la éera , 
Esposta al suo vapor si strugge» e maacs» 

II foco similmente il rame solve, 

t> Voto, e *1 fa Hassibile» ma tragge 



[ 



DI Tito iucMzxa Lia. VI. X3Sr 

le caro! 9 e ilciiojo» e in un le accoglie > e scriage. 
L' icc[ua y il ^&no ^ e V acciar tratto dal foco 
Indura, ed al calor le carni, e il cuojo 
Indurato ammoli^ce. Alle barbute 
Capre si grato cibo è l'oleastro, 
Che quasi asperso di nettareo succo 
Par y che stilli d' ambrosia i ove ali* incenero , 
Nulla è p^r noi pili di tal fronde amaro. 
Timido al. fin l'Amaracino , e tutti \ 

Jugge gli unguenti il setoloso porco ; 
Perché spesso è per lui crudo veleno 
Quel , che co '1 grato odor sembra , che l'uomo 
Talor ricrei -, ma pe '1 contrario il fango 
A noi spiaceTolissimo » a gl'immondi 
Porci è si dileccerole, che tutti 
Insaziabilmente in lui conrolgonsi^ 
Rimane ancor da dichiararti innanzi. 

Che di ciò ,. eh* fo proposi , io ti ragioni: 
Che avendo la natura a varie cose 
Molti pori concesso y egli è pur forza. 
Che sian tra di lor diversi, e ch'abbian tatti 
La lor propria natura , e le lor vie. 
poiché son gli animai di varj sensi 
Dotati, e ciascun d'essi in se riceve 
11 suo proprio- sensibile: che altrove 
De' succhi penetrar vedi '1 sapore , 
Altrove il^suooo^ e adcor l'odore altipve . 

I 4 



ryS »1 Tito Cuc&ezxo Lijn Vlk" 

la oltre insinuarsi altre ne* isassi 
Cose reggiamo» altre nel legno, td zitte 
Passar per l'oro, e penetrar l'argMico . 
Altre, ed altre il cristal; poiché ^u min 
Quinci scorrer le specie, ir quindi'! caldo « 
£ per gl'istessi luoghi un pili d*iin aluo 
Corpo rapidamente ih-^rco aprirsi } 
Che certo a ciò la lor nati^tra. Stessa 
Gli sforza, Tarlando in molti modi 
Le vie, qual poco innanzi io t'ho dtmosbv 
ter le forme difformi, e per l' interne- 
Testure. Or poi che stabilite e ferme ■ 
Tai cose, e con buon ordine disposte » 
Quasi certe premesse, a te palesi 
Già sono, o Memmio, apparecchiate e poBkì 
Nel resto agevolmente indi mi lice ' 

La ragione assegnarti, e la verace 
Causa svelarti , onde 1* erculea pietra 
Con incognita forza il ferro tragga. 
Pria f9rz' è , che tal pietra in aria^ esali 
Faor di se molti corpi, onde un fervore 
Nasca, che tutta i' aria «rd, e discacci 
Posta tra '1 ferro , e lei . Tosto che ruoto 
Duncpie comincia a divenir lo spazio 
Predetto, e molto luogo in mezzo resta >• 
jy uopo e , che sdrucciolando i- genitali 
Soni del fcno entro a guel vs^ Ufkki 



01 Tito Loc&izi* LiK VI xj/ 

CaggUn repente; e che lo stesso anello 
Segua» e tutto cosi corra pe *I yuoco: 
Che cos* altra non v'ha, che da* suoi primi 
£iemeati connessa, ed implicata 
Sia con lacci più fotte insienae avviata 
Del fredd'orror del duro ferro. £ ^[uiQdi 
Meraviglia noa é> se ihoiti corpi 
Dal ferro insorti per lo vano a volo 
Non van> qual poco innanzi io t'ho dimosuoj 
Senza che il moto lor lo stesso anello 
Non segua $ il che fa certo > e segue ratto 
Fin che giunga alla pietra > e ad essa ornai] 
Con catene invisibili s'attacchi. 
Questo avvicn similmente in ogni parte > 
Onde Tuoto rimanga alcun frapposto 
Spazio , che o sia da' fianchi , o sia di sopra ^ 
Tosto caggiooo io lui tutti i vicini 
Corpi; poiché agitaci esteviamente 
Sol da colpi continui» e per se stessi 
Forza non han da sormontar nell' aure . 
S'arroge a ciò per ajutarnc il moto, 
Che tosto che da fronte al d^to anello 
L'aer pia raro è divenuto» e il luogo 
Pia vacuo» incontinente avvien» che l'aria» 
Che dietro gli è » quasi '1 promova » e spinga 
Da tergo .innanzi i poiché /' aer Itempre 
Tatto ciò, che circonda) iotòrno sferaa. 



i 



J3> »1 Txrp LucRizio 1«. YU 

Ma spinge il ferro a Hoc , perchè lo spiuio 
Vuoto è dati* un de* lati , e può capirlo • 
Or poi ch'egli del ferro alle minute 
Parti s'è socciltnencc insinuato, 
Pe'suoi spessi meati innanzi 1 caccia , 
Come il vento nel mar naviglio , e Tcta. 
Al fin tutte le cose entro il lor corpo 

( Conciossiacbé il lor corpo è sempre raro ) 
. Denoo aver d* aria qualche parte ; e i' aria 
Tutte V abbraccia d* ogn* intorno , e cinge • 
Quindi e, che l'aria, che nel ferro è cbivi» 
Con sollecito moto esternamente 
È mai sempre agitata; e però sferza 
Dentro > e move l'anello inver la stesta 
Parte , ove già precipitò una volta i 
JE nel van > presa forza > il corso indentai • 
Sì scosta ancor dal dettò sasso , e fugge 
Tal volta il ferro; ed a vicenda amico 
Il segue , e se gli appressa . lo stesso ho tÌMO 
Entro a* vasi di rame, a quai supposta 
Sia calamita, saltellar gli anelli 
Di Samotracia $ e piccioli frammenti 
Di ferro in un con essi ir furiando: 
si par, che di fuggir da questa pietra 
Godi il ferro} ed esulti > ove interposto 
Sia tame: e nasce i^lpr discordia tanca » 
Perchè, poi che nel ferro entra » e l'apecct 



\ 



DI Tito Lucrezio Lini Vt J3|i 

Vìe del rame il ferver tutte interchiade> 
Indi a lui 1* ondeggiar segue del sasso ; 
£ rtovando già pieno ogoi mesro 
Del ferro » ornai non ha > come avea innanzi p 
Luogo y ond' oltre varcar: dunque costretto^ 
Vien nel moto ad urtar spesso» e petcote 
Nelle ferree testure ; e in simìl guisa 
Lungi da se le spinge» e per lo rame 
L' agita > e senza quel pòi le rlsocbe • 
Ne qui vogrioy che merariglia akuot 
Tu prenda , che il fervor > che sempre «sala 
Fuor di tal piètra » a discacciar bastante 
Kqti sia nel modo stesso anco altri corpi* 
Poiché nel pondo lor parte affidati 
Restano immoti , e tale è l' oro i e parte > 
Perchè rato hanno il corpo, e passa intatto 
Il magnetico flutto > in alcun luogo 
Scacciati esser non ponno : e di tal sorta 
Par y che sia il legno . Or la natura dunquj^ 
Del ferro in mezzo posta, allor che Tatia 
Certi minimi corpi in «e riceve» 
Spinta è da' semi del magnesio sasso» 
Né tai cose però sono aliene 

Dall'altre in guisa ul, eh* io non ne jpossa 
Molte cotktaéy che unitamense insième 
Si congiui^ooo anch* esir. In prtnui io tfggio 
p)0 la sola caliiiia aggluttnafit 



14^ DI Tito Lucrezio Lib. Vt# 

Le pietre e i sassi. Si £ongiunge Insxemo 
Con la colla di torro il legno in guisa , 
Cba i* interne sue vene assai pia spesso 
So'glion di propria imperfezione aprirsi , 
Che di punto allentar le commessure 
I taurini lacci abbian possanza . 
Con rumor delle fonti il dolce succo 
Del Tin si mesce, il che non può la gttve 
Pece> e Foglio leggieri ma quella ai fendo 
Piomba delle chiar' acque •» e yì sormonta 
Questo y e galleggia . Il porporin colore 
Deli* eritree conchiglie anch' ei sommerso 
Cade ; e pur questo istesso unqua Doa puete 
Dall' amica sua lana esser disgiunto . 
Non se tu per ridurla al suo natio 
Candor col /lutto di Nettuno ogni arte> 
Ogn* industria porrai; non se lavarla 
Voglia con tutte 1' acque il mar profondo. 
Al fin con un sol glutine s'unisce 
L'argento all'oro, e con lo stagno 11 rame 
Si salda al rame. £ quante omai ne lice 
Altre cose trorar di questa sorte ^ 
Che dunque ? Ne tu d' uopo hai di A lunghi 
Rivolgimenti di parole ; ed io 
Perdo qui troppo tempo: onde sol resta» 
Memmio, che tu dai poco apprenda ii molto. 
Quei corpi, che a vicenda h^n la testura 



\ 



mi Tito Luc&izto Lib. VL 14^ 

Tai , che il cato dell' ano al pien dell* altr» 
S'adatti insieme, uniti ottimamente 
Stanno, ed. anch' esset può, ch'abbiano alcuni, 
Altri principj lor, quasi in anelli 
Currati , e a foggia d' ami ; e quindi accaggia > 
Che s'avrinchin Tuo l'altro, il che succedere 
Dee , phi che a nulla , a questa pietia , e al ferro . 
Or qual sia la cagion, che i fieri morbi 
Reca, ed onde repente» appena insorto , 
Fo5;ia il cièco, relen d' orrida peste 
Strage tanto mortifera all'umano 
Germe arrecar , non che a gli armenti > e a'greggi , 
Brevemente dirotti. In prima adunque 
Saiy che gii t'insegnammo esser Tirali 
Air uom molti principj ; ed ali' incontro 
Morbo anche molti cagionare , e mortef^J 
Qiiesti poi che. volando a caso insorti 
Forte il ciel conturbar , rendono infetto 
L'aere, e quindi Yien poi tutto il veleno 
De' morbi y e del contagio, o per di fqiori 
Come veggon le nuvole, e le nebbie 
Pe '1 ciel cacciate dal soffiar de' venti -, 
O dalla stessa terra umida, e marcia 
Per piogge, e soli intempestivi insorto 
Spira , e vola per l' aria > e la corrompe • 
Forse non tedi ancor tosto infernuni 
Per norità di clima ^ e d'aria^ e d'acqua 



1 



14^ i>x Tito Lucrezio Lib. VI. 

Chi di lontati paesi, ove già vìsse. 
Giunse a' nostri confìn ? Sol perchè vario 
•Molto i da questo il ior paterno cielo . 
Poiché quanto crediam, che diftèrente 
Sia dair Anglico ciei l'aria d' Egitto , 
Là > Ve l'Artico polo e sempre occulto ? 
£ quanto variar stimi da Gade 
Di Ponto il clima > e dagli Etiopi adusti ì 
Conciossiachè non pur fra se diversi 
Son quei quattro pacasi, e sottoposti 
A i quattro venti principali > e a' ^attro 
Punti avversi del cielj ma varj ancora 
Gli uomini di color moho, e di faccia 
Hanno. £ generalmente ogni nazione 
Vive alle proprie infermità soggetta. 
Nasce in mezzo all'Egitto, e lungo il fiume 
Del Nilo un certo mal, che lebbra è detto t 
Nér pi» s' estende . In Atide assaliti 
Son dalle gotte i pie . Difetto , e duolo 
Soglion gli occhi patir dentro a gli AcBiri 
Confini . £ d' altre parti , e d* altre naeiabni 
Altro luogo è nemico. Il vario clima 
Genera tal ef&tt0 5 e quindi avviene , 
Che se un cielo stranìer turba, e commòve 
Se stesfo , l'aria a noi nemica ondeggia/ 
Serpe, qual nebbia a poco a poco, o oabei 
£ tutte» ovunque passa» agita e tutha 



mi Tito lucRizio LiB. VL «4)^ 

L'aer, e tutto il trasmutai e finalmente 
Gl'unto nel nostro ciei dentro il corrompe 
Tutto, e a 8c 1* assomiglia, e stranio il rende. 
Tosto dunque un tal morbo , e unn tal nova 
Strage cade o nelf acque , o nelle scesse 
Biade penetra > o in altri cibi,, e pasci 
D'uomini, e d'animali) o ancor sospeso 
Resta nell'aere il suo >eleno; e quindi 
Misto spirando, e respirando il fiato 
Siam con l'aure vitali a ber costretti 
Quei mortiferi semi . In simil guisa 
Suol la peste sovente anche assalire / 

I buoi cornuti, e le ^belanti greggte. 
Kè mónta, se in paesi a noi nemici 
Si vada y o muti cielo , o se un corrotto 
Aer ^spontaneamente a noi d* alt'ropde 
Sen voli, o qualche grave, e inconsueto 
Spirto, che nel venir generi '1 morbo. 
Una tal causa di contagio , un tale - 
Mortifero fervoc gii le campagne 
Ne' Cecropj coufin rese funeste, 
Fé' deserte le vie , di cittadini 
Spopolò le città: poiché venendo 
Da'confia deir«£gitto , ond'ebbe in prima ^ - 
L'origin sua, molto di cielo, e molto 
Valicato di mar , le genti al fine 
Di Pandione assalse } iodi appestati 



ì44 PI ^>TO lucftEi^io Li^ VL 

Tutti a schiere morian . Primieramente 

Essi aTean d*un ferrore acre infiàmmau 

La testa , e gli occhi rosseggianti > f Egitti 

Dì saoguioosa luce. Botro le fauci 

Colavao marcia, e da maiigDe e tetre 

Ulcere iotoroo assediato, e chiuso 

Era il varco alla yocej e degli umani 

Sensi, e segreti interprete la lingua 

D'atro sangue piovea debilitata 

Dal male, al moto grave, aspra a toccasi. 

Indi poiché '1 mortifero veleno 

Sceso era ai petto per le fauci, e giunto 

Air affannato cor , tutti i vitali 

Claustri allor vacillavano: un orrendo 

Puzzo voigea fuor della bocca il fiaco > 

Similissimo a quel, che spira intorno 

Da' corrotti cadaveri: già tutte 

JLanguian dell* alma, e della mente a&tta 

L'abbattute potenze, e sulla stessa 

Soglia ornai della morte il corpo inferma 

Languiva anch' egli : un' ansiosa angosci^ 

Del male intollerabile compagna 

Era , e misto co 1 gemito un lamento 

Continuo, e spesso un singhiozzar dirotto 

Notte, e di senza requie, a ritirarsi 

Sforzando i nervi , e le convulse menabn > 

Sciogliea dal corpo i traTAgliaci spirti 



il Tni LfK^Kto LiB. VI. 14 f 

NoJ4i a fio]a aggiiaageodo» e duolo a dsolo . 
Né A sotvMhio arder fervide alcuno 
Avea r escime parti , anzi 'a toccarle 
Tepide, si sentian.* di guati inuste 
Ulcere rossegiante era per tutto 
U inferno corpo $ in quella guisa appunto > 
Che suole allor che per le membra il sacro 
loco si sparge: ardea nel petto intanto 
Divorante le viscere una fiamma; 
Nello stomaco ardea quasi un'accesa 
Fornace » si che non potean le membra , 
fuorché la nudità > nulla soffrire » 
Benché tenue e leggiero: al vento, al freddo 
Vofontarj ^esponeansi : altri di loro 
Neil* onde algenti si lanciar de*fiùmi : 
Molti precipitosi a bocca aperta 
Si gettavan ne* pozzi : era si intensa 
La sete, che immergea gli aridi corpi 
Insaziabilmente entro le fredde 
Acque ; che breve stilla all' arse fauci 
Parean gli ampj torrenti. Alcuna requie 
Non avea il mal: sranchi giacean gl'infe^^nii 
Timida l' arte Macaonia , e mesta / 

Non s' ardia favellar . L' intere notti 
Privi affatto di sonno 1 lumi ardenti 
Stralunavan degli occhi, ed altri molti 
Oavanf segni di morte: era dell'alma 
di Tin LM€r. Cw r. //. K 



14^ DI Tito Luca£Zio Lia.' VI 

PcrturUata la mente, e sempre loToItt 
Tra cordoglio» t timor ; rugo» il cig^^y 
Serero il volto^ e furibondo: in oltre 
Sollecite l'orecchie^ e d*un eterno ^ 
Romore ingombre: il respirar frequente» ' 
£ grande > e raro: d'un sudor gelato , 
Madido il collo, e splendido: gii spati 
Tenui, piccioli, e salsi, e d'un colore 
Simili al croco, e per Tarsicce» e zanck 
Fauci da grave tosse appena eretti. 
I nervi in oltre delle mani attrarsi . 
Solean, tremar gli articoli, e dappiedi 
Salir pian piano ali* altre membra un geb/ 
Duro nunzio di morte : avean compnsve 
Fino all'estremo di le nari, in puntai 
Tenue il naso^ ed aguzzo, occhi sfeóati, 
Cave tempie e coatraite , e fredda ed aspa 
Felle , ed orrido ceffo , e tesa fronte; 
Ne molto già dalla penosa , e cruda 
Morte oppressi giacean : la maggior pam 
Perian l'ottavo di , molti anco il nono 
l^salavan io spirto i e se alcun d' essi 
V'era (clie v'era pur) che da si fiero 
Morbo scampasse , ei nondtoien corroso 
Da sozze piaghe, e da soverchia, e oeta 
Proluvie d* alvo estenuato , al fine 
Tisico si moria. Con grave duolo • 



Si %ifb LUCREZIO Li«. vi. i4f 

£)i testi anche caler putrido sangue. 
Grondar solea dairopitate nari 
In si gran copia, che prostrate, e dome 
Dell' infermo le fotze, a dileguarsi 
Quindi 1 corpo astringea. Chi poi del tetro' 
Sangue schivava il gran profluvio, ingombri 
Tosto i nervi j e gli articoli dal grave 
Malor sentiasi; e nn ristesse partì 
Genitali del còrpo. Altri temendo 
Gravemente la morte , il virii sesso 
Troncar co '1 ferro: liltri restaro in vita 
Privi de* piedi , e delle mani j ed altri 
P^rdean degli occhi i dolci amati lumi: 
Tale avean dei motir tema > e spavento i 
£ molti ancor della trascorsa etade 
la memoria perdean , sicché se stessi 
Noir pptean più Conoscere. £ giacendo 
Qua , è 12 di òadaveri insepolti 
Smisurate cataste > 1 corvi, e i cani, 
I nibbj , i lupi' non per unto , e l' altre 
fiere belve, ed^ augelli , o fuggian lungi 
Per ischifare II lezzo; o tocche appena 
Con r affamato rostto,, o co '1 digiuno 
Dente le carni lor, tremanti ai suolo' 
Cadeanò' anch' essi , e vi morian IsTo^Uido. 
Né però temetiarìo alcun aug^Uo^ 
Ivi '1 g{iòhi9 crppafifi) né daik selve 
K X 



X43 DI Tito tucjiEZio Lii. Vt, 

Nel notturno silenzio usclaa !e fiere r 
Languian di lor la maggior parte opprent 
Dal morbo, e si morian. PrincipaltncQCe 
^teso in mezzo alla ria de' fidi cani 
L'ai>battuto vigor, Tegra, e dolente 
Alma vi depooeai poiclsè '1 veleno 
Contagioso del mal toglieva a for^a 
Dalie membra la vita . Erano a gara 
Rapiti i vasti funerali > « senza 
L'usate pompe. Alcun rimedio cerco 
rìd comùn non v*avea. Ciò che ad àfcimo 
Diede il volgersi 'n petto il vital apirto 
Dell'aria, e il vagheggiar del cielo i canpS» 
Ruina ad altri apparecchiava , e morce . 
Fra tanti , e si gran mali era il peggioce 
D*ogni altro » e il più crudele, e miseraadoi 
Ch'appena il morbo gli assalia, che tucit 
Quasi a morte dannati, e privi af&t^ 
D' ogni speranza , sbigottiti , e mesti'' J 
Giaceansi $ e con pietoso occhia guardando 
Degli altri i funerali , anch' essi *a bttfe 
Senz'ajuto aspettar, nei luogo stesso 
Moriansi : e questo sol , più che nuli* altioi 
Strage a strage aggiungea , che il rio 
Peir ingordo malor sempre acquistava i 
Nuove forze dagli egri, e sempre quindi 
Nova gente assalia . Poiciic chinngue 



IH Tifò LxstKMÈÌo tlB. Vi. ìiP 

Troppo di Tiver desiosi , e tro|;>po 
Timidi di morir fuggian gì' infermi , 
Di Tisi€4ir negando i suoi pia cari 
Amici > anssi soTence emp) aborrendo 
La madre > il padre > la consorte , i figli > 
Con morte inCtme abbandonati , e priri 
D* ogni umano argumento , il fio dovuto 
Pagayan poi di si gran fallo i e quasi 
Bestie a torme morian per poca^ cara « 
Ma chi pronto accorrea per ajutarli» 
Periva > o di contagio, o di soverchia 
fatica > a cai di sottoporsi astretto 
£ra dalia vergogna, e dalle voci 
Lusinghiere degli egri, e di lamenti 
QiierttU miste. Di tal mòrte adunque 
Morian tutti i migliori, e contrastando 
Di seppellir negli altrui luoghi i proprj 
Lor morti , dalle lagtime » e dal pianto 
Tornaran stanchi i* loto alberghi . In Iettò 
Quindi giacca la maggior parte oppressa 
Da mcftbia > e dolor i né si potea 
Trovare in tempo tale , un che non fosse 
Infermo, o mono> o io grave angosciai o io pianto * \ 
la oltre ogni pastore, ogni guardiano 

O* armenti , e già con essi egri lai^gulano 
I nervuti bifoleni, e nell'anguste 
Lor capanne stivati, e dall' orenda 

1 



t jo DI TiTd Lucrezio Lib. ^t^^ 

Mendicità, più che dal mortx) , «pprtiim : 
S'arrendeaao alla morte. Ivi miratsl 
Potean su i figli estinti i genitori 
Cader privi di vita ; ed ali* incontro 
Spesso de'cari pegni i corpi iassi 
Sovra i padri, e lo madri esalar Talma^ 
fSè di sì grave mal picciola .parte 
Concorse allor dalle vicine ville 
Nella città: quivi *1 portò la copia 
De* languidi Yillao , che vi convenne 
D'ogiìi parte appestata. Era già pieno 
Ogni luogo , ogni albergo ; onde auguttiati 
Da sì fatte strettezze ognor più crude 
La morte a]lor gli nccumulava n^oaci. 
Molti da grave insopporiabil sete 
Asprameiìte abbattuti il proprio corpo 
Gian voltolando per le strade , e giunti 
A i bramati silani , ivi distesi 
Gi.aceansl 'n abbandono , e con ingorde 
Br^me nel dolce umor bevean la morte. 
£ n)olte anche , oltre a ciò > vedute avitrà 
Per le pubbliche vie miseramente 
D'ogn* intorno perir languide membra 
D'uomini semivivi, orride e sozze 
Di funesto squallore, e. ricoperte 
Di viiissimi stracci , immonde e brutte 
D*ogoi lordura, e con l'arsiccia pelle 



Bi Tito Lucrezio Lib, VI, i j t 

Seccia sulle nad' ossa , e quasi a£Fatto 
Nelle sordide piaghe ornai sepolta . 
Tutti al fin degli Dei gti eccelsi templi 
£ran pìeui di morti , e d* ogn' intorno 
Di cadaveri onusti •• i lor custodi 
Fatti 'n van per pietà d'ospiti infermi 
Gli avean refugio ; e degli eterni , e santi 
Numi la maestà, la veneranda 
, Retigion quasi dei tutto ornai 
S'era posta in non cale. Il duol presente 
Superava il timor. Più non v'avea 
Luogo y antica usanza > onde quel pio 
Popolo seppellir solennemente 
Solca gli estinti : ognun confuso e mesto 
S'avacciava all'impresa, e al suo consorte» 
Come meglio potea , dava sepolcro . 
£ molti ancor da subito accidente » 
£ da terribil povertà costretti 
Per cose indegne: i consanguinei stessi 
Ponean con alte spaventose strida 
Su i roghi altrui , vi sopponean l' ardenti 
Faci, e spesso fra lor gravi contese 
Facean con molto sangue, anzi che privi 
D'ufficio estremo abbandonare i corpi. 



K 4 



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■*■ li 



FEDRO 

TRADOTTO 

D A 

GIO: CRISOSTOMO 
TROMBXLLI. 



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N TIZI. E ; ,, ^. 

F E D ii Ó, 






V^Uanto sappiam di ceno su questo 
nitido ed utile favoleggiatore^ si riduce 
a due cose sole ; eh' ei fu Liberto d'^u- 
:gi*Mò , f nativo di Tracia . Come venis- 
se a Koma^ e perchè "fosse posto in' li- 
bertà , noi dice alcuno . Forse perchè 
era letterato. La letteratura sempre ha 
prodotto^ qualche gran bene , malgrado 
Pierio Valeriano de infelicitate Utterato^ 
rum . Cristio s* immaginò ^ che non vi fo^ 
se mai Fedro al mondo • Ma Marziale 



Ip aomiiim ; e dopo icd Axììù Sesto A^ 
le sne fiirole pubblicate la prn 
volta dal iPiteo in Troies nel i^^^r 
Cbioiio euminate dai dotti , e c^edme 
degno per la lor tena latinità del lecii 
VAatpnos 



•vir 



^i7 

DE L L E 

FAVOLE 

DI F E D R O 

LIBERTO D'augusto: ' 

LIBRO primo: 

PROLOGO. 



c>iOn metro uaiil> né a dure leggi aTratio» 
Ciò eh' Esopo inreacò > resi pia adorno . 
Due pregi lia II libricciuol i il riso . more » 
( con saggio consiglio il viver regge. 
Se* alcun mi reciii a biasmo che le piante » 
Non che le fiere.» abbia a parlare indotto ; 
Che son finti taceonti gli fovrenga. 



I5i IiB. I. Fay. t 

F A V 'O L A I. 

Il lufo^ $ V Agnello. 

c\ Uà rio medesmo , da la sete spinti » 
i' Àgoello e 'i Lupo eran venuci . Il (u'pcr 
Al fonte più vicia ; da lunge assai » 
Be?ea l* Agoello; «lior che ingorda £i{nc' 
Punse il ladron ^ ricercar tal rissa. * f 

Perchè l'^acqua, a lui dice « osi turbarmi 2 
L' Agnci tremante: intorbidar poss* io' • 
L'ondar che dal tuo labbro al mio cràscorit! 
Quegli vinto dal vcrt ma tu soggiujne » 
Pin da sei mesi con acerbi motti lO 

M'oltraggiasti: Io non' era allora nato, 
L' Agnel risponde: affé, riprende il LupOi 
Che .yillania ii padre tuo mi disse . 
Cosi r addenta^ e ne fa Ingiusto scempior-r 
La favoletta per coloro è scritta* i^ 

Che eoa falsi pretesti r buoni oppricnoho. 

FAVOLA lì. 

Le Sitine , che chiedenr un re •' 



R 



£tta fiorìa da giuste leggi Atene i 
Allor che troppo libera Utenza, 



LìbI I. f Av. II. r54r 

Sconvolse h cittì» sicché del retto 
Santo prtmief costume il fren le tolse i 
Né guarì andò, cbe le fazion' s^ unirò > '5 
£ fcr Signor Pisistrato . La grave 
Lor servitade i ciccadin' piangendo r 
Non già perché crudel fesse costai, •' 
Ala chi avvezzo non é , mal soffre li giogo : 
Raccontò ^esta . novelluccia Esopo. io 

Sciolte da servicude eran le Ranes 

Qua/ido d* aver, un re vogliose r a Giove 

Con tai grida il' richleser, eh' e' ridendo , 

Un picciol travicello a lor destina. 

Lo strepito che fa ne ('improvviso 1$ 

Cader, sgomenta il pauroso gregge* 

Ala poiché lungo tempo impantanato 

Giaceva» da lo stagno chetamente 

Una alza a caso il capo, il guatai e l'altre 

Aduna, e mostra il rege: arditamente lO 

Salgoftvi sopra a gara y e dopo averlo 

U ogni ftccift imbrattato , ambasciatóri - 

Spedirò a Giove, tal sovran chiedendo, 

Ghe con la forza i rei costumi affreni , 

Se quello far noi puote. Immantinente ly 

Lor manda Giove un Idro, che a Io stagno 

Giunto appena, le ingoja ad una ad una. 

Vorrìan fuggire-, ma il timor Je* antsta ;- 

Né dà lor campo 4idimplo»r mettedcv 



ié9 LiM. L Fav. m. 

A Mercurio coamettoa di ntseoto 

Che chieda pietà a Gio?e: ma il grao Pftdre : 

Poiché un re buono , dice » yì àìapi^cqfit 

Abbiatene un crudele. £ Voi ancora 

Tollerate costui $ un mai più grare 

Se noi soffrite , citudin* , t* aspetta . 

FAVOLA III. 

L4 CamMcehié sttptrbd $ il Fjtv0m§ , 



L £r insegnarci y anzi ch'ambir Taltrm^ 
Dei ben' che*] ciel ci diede, ad esser pMdit 
Di tal esempio Esopo ci prorvide « 

Una Cornacchia follemente altera» 
D* alcune piume ad un Paron cadute , 5 

S* adorna, e le Cornacchie avute a rile» 
Fra i bei Pavoa'si mischia. A la sfacciata 
Essi STclgon le penne, e si co' rostri 
L' inseguon, che mal cancia, e in Vaa gemente» 
Ver le antiche campagne il vob iadrisza > i^ 
0ve/ acerba sostiene acre ripulsa. 
Una di quelle allor th' avea sprezzate : 
Sptacertt non dovean nostri abituri » 
Né a sdegno aver ciò che ti die oatara • 
Cosi sfuggita quella beffa aresti , 



tJè accorai ti potrebbe or la ripulsa. 
Che schernita u rendei ed infelice • 

FAVOLA IV, 

21 Csni €b$ féHn U càfn$ ptr lo fiume • 



B 



£a è ragion , che 1 suo perda colui , 
Che r altrui di rapire avidc^ agogna . 

Con carne in bocca a nuoto per un fiume 
Passava un Cane. La fallace immago. 
Che forman Tacque» a credere l'induce, 5 
Che altro Cati v'c con altra carne in bocca. 
Tema rapirla, aa liinan l'ingordo 
Deluso ì r afferrata a lui V invola , 
Ne r altra cai btamà » toccar potrò . 

f A V O L A V. 

La Vf^4i U CsprM , U FicorSi '0 il li&nv. 

kJHx di lorza preirai 9 la fe non serba i 
£ ben' chiaro il dimostra il mio racconto • 
Una Vacca, una Capra, ed una Pecora» 
( Che più eh' altro animai le ingiurie loffirc ) 
* B$4r9 le Isv^TomoIL L 



1 



f 



x6x tiB. I. Fav. y. 

Ne'boscki a caccia d'un Leon compagne, { 
Fero d' un Cervo d' ampia mole preda . 
Ne fa il Leon le parti , e si soggtugne: 
Prendo > poiché son re, la ptima: V «altra 
È mia, perchè son forte: anche la terza. 
Se vi avanzo in valore , a me si debbe . 10 
5e alcun poi contrastarmi osi la quarta, 
Fia che sciagura incontri . In cotal g^i8a 
Lo sleal tutto il Cervo a se destina» 

FAVOLA VI. 

QuirelM delle Rane contro al UU» 



D 



' un vicin ladro le pompose nozze 
Esopo vide> e a cosi dire imprese: 

Volea il Sole ammogliarsi , quando altlstifflc 
Strìda fino a le stelle alzar' le Raae . 
Mosso a cotesta petulanza Giove» 
Ne richiese il perché. Ora se tutti 
I laghi , una risponde, ei solo asciuga » ' 
£ ardente sete noi meschine uccide $ 
Che fia se figli da cai nozze ottenga i 



LiB. l Fav. vii. e Vili, ist 



FAVOLA VII. 

La Volpe ad una Maschera o sìa fascia 
da scena . 

O Imbattè in una Maschera la Volpe: 
OH qual beltà di cerve 1 , disse, è priva! 

f A coloro il narrai» cui se fortuna 
Die gloria e onor , fu di buon senno avara , 

FAVOLA Vili. 

Il Lupo e la Gru . 

Oe da* malvagi ricot^nsa attendi» 

Doppio é il tuo errore: a*rei soccorso appresti» 
Né potrà tua follia ime impunita. 
^ Erasi al Lupo ne la gola fitto 
Un osso » , che dal dolor forzato , j 

Alto premio propose a chi ' il traesse . 
AlHo la Cm dal giuramento indotta , 
Fidando il lungo collo al Lupo in bocca, 
Giunge a le fauci, e con suo' gran periglio. 
Trattone l'osso, ogni dolor gli toglie. io 
Chiesto il promesso premio; il Lupo: ingrata, 

L t 



È 



j^4 Li». I. Fav. IX. k X 

pa che fuor di mia gola impune il capo 
Traesti, non se* paga , e mercè chiedi? 

FAVOLA IX. 

Il Passere , # U Lepre. 



ì 



Un folle avviso dar consiglio altrui , 
Né curar se medesmo. In brieve il mostro: 

^ Fra gli artigli de 1* Aquila una Lepce 
Alumenre gemea . Sì la dileggia 
Un Passere: dov'è tuo lieve corso, 
£ come i piedi cosi tardi avesti ? 
Parlava ancora, e lo Sparvier repente 
Lo afferra, e a morte m van gemente iftragge» 
benché di vita è sui ^kfin la Lepre , 
Quasi r altrui rechi af^o mal conforto*- IO 
Tu che sicuro, dice, mi schernirvi. 
Con pari duolo il tuo destino or piagni • 

F A V O L A X. 

n Luf e U Vilpe wnMHzi mlU Scimmia 
Uro giudice, 

.^H* ad un , s*è colto una fitta in frode s 
Se poscia dice il ver fé noa si presti ^ 



ti» I Fav. XI. 1^5 

Coli briere favoluzza Esopo il mostra . 
^ Accusata di furto era da un Lupo 
La Volpe: essa 16 niega . Elètta è Giudice f 
La Scimmia > che le parti entrambe udite , 
.Si parla: lu tkòà sembri arer perduto 
Lupo > ciò che richiedi , e avrai rapito ' 
Tu Volpe ciò ch'accortamente nieghi«' 

FAVOLA XI. 

Z^Asinp e it Lione f ehi vanno isictU . 

^Hi a le parole egual non ha valore > 
Ancorché, uno stranier tal volta inganni 1 
Da chiunque il conosce è avuto a scherno* 

^ Volle a caccia un Leone ir col giumento; 
Di fronda il copre, e che con voce strana f 
Le fiere intimorisca, ad esso impone; 
Ch'ei prese nel fuggir poscia le arebbe. 
V orecchiutellò grandi strida innalza , 
Da cui , è dai difforme ignoto aspetto 
Le fiere intimorite per le note 
Strade tentan fuggir ; ma impetuoso 
Il Leone le assale, e ne fa scempiò. 
Da la strage indi stancò, a sé il richtaM» 
Ed a lui h di pid gridar divieto . 
Esso aUiec: di mia voce or che ci sembra? )f 



% 



Uè tlB. I FaV. XI. E ^ìl. 

Tanto, il Leon soggiugne, che se ignota 
Erami la tua scblacca , e '1 valor tuo , 
Sarei , se fuggir' V altre , io pur fuggito . 

FAVOLA XIL 

Il Cervo aiÌM fónte, 

Spesso ajdiyien , che cosa avuta a vile 
Util più sia che la tenuta in pregio : 
£ chiaro vel dimostra il mio racconto; 

* Presso ad un fonte ove bevuto arca, 
Fermossi un Cervo , e la sua im magia y\ds » 
£ le gracili gambe dileggiando ^ 
Le ramose alte corna ammira > e loda^ 
Quando de' cacciatori a le improvvise 
Grida atterrito > con veloce corso 
I campi passa, e folta selva il celai 
£ la turba de' Cani in van lo slegue , 
Ma da l'eccelse corna trattenuto. 
Da' fieri morsi a dura morte è addotto T 
O me infelice I è fama che dicesse 
Allor morendo: veggio al fin qual danno 
Ciò che lodai m'apporti, e quale aita 
Mi recò ciò eh' a torto ebbi in dispregio. 



LiB. I. fat. xiri. B XIV. 1^7 

FAVOLA Xni. 

té Volpe e il Corv0 . 

^l peDte In van cai finta lode alletta , 
Che ria vergogna suo mai grado il segiie; 

^^ Mangiar yolea soyra alto ramo assiso 
Il cacio tolto a una finestra il Corro. 
La volpe il vede : o come belle sono y 
Dice> le penne tue! qua! leggiadria 
Ne le tue membra scorgo , e nel sembiante \ 
Se ^1 resto è ugual la voce , fra gli augelli 
Nessun tuoi pregi adegua: allor lo stolto 
Per farsi udir > lascia la preda , e canta • 
L'ingannevol Vòlp^^ta avidamente 
Il cacio addenta. AUor s'avvide il Corvo } io 
Ma taf di, e si lagnò di sua, follia. 
Sempre al valor prevalse l'accortezza. 

F A V O LA XIV. 

XI CiÀbattinù fintosi hUditù . 

ljL Povertà ridotto un Ciabattino , 
In luogo ignoto andonoe > e là si finse 
Medico , e dispacciando finti Antidoti > 

I- 4 ' 



La cai sciocche»» 6 ^ 

, A V O t A ^^* 

Ss il Principe si «=»«?»' Jp,eacc il «>me* 
U" alt"» «»6»'' 'tekve raccónto osegna^ 
Che ciò sia l^^XlcV^o V Asincl pasce». 
* Nel prato un Y^.^ g„d». 

Ma Ae* neirn" » \ /..ino esorta, 
^Uto. a fag- lj^f^„«mhi ia P«d*' 
^^ Per non restar de 



[Uè. t Fa^.XVI. e VI!. T^f 

Et però })on s'affretta, e kl Vecchio chiede,^ 
Se doppia sdtna il Yjncitor g(' impotiga ? 
No > gli risponde il Vecchio . £che m'impom y io 
Di aver tuoVo padroo > s' ugual n*fao il p^so f 

FAVOLA XVI. 

Il Cit^ùé è U Teeoral 

Ln prestito chiedendo uoni frodolentoy 
S' offra mallerador simile a lui , 
Anzi eh' assicurarti > ordisce inganno .- 

^ Con sicurtà del Lnpo, ad uùa Pecora f 
Un moggio di frumento il Cerro chiede. f 
Essa che inganno cerne: suole il Lupo 
Rapir, risponde, e ratto girne altrove; 
£ tu del pari a gU occhj altrui t* involi . 
Se in giadicio a chiamarvi un di costretta 
Verrà eh* io siai dove dovrò cercarvi? io 

FAVOLA XVn. 

1« Pecora , i/ . Cane $ il tufo . 

lEna incontra chi tesse ai buòni ingaonò. 

^ D' aVer datò ih prestanza un Cane lofiàse 
A la Pècora un pafie, e a lei Io cbtèir. 



i 



t 



ifo tiB. I. fav; XVIII. B XIX- 

Citato il Lupo in testimonio , attesta 

Che diece , non che un solo > a lui dorea * f 

Sicché da falso tescimonio astretta , 

Paga ciò che non dee. Di pochi andaro» 

Che vide il Lupo ne la fossa s e questa 

J>e la tua fraudé , disse > e la mercede • 

FAVOLA XVIIL 

La Donna partoriente i 



N 



Essun brama tornar ov'ebbe danno . 

^ Già scorso il tempo , ed imminente il partOi 
Su ^a terra giacea stesa una Donna . 
Strida > ed urli mandando . £ perché in letto » 
Lo sposo, dice, non ti corchi, u* meglio > f 
Di natura deponga il grave incarco ? 
Perché veder non so (quella risponde) 
Come, ove nacque il mal, guarir si possa. 

FAVOLA XIX^ 

La Cagna partoriente^ 

}£ cortese é un malvagio, inganni adopra. 
£d a schifarli il mio racconto insegna* 
^^ Fra' dolori di parto una sua amica 



X<18. Ig Fa7. XX. ^ft 

Cagna, un'altra pregò, che le lasciasse 

Depor nel suo tugurio i p argoietti -, 5 

£ agevolmente V impetrò : ma poscia 

Che se ne andasse instando l'altra, a* nuovi 

Prieghi ricorre , e un brìeve tempo chiede. 

Finché la prole maggior forza acquisti. . 

L'ottieu; maallor ch'il luogo vuol per l'altra, jO 

Essa dice, il darò, se 11 tuo valore. 

Me insieme, e i figli miei combatter possa. 

F A V O L A XX, 

/ Cani famtliei, 

. Olle consiglio, ed e di effètto privo, 
£ i mortali in roioa , e a morte adduce* 

^ D*un fiume in fondo videro dna pelle 
/alcuni Cani; in vana speme addotti 
Di trarla fuori , incominciaro a bere s f 

Ma gonfj pria creparo , anzi che il coojo 
Ad assaggiar alcun di loi giugnesse. 



L 



171 Lis. I. FXV. XXr. 1 XXII. 

FAVOLA XXr. 

U L<$9n$ veeMoy il Cipmli^ il T$r^ 
e VA$ÌM. 

L^Hi da l'antica dlgoicà decade 
Allòr che pia l'inseguc avversa sorte. 
Scherno divien de gi' infingardi àncora. 

* Privo il Leon di forze, e d*anal carco. 
Sa l'estremo confin del viver suo > 
Qual fulmine il Cignal, col dente acuto. 
Prende di torto antico alca vendetta. 
Poco ne va , che il Toro , del nemico 
Il ventre con le corna, e fere, e scjuarcla. 
L'Asin che scorge impuni irne le offese, io 
La fronte del Leon coi calci infrange. 
Esso morendo, inf!n> disse , che i forti 
M' insultato 9 mi dolse; ma ch'uà vile 
Disonor di natura osi cotanto, 
ià io lo .sofira > doppiamente io mubjo . 

FAVOLA XXIl. 

Le Donnola , e V Uomo 7 



lA Donnola da un Uom dianzi presa, 
Pec la morte sfuggir tai preci porge. 



' tia. IFaV. XXIII. ijrjt 

Tengo h casa taa netta da' topi • 

Perciò cortese a me pierdona. L'altro; 

Se per me tu il facessi, io l'avrei càrOf < 

£ a le preghiera tue sarei cortese » 

Ma poiché a goder ciò che godrian essi» ^ 

Tue cure impieghif ed essi pur dÌTòri; 

Cotesto benefizio inVan millanti: 

£ in cosi dir la cattivella uccide • JO 

^ Riconosca diretto a se il racconto 
Chi sovvenendo altrui, se stesso avanza» 
£ un vano merto a gl'imprudenti estolle. 

FAVOLA XXIIL 

Jl Cane fidili. 



u 



N* Improvvisa iiberalitade , 
Se a' folli piace , i saggi in van lusinga .' 

^ Un ladroncel notturno per Ht provai 
Se col cibo amicarsi possa il Cane» 
Un pan gli porge. Il Cane a lui lilMlo* 
Ch'io taccia, dice , tu lo speri in4tiiM>3 
A pia vegliar cotesto don m'aitrtgne» 
Tal che del mio tacer tu non profitti. 



f^ LiB. 1. Fav. XXIV. E XXV. 

FAVOLA XXIV. 

U Rana erefata e il Bui . 

L^Hi dal destino avaro ha scarsi beni , 
Se il grande imitar yaol , raina incontra . 

^ Da la Rana in un prato il Bue fu visto; 
£ punta da livor di tanta mole, 
Gonfia la scabra pelle , e chiede a' figli > 5 
Se ancora il Bue ne la grandezza avanzi. 
Rispondono , che no . Elia più gonfiasi , 
E chi maggioi^ fia , ctócde : II Bue ripetono . 
Sdegnata alfi^ > con tal forza si gonfia , 
Che rottasi la pelle , estmta giace . 

FAVOLA XXV. 

Il Cant e il Cocidrillo. 



'£ SMKTs scherno espóne» e in van s*adoprai 
Chi coodur tenta i saggi a' rei consigli . 
^ Che bean correndo sitibondi i Cani 
Al fiume Nilo , per non esser preda 
De Cocodrilli, e fama. Un Cane adunque ^ 
Avendo in guisa tal impreso a bere; 
A Ini an Cocodrillo : A tuo grand' agio 



li». T; Fav. XXVI. i7i 

tei presso al fiame, e non temer d'ioganno. 
L* altro dice, il £irei , se qael desio > 
Ch'hai di mia carne, a me fosse nascpso . io 

FAVOLA XXVI. 

U Volpe ^ < U Cicogne. 



N 



Oo offendere alcun : ma chi n* oflèada l 
A mendicar > Ja fa?oletta insegna. 

^ Dicesi, che la Volpe invitò a cena 
Una Cicogna, ch'apprestar si yide 
In largo piatto liquida vivanda: $ 

Talché tutta lambir la può la volpe; 
Il famelico augel nulla n'assaggia. 
£ cpesto pur a cena 1* ditto invitai 
£ posto etico cibo in vaso angusto , 
Tutto col becco agevolmente il prende, i<o 
£ si pasce a sua. voglia . Indarno Takra , 
Cui tormenta ria fame, il collo lamhe. 
Si allor parlò l'augello ; Invan ti lagtti » 
Ch'altri il tuo esempio in danno tu» àrolga. 



i>4 )ti«. l'Ut, 3srvn ft xxvirt. 



A 



FAVOLA XXVII. 
Il Csnr , il Tesoro e V Avoltojo , 



Dattata a gli avari e la novella > 
k, ad UQ , che nato in umile fciftuna > 
A la fama di ricco avido aspira . 

^. L'ossa dun tiom dissotterrando un Oi#è 
Trovò un tesor. Gii Dei d* Avecao in pcn» f 
Del sacrilego ardir , la copidigia 
GÌ* inspirar' di ricchezze. Tal desio 
L* ingombra si , che cibo alcun non cura » 
Onde da dura fame e alfin oonsaoto. 
Sul cui cadaver sceso 1* Aroltojo , io 

Ben giusto e, dice, che tu giaccia estimo; 
Poiché ^iloienie in strada conceputo» 
£ cresciuto a! letanse > ia un istante 
pi regali ricchezze t'invaghisti. ■■-'■■ 



N 



FAVOLA XXVIII. 

Ls Volpo e l'Aquila. 



On dispregi il possente un uom delvalgt 
Cui non previsto apre vendetta il viirco" 
^ Iflg^Qoso peosier. L* Attila i figli 



•&1* I.-Fiv. XktX. J77 

Rapi a la Volpe, e a i figli suoi nel nido 

Li die in cibo: la prega l'altra indarno, 5 

Poiché r augel > cui la sublime cima 

Rendea sicuro > i preghi altrui ffon cura. 

La Volpe, che sue preci ir vede a vuoto, 

Da l'altare una fiaccola rapita , 

Tutto di fiamme 1* albero circonda; io 

£ la morte de' figli a lei minaccia. 

L* aùgoi cui de la pròle il rischio afEinùa , 

5upplice i JVulpicin* salvi le rende . 

FAVOLA XXIX. 

I* jisino mottigtaton del CigitMle , 



G 



Li stolti -co* motteggi un piacer liete 
Cercando ,. fanno altrui Tillana offésa , 
£d espoi^gon se stissi a rio periglio. 

^ Col Cignafe incontrafbsi un Giumento, 
Buon di fratel , gli dice . Egli ri saluto 5 
Rigetta , e d* onde e* fia fratel gli chiede ? 
Almen ( 1* Asin risponde , estratto il pene ) 
Se iù altro par che a te non rassomigli. 
Questo mi par al cefib tuo simile « 
Assalir lo voleva, e^ farlo in brani xo 

Il Cignale *, ma pur l' ira rattenne i 
diluirò UI4V.T.11. M 



t'pZ LlM. l, Fat. XXX. t 

E agcTol fora vendicarmi , ci dice , 

Ma, lordarmi di un vii sangue non voglio. 

f A V O L A XXX. 

L4 Rsnt che ummo $ comhattimesti de^Tarh 



J Ono 'i plebei in gran periglio allora > , 
CJbe vengono a tepzon fra k>ro i grandi» 

^ Vide i Tori pugnar da la palude 
Una Rana > e a noi > dice qual sovrasta 
Strage crudeli Perchè, soggiugne un'altra, { 
Se per regger la mandra e la tenzone , 
£ lontaii da gli stagni e il. lor soggiorno?' 
Ne natura comun , ne tetto abbiamo» 
Risponde -, ma colui che riman Vinco, 
I boschi abbandonando , ne gli slagni lO 

Asconderassi , e noi fuggenti invano 
Col duro pie schiacciando infrangerà ; 
£d «eco a noi funesto il lor furore. 



Ut. I. Fav. XXXI. t7f 

FAVOLA XXXI. 

2l Nibbio § U Colombi i 

L^Hi per difesa ad uom insto s* affida^ 
Doyt ajuto ei ricerca , danno incontra , 
^ Spesso col ratto volo le Colombe > 
If Nibbio predatore avean deluso. 
A la frode e' ricorre ; onde 1* inerme 
Stuolo tragge in inganno; e perchè , dice , 
In continua angoscia i dì menate ì 
Meglio fora > che fatta lega insieme , 
Il comando io n' ottenga • A n' andrete 
Per mia difesa da gli oltraggi franche . 
Esse credule al Nibbio in man si danno > !• 
Che fatto lor Signore , or questa or ciucila 
Presa fra' duri aitigli , si divora . 
Una di quelle allot che eran rimase: 
Tale il volemmo , s* é crudel couui • **- 

A rin$ del Libro Frimo , 



M a 



Ilo - . 

DELLE 

FAVOLE' 

F E D R 



LIBRO S £ C ti D 0, 
PROLOGO. ' 



D 



£' mortali a i desiri impoogon freno 
I racconti > onde Esopo a noi fé' dono , 
Talché il comun fallire si corregga , 
E induscre ingegna ad acuirsi apprenda: . 
Quinci qualunque sia la faYoletta> ) 

Se dal ptoposto fin non s* allontani , 
E diletti l'orecchio , illustre assai 
Non per 1* Autor, ma per se stessa é Topra. 
Del saggio vecchio ad Imitar lo stile, 
tnapiegherò ini« cure^ ma se alcuna I9 



LIs. li. 7at. I. i8x. 

Cosa il mio frapporre unqua mi piaccia» 
Siccbè dilecco , variando , apporci , 
Vo*che il lector in buona parce il prenda « 
Mia brevicade quesco don ri porge, 
Di cui prolissa esser non dee la lode ^ 

'^FAVOLA, I. 

Il Giovenco , il Leonh il Cacciatori ^ 



fjL Rigeccar de gli avidi le inchieste > 
Cd a' modesti a offrir^ tuoi doni apprendi • 

^ Stava sopra an Giovenco testé ucciso 
Fiero Leone. Un Cacciacor là giunto 
Ne chiede parce ;. io lo farei , risponde f 5 
Ma prenderne cu stesso hai per costume -, 
£ si r ardir dei temerario aSrena . 
In buon punto uom dabben colà pervieoe i 
Ma il Leon vede appena, e il pie ritira. 
£i mite, non temer; dee tua modestia io 
ilverne parte. Francamente prendila. 
Il Bue divide, e fa ritorno 11 bosco. 

^ Degno di lode esempio! e pur si vede^ 
Bieco l'ardir^ e |a modestia grama I 



M I 



?ti Lrt. li. Fav. II. ^r tlf. 



o 



, F A V O L A II. 

La Vecchia e la Giovane y amanti A' un 
Ventò di mezxjk età . 



Slen le Doabe amanti , e pure amate y 
Vi spogliano a la fin . Ecco V esempio . 

^ Uh aotn di mezza età due Donne ansava; 
Ura con la lindezza gli anni asconde i 
Giovine e bella è l'altra: uguale etate 5 

Mentre aftettan mostrargli entrambe y i ertili 
Gli svelgono a vicenda. £t cke si cred6, 
Che il pulisca lor cura > di ^repente 
Calvo divien . I bilenchi crin' gli area 
Svelti la Giovinetta, e l'altra i neri. 



u 



FAVOLA III. 
VVomOy $ il Cantf. 



N Uomo a can i^abbiosa» onde fa morso. 
Pane gittò ne la ftrira intinto. 
Che remedio opportuno essere adio. 
Dove sien molti Cstn* ( s^ggiugne Esopo y 
Guardati di noi far, perché altrimentc, J 
Ore tale mercè si» de la colpa > 



Ili. n, Fav. IV. itj 

Himarem tutti i:' lor denti in predi . 

^ MaWagio oprar se lieto fine' ottenga > 
I prari escmpj ad imitar ne invita • 

FAVOLA IV. 

« 

X' AqfiiU , U GMtta 9 e U Scrofi$ selvaggia , 

J-J A<jiila in cima d" una quercia annosa 
facto a?ea il nido. Una sclraggia Scrofa 
Depose i porccllctti a la radice: 
Nel caro eh* è nel mezzo» partoriti 
ATea una Gatta i pargoletti suoi , 5 

Che cotal camerata a caso unita 
Con arti scellerate , e rie disciolse . 
De r Aquila s' aggrappa al nido , e oh quale 
Danno a te > dice , e forse a me sorrasta / 
Col continuo scarar che fa la Scrofa 10 

La quercia atterar vuol, sicché cadendo 
I nostri figli uccida . A cotai detti 
De r augel turba alto terrore i sensi ; 
Allor r astutk corre in ver la Scrofa ; ^ * 
Liti gran periglio , dice , e la tua prole. I| 
Quando uscirai con essa a la pastura, 
L' iqaila e pronta a farne avida preda. 
La Qatta dopo aver anche costei 
M 4 



lt4 !-«• II. Fav. IV. 

Ripiena di timor, s'intana e asconde; 
Indi pian piano a la campagna uscendo > to 
Giunta la notte , del trovato^ cibo 
Largamente se stessa, e i figli pasce.* 
Qual timida il di tutto osserva 9 e guauJ 
L' Acquila intanto paurosa stassi ^ 

Sa gli alti rami ad osservar la Scrofa. & 
Questa, i figli perchè non le sien tolti. 
De la tana non esce . Indi ambe , e i jfigdj 
Di pura fame morti , a' suoi Gattucci , 
Lauto convito l'empia Catta appresta. 

^ Stolta credulità quinci comprenda, 50 
Un frodplen to qual ruina apporti . 

FAVOLA V, 

Cesare di etisfpde dell'Atrio, 

L^Erta di Faccendier* razza evvi in Roma » 
Che nulla f a , e in mille cure immersa , 
Qua e là senza ragion corre affannosa > 
Onde reca a' se pena » onta ad altrui. ( 

£ difiìcil* impresa j pur m'accingo 
Con non £nto racconto ad emendarla: 
£ degno è ben che orecchio gli si appresti 

* Nel viaggio , che fé' Tiberio a Napol , 
A la sua Villa di Miseno gii^oco , 



Lea. II. Fat. V.. lEf. i 

Che In erto colle fabbricò Lucullo, io 

Sicché il Mar di Sicilia a sua veduta 
Ha soggetto, e da lunge il Tosco mira» 
. Fra gli alro-cinti serridor jde 1' atrio , 
Uà 9 cui fascia 4' %ItC9 , da le spalle 
Tratta > la veste tal raggruppa e scrlgae, 15 
Che dal suo nodo slen le falde sciolte: 
D'acqua ripien preso uq orciuoi di iegao. 
Onde al Padron si mostri ufficioso, 
Che per verzure amene iva a diporto^ 
li terrea caldo inaffia. Ma il Padrone xo 

Punto noi cura; indi per noti giri 
la lin alerò vìal il suo Signore 
Precorre, ed ivi pur la polve ammorba . 
L' astuzia di costui comprende il Duce , 
£ qu^le nel suo oprar fia.si proponga; ay 

Ma vuoU che speme lo iusinghi indarno: 
Poscia a se il chiama . £i pronto si presema , 
£ lieto attende la guanciata amica. 
Che libertade apporti. Sorridendo 
Cosi scherzò Ja maestà del Prence : . . . 3 ^ 
Poco hai tu fatto.) e 90 l'hai fauo indarno.* 
Assai più care le guanciate io vendo > ^ 



it^ Li»; n. fav^ yi. 

I A V O L A VI, 
V Aquila 9 U dmaechis, é U Testug£int. 



N 



Essan contro a uà potente e assai difeso* 
Ma se rio consigliefo a lui s'aggiunga , 
Nequizia a fona unita il tutto atterra . 

^ Trasse l'Aquila in alto una Testuggine, 
Che tutta ascosa entro la dura scorza f 

Non lascia che i* auge! le faccia offesa . 
Là vola un^ Cornacchia , e avvicinatasi , 
Pingue codice, tua preda.* pur m'arveggi*, 
Che se ciò che far dei , non ti si additi -, 
Andrai di grave peso indarno carca. io 

Parte a lei ne promette. L'altra allora: 
Ver l'alte stelle innalza il volo, e a piombo 
Sopra uno scòglio l'abbandona^ e infranta 
La dura scorza, à tuo piacer l'addenta* 
Pronto l'augèl l'innalza, ed ottenuta 15 

Dal rio consiglio fortunato evento. 
Ricca paji^te ne dona a la Cornacchia . 
Cosi colei difesa da' natura , 
Tal che una darle morte unqua non seppe, 
{Quella , in cui due s' unir' , campar non potè . ic 



liB. It Fay^ VU. I Vili. $tf 

F A V a i A vn^ 

/ MuU I -t i Lsdnnl ; 

J^IVan dpe Muli ^i grao soma carchi 
Giavi di pubblico oro i ed ampie ceste 
Portara V ita ; sacchi ^ pien d' orzo V altro J 
Superbo il primo per lo ricco peso 
Scuotendo acuto campanel dal coilo, 5 

Erta ùen la cervice, ed orgogliosa: 
Dimesso V altro, chetamente il segue; 
Quand'ecco t Ladti da gli agguati scagliaosi 
Contro del Molo altero» e ne la 2uffii ^ 

In cai la ricca soma a lui s'invola, io 

Soffrir pia colpi a T infelice è forza; 
Il vii peso de l' altro hanno in dispregio ^ 
Mentre il compagno de la sorte duolsis 
A gran prò ( dice l'altro) io fui negletto: 
Nessun ferimmi 9 e intero Forzo io serbo, t$ 

* Sicure son le porere fortune, 
Son le opulente a gran perigli esposte. 

FAVOLA Vili. 

21 C$rvo , e i BU9Ì • 

-^Cacciato fuor de' folti boschi il Cerro; 
Da fiero caceiator che a morte il cerca f 



I» Lij. ir. Fat. vnr. 

Tal ha timor, ne U vicina villa. 

Eacro a una stalla celasi fra Buoi. 

Qdando un lor: misero, in bocca a morte y 

V £ncro abituro uman tua vita affidi? 

Qui lacciatemi, a lui sogg;iugne il Cèrvo: 
Quando il vorrà fortuna a' boschi io riédo . 
La notte vien, e a* Buoi k fronde arreca 
*Il bifolco, ne il Cervo ivi discopre . io 

Vengono . gli altri tutti , e par di tanti 
^Fra quali evvi il fattòr ) nessun V osserva . 
Sicché a* Buoi , donde (ti sottratto a morte , 
A render grazie il Cervo s'accingea. 
Bramiam bensì, che salvo al bosco rieda i^ 
Un dice i ma se vien quel eh* ha cent* occhi , 
Fia tua vita in periglio: il dice appena. 
Che ritorna il Padron da cena > e visto 
Poe* anzi i Buoi, negletti , a lor $* accosta : 
£ perché^ dice, senza fronda, e senza t% 

Toglier via queste ragnatelle ! In somma , 

N Mentre tutto ricerca , e tutto osserva , 

Scuopre a 1' ecce:lse corna il Cervo ascoso . 
£i chiama la famiglia : il prende , e uccide, t^ 

^ La Favola tal sensa in se racchiude. 
Vede acuto il Padrón ne le sue cose. 



EPILOGO. 



3» L'ingegno d'Esopo eresse Atene; 
Un simulacro, e in base eterri^ un Setvo 
?ose, perchè si veggia^ che Virtude , 
Non chiarezza di sangue onore arreca . 
Quantunque ne la gloria e' mi preTenne»* f 
Pur questo ottenni almen , ch*ei sol non fosse; 
Ne a ciò lÌYor» emulazion mi spinse. 
Che se il Lazio mie cure e approvi» e onori/ 
£i molti avrà da star co' Greci a fronte. 
Sea condannarmi invidia imprenda; il merto io 
ira se stessa a approvar sarà costretta . 
Se poi tue orecchie il mio lavor diletti^ 
£ a rilevar pervenga l'opra mia> 
Le querele a sbandir ciò fia bastante. 
Se cada in man di quel, cui ria natura > 15 
De' buoni a roder i* opre a vita trasse » 
Costante il soiTrirò; finché conosca 
Fortuna il suo delitto > e rossor n* abbia j 



// 'Bm dtl libn SifQnÌ0, 



A 



D E L L E 

FAVOLE 
DI 

F E D R O 

i I^ B TERZO. 

PROLOGO 

AD E U T 1 C O. 

3£ leggv brami > £utico > i libri miei > \ 
Ogni cura allontana > onde a la sciolta 
Kleate de' versi la forza pervenga . 
Ma il tuo ingegno non metta j a me rispondi 9 
eh' un sol momento al mio dover si rubi . 5 
Dunque fia me*, che ciò tua man non tocchi» 
Che ad occupate orecchie mal s' adatta % 
Ma tu fosse dirai : verran le Ferie , 
0?e a gli studj da gli affari io lieda. 



LiB. \lt Pkolcco. 491 

¥t», diUKjue allof cheta a mie baje attenda , i o 

<2jiando te da gli affari a se richiami 

£ moglie e casa, e amici; e il corpo stanco, 

£ la mente da mille cure oppressa 

Giusto sollieTo, e bricTe ozio richiegga^ 

Da cai più franco al primo oprar ritomi ^ 15 

Altro impiego deh prendi, altri costumi. 

Se de le Muse a'iiminari aspiri. 

Io che pur Dacc[ui su V Aonio giogo , 

U*diè a la luce l'alma Dea Memnosine 

Di nove figlie il nobii Cora a Gio.Yej^ xm 

£ chiara lode ottenni da tai studj» 

Ore i natali in certa guisa io xrassi» 

10 cui brama d* aver unqua non prese , 
Ne la sacra famiglia a stento, e appena. 
Mi veggio ammesso . £ che avverrà a colui , if 
Che purché a Toro altro nuovo oro aggiunga. 
Cui più del letterario acquisto, apprezza , 
Nulla cura il vegliar le notti intere? 

Ma comunque sia questo, come a Priamo 
Disse Srnon , condotto a lui davanti, go 

11 tcx2o. Libro de le mie Novelle, 
Ove Esopo a seguir indastre impresi , 

Al roerto ed onor tuo scrivo, e consagro. 
Mei recherò y se il leggi, a gran ventura l 
Se no, diletto i posteri n'avranno • || 

Or brievemente qual'origin trasse 



I>a LiB, III. Proeooo; 

La Favola dirò . Per iscoprire 

Ciò che in palese un servo non aralo , 

( Sì di sua sorte il fan cauto i perigli } 

I sensi sdoi In favole rivolse y 40 
E ai livor con novelle si sottrasse . 

II ^ varco aprimmi Esopo i io dietro a lui . 
Più .di ciò ch'egli scrisse, inventar seppi', 
Da cui la parte scegliere mi piacque. 

Che sembrommi più acconcia a mia sventura . ^5 

Se il testimon , l' accusator , il giudice 

Non fosse un sol Sejano, io mi direi 

Dal mal che soffro, giustamente oppresso » 

Né di cotal conforco in cerca andrei . 

Che se taluno il suo sospetto inganni, 50 

£ a se ciò tragga, ove il comune io purgo. 

Porrà lo stolto in chiaro i suoi riniorsi. 

Ma costui pur vo'cbe mia scusa ascolti. 

Nessun addito. Il pubblico costume 

Io sol disvelo. È malagevoi Topras ^ 55 

Ma se Anacarsi Scita, o il Frigio Esopo, 

Eterna fama con Ì' ingegno loro 

Acquistato; io che nacqui a' dotti Greci 

Più vicin , lascerò che neghittoso 

Sonno a* miei Traci lin giusto onor rapisca.? 60 

Me il primo già sarò, cui vantin essi 

Trasdotti spirti; ebbero un Lin d'Apollo»' *' 

Ed Orfeo de le Muse illustri germi • 



[Li& in. Fav. 1. m il i^ì 

Costui le ^etre ai dolce canto trasse , 
Placò le fiere, e l'Ebro altier ratteacie . 6^ 
Dabque seo parca lafidia ; ella la yaa piagne . 
Di chiara lode è degno il mio lavoro. 

^ Alfio e' lio4odottoi a leggere . Un sincero 
Dal cuo noto caodot giacucio attendo • 

I A V O L A I. 



V. 



Ide una VeccliKi^ un orcioletto vuoto 
Giacer negletto, iì| cui r'eran rimasi 
D* un ottimo Falerno Tecchi avanzi . 
, La cui fragranza d' ogni intorno sparsa , 
Con le narici quanto potè, attratta» 
O che soave odor! gli dice: O quanto 
Di buono sari statQ in te una volta» 
Se tanto n'hanno i rimasugli ancora! 
Ciò ch'io dir voglio» sa ehi mi conosce* 

FAVOLA II. 

1« f antèra 9 9 i TastoH, 

Ooglion gli offesi il contraccambio rendere. 
^/ loavvedtttameme una Pantera 
dì Fidro le Vav. T. //. N 



j^^ lm* ni fay. Ili: 

sdrucciolò ne la fossa . De* vi llaai , 

Chi pietre coDtra , e chi legni le arveaca l 

Altri però di Iw mossi a pietade, . j 

• ( Poiché > se alcun non le portasse offesa» 
Pur la trarrebbe sua sventura a morte) . 
Le gittan pane ^ oivle alcun tempo yiva..^, 
Notte si fa -, ciascun che si lusinga 
Di morta ritrovarla il di reggente» !• 

Ogni timor sbandito, a casa riede. 
Ma la Pantera > poi cK ebbe col cib^ 
Ristorate le forze, un lieve salto 
Da la fossa spiccando al suo coviljp 
Veloce torna. Indi a non-mol^ giorni SS 
Repente uscendo , uomini e gceggi aj^lc.i 
£ ruine a 1* intorno , e morti arreca . 
Allor quei che a la fiera dier perdono > 
La vita in don le chieggono > ed ogni, altro 

. Danno a patir son pronti . £ ben soviemn^i > ae 
£ chi sassi a/ven^ommi > ella risponde > 
£ chi pan mi gettò . Voi non temete ; 
Di quei che m'oltraggiar' > nemica io tiedo^ 

FAVOLA III. 

Eiopùy e il vUUnù. 

L>«He più d'un indoyin i'intetuì^Uom prati»» 
È proverbio; ij percbè fion T'J»a chi '1 dica; 



/l». Ili Fat. IY. » 1^1 

Lo ioségneri pria d'alni il mio racconto. 

^ Fuvvi già tal , nel cui gregge gli agnelli 
Kacijuer col capo titnaoo. A gl'indovini 5 
Mesto ricorre per consiglio. Il capo 
Del padron si minaccia» un di lor disse» 
Se vittima il periglio non rimova: 
Altri: il padre drudo» e moglie infida 
Jigli vuoisi indicar . Ostia più pingue y io 
Cotesco mal però fia che allonuoi . 
in somma in varie opinion' divisi 
Accrescon nuova pena a l' infelice ; 
Esopo allor vecchio di acuto naso» x( 

Cui vender foie non poceo natura ( 
Vuoi tu» dice» Viilan, ciò, che s'addita» 
Da te far lungi; a' tuoi pastor* dà moglie. . 

TAVOLA IV. 

Jl Cèfo ihlU ScimmU . 

L Ra r altre merci ad un macello appese 
Esposta vide un uomo anche una Scimmia» 
E del sapor ne chiese . Il Macellajo : 
Qual e il capo» cai è il sapore ancora. 

^ Arguto egli è anzi che vero il motto: .f 
ispesso yirtude in tozzo corpo albergo, . 
£ a' sei costami dà beltà ricetto . 

N a 



u 



i^i Lu. ni. Fav. V. » VI 

FAVOLA V. 

• Esifp t un VHulimH • 

L Austo tvento a perir molti ne addusse ; 

^ Folle Garzon un sasso a Esopo aip/enta % 
Cui egli ; O che bel colpo ! £ a lui dà un soldo: 
Per Dio, dicendo, altro non iio: pur eccoti 
Come n'ottenga. Tal possente» e ricco f 
Ne vien incontro» in cui sé accerti il colpo» 
Premio ne avrai . Sei crede» e scaglia il sasso t 
Ma s'ingannò, poiché del premio ia vece. 
Sa una forca pagonne \\ giusto fio. 

FAVOLA VI. 



Na vii Mosca sul timone assisa 
A la Mula: Sei pur, dice, tu pigra* 
Vuoi che. il collo col mio stilo ti pung^ ? 
£ perché n«n afiretti il tardo passo? 
Cui l'altra: tue parole lo nulla apprezzo: 
Bensì temo colui» che in scanno assiso, 
I«e briglie tiene e con maestra sferza 
A suo talento ogni mio passo re^e. 
Vanne» e tue fòlli ciance altrore arreca: 



Il» III. Fat. va 1,7 

Xo SO quando posarmi , o correr deggta . io 

^ Così ridir tu puoi di quei , che priri . 
.D'ugual Taloci spargoQ minacce al veoto. 

FAVOLA VII. 

21 Cane , § il Lmp0 » 

Lilberti, quanto i etra» in bricTc espongo. 
^ Un Lapo, cut consunto ba lunga Urne, 
Un ben pasciuto Cane a sorte incontra •• 
Fermi si salutaro. Primo il Lupo: 
Onde tal liscio, onde si lauto cibo, f 

11 ventre ti distese ? Io pili robusto 
Di te, a perir son da ria fame astretto. 
Sen^plicemente il Can: Fia ugual tua sorte » 
Se ugual servizio il mio padron n* ottenga . 
£ qual } Custode il di sia de la soglia io 
Da i ladri la magion «lardi la notte. 
Io son pronto; ne' boschi, e pioggia, e neri 
Soffrir m'c forza, e dura vita io meno, 
Qiianto più agevol fora sotto il tetto 
Viver agiato, e. largamente pascermi? ly 

Vien dunque meco. Nel cammins* accorge, 
Che roso il Can da la catena ha il collo. 
Onde é ciò, amico? Nulla. Amo saperlo. 
Poiché sembro feroce, il di mi legano» 

N 3 



^^% Lii. iir; Tav. ym. 

Perchè allor dorma* « desto sm là notte; 2< 
Sciolto su r imbrunir , to dorè ▼bgltò: 
JBenché noi ^hiegga, mi si porta il pane; 
Da la mensa il padron Tossa mi porge; 
la famiglia gli avanzi ; t se a taluno 
Vico qualche cibo a nojaY a me si getta: 2 
Cosi senza fatica empiomi lì ventre. 
Ma se d'alcrove andar mi vien talento. 
Posso!' io far ? O (juesto'^àoy e m goditi , 
Cane , le lae "venture : io non le caro . 
Kegnar non yo" , se libertcdé io perdo. ' $c 

FAVOLA Vlir. 

il Tfétillot 9 U SerelU. 

-'Pesso a mirarti il mio racconto insegbà. 
* Un padre <f un bellissimo fancìulio. 
Una deforme , e sconcia figlia area. 
Mentre ( qua! di sua eti costume il porta ) 
PrendeTan gmoeo , a caso sa io scanno 
Veggion lo specchio de la madre, e in esso 
S" affaccian . Sae bellezze il tubini Tanta . 
£lia noi sof&e , e a grave oltraggio il reca . 
Corre al padre, e 1' accusa che maneggi 
( Benché nato domo ) i fenìminill arredi. 
Il buon padre li bacìe, e uguale amore 



Li»; ni. Jay. ^X. i X. x>. 

Ver entrambi ' mostrando , al sen gli scria gè < 
Anzi vo*, dice, ch'ogni di lo specchio 
Consultiate ; onde , ò figlio > tua ayyeneoza 
Non macchia re*i costumi} e tu il tuo volto 15 
Yioca eoa virtà belle > ed atti onesti. 



R 



FAVOLA IX. 
SccfMte sgli Amici . 



Ara d la fé , comuo d' amico è il nome « 
^ Piccioia casa fabbricossi Socrate. 
( La cui morte > se ugual fama m* arreca , 
Soffrir nòa m'è discaro, e se m'assòlve 
Morto, livor a suo piacer mi roda. } 
Come costume il vuol , talun del volgo 
Perchè casa si piccioia s* avesse 
fabbricato richiede. Oh la potessi 
^.icmpicr di veri amici/ egli rispose, 

F A V O L A X. 

Il Pùgta sofrm il Credi)r9 , g non .Cndérè . 



I 



L credete egualmente è periglioso , 
Che il 000 creder : gii esempli in breve i] mostrano, 

N 4 



^c« LzB, III. Fay, JC 

A la madrigna perchè fc si diede» 

Ippolito mori» perchè a Cassandra 

Non si die» n' eòbc Troja eccidio estremo.* ( 

Dunque pr/a ch'ai giudicio alcun e* arrenda > 

Un foiJrcico esame il tutto indaghi , 

Anzi che la sentenza s* arFenturi. 

Ma perchè non si dica, che con vecely 

Esempi faTolosi il persuada > io 

Ciò narrerò, eh' a mia memoria a^renne. 

'^ Tenero amor in ver la moglie > e il figlio > 
Coi preparata avea la para toga . 
Portava un nomo; allor che da on liberto i 
Coi de r eredità speme lusinga » if 

Tratto e in disparte , e son da lai del figlio , 
Dal mentitor finti delitti esposti. 
Pid prm de la moglie, e sovra ogai altro. 
Ciò ch'altamente sa che il cuor gli pugne , 
eh' a un dxodo in braccio Tinfedel si dona , io 
Di casa onde 1* onor deturpa » e sfregia • 
Da cocai detti acceso , irsene in Villa 
Fnng^c ; m^ in città limaso occolco 
^ oocce a casa d impcoTTÌso riedc , 
^»a dirctcaoiente ore la moglie ij 

^^^. cà-ii figlio mol ch'ivi put dorma, 
'^'^tcif';* ^Juica età castode ìndustre, 
^^ «w*,^'^.** ^'^-'t*/ e de- famigli 

"** ^^«* * '^iù ia li , ci che non potè 



LiB. III. Fav. X ^Ox 

XattcDcr il furor > ch'il cuor gl'ingombra» 50 

S'accosta al letto, ed a tentone cerca > 

S* alcun vi dorme: alici eh* a certi crini 

S'accorge, che y'è un uom , nulla avvertendo > 

Purché il dolot de V onta , e l' ira sfoghi > 

Tutto al figlio nel petto il ferro immerge . 5 5 

Portano intanto il lumei il figlio vede, 

£ la casta consorte ancor nel primo 

Sonno involta, onde nulla udito avea . 

Del suo delitto nel pensier raggira 40 

La giusta pena, e il ferro, di che armoUo 

Stolta credulitade, in se rivolge. 

Accusata la moglie , a Roma è tratta 

Al tribunal de i cento. Sua innocenza 

Sembra oscurar l'eredità ch'ottenne. 

Ma chi quella difende, non consente 45 

Che per sospizion si tragga a morte. • ' 

Ne r ardua quistion sospesi i Giudici , 

Pregano Augusto eh' ei , disciolto il nodo > 

Porti g la JFe del giuramento aita . 

Le tenebre eh' avea calunnia avvolte jo 

Sjjombrate , e il ver ne la sua fonte appreso: 

Paghi ( dice ) il Liberto , che n' e autore , . 

La pena. L'empio e sposo e figlio uccise. 

Merta pietà' la Donna , e non gastigo . 

Che se i neri delitti avesse il vècchio 55 

Sollecito ricerco, e Ja meniogna 



iot LiB. III. Fat. XI. 

Supposta a duro esam«; da ne morti 

Non fora or sua famiglia in tutto estinta. 

^ Tutto ascolti ; ma tardi ad altrui creda • 
Forse reo sarà tal , che ta noi pensi ; Co 

£ orditi sono a un innocente incanni i 
Ciò pure ai meno accorti avverei^ pote> 
Che non l'altrui opinion li guidi t 
Ambizioa troppo a sue voglie inchina. , 
Odio la porti» o amor^ a quel tu credi» 4^ 
Che conos^ca tu stesso . Poiché offese 
Alcun mia brevità» lungo è il racconto» 

F A V p L A XI.' 

VEunùeo ad un malvagio . 



D 



I due» ch'eran venuti a lite insieme» 
Era 1* uno malvagio , e V altro Eunuco , 
Colui fra i motti acerbi e f;a le Ingiurie» \ 
In ciò , di eh' era privo , il pun^e e morde . 
£ però le fatiche io mal non soffro» 5 

Rispose quegli; ma tu, stolto» il danno 9^ . 
D'avversa sorte accusi. È vergognóso 
Alfin ciò a Tuom > eh* il suo fallir gli addhoe. 



M 



LiJ. m. fxr. X». » XIII. les 
FAVOLA XII. 



£ntre fra l' Immondezze tsa ricerca 9 
Trovò una giòjt nn pollo : ed ho in ^ual ìuog» 
Neglètta è, disse, si prcgeyol cosa? 
Se trovato ti avesse un the ti apprezza» 
Già 1' antico splendor f oh qaal ! ) ne avresti. 
A me che noit le giojc, il cibo esthno» 
A che vai, che ti sia tu (Jui scoperta ? 
Kè a me puoi , nìl a te giovar poss* io . 

^ A colui si dirige il mio racconto 
Che non apprende de' miei detti il senso ; 

FAVOLA XIII. 

té jffif 9 f fuchi mt trìhuMU dtlU Vispa. 



D 



Entro un' ^népsa quercia averan V Api 
Fatti i h>r fatì, e questi i neghittosi 
Fuchi se gir arrogaro . Fu la lite 
Portata al cribuoai. Giudice siede 
La Vespa, che ben sa l'indo! d'entrambi; 
Onde essa legge a* litiganti impone. 
Somigliante è il colore, uguale éil còrpdi 



i 



104 tii. IH. Fay. XIV. 

Sicché da lor l' Autore io noa disceno ; 
Perché dunque la fé giurata io serbi» 
Tal to' la prova: altro alvear $ì prenda^ io 
£ nuoTo mei s' infonda^* entro a le cere. 
Tal sapor> da la forma > che cornigli 
Quel che recaste > fia 1* autor palese . 
Spiace a' Fuchi la legge > accetta é a 1' Api . 
Pronunzia tal sentenza allor la Vespa: if 

Chi far non possa il mele» e chi lo fece, 
jl in chiaro. A l'Api il frutto lor si renda. 
^ Di buon grado il racconto omesso a? rei j 
Se a?esser la promessa attesa i Fuchi . 

FAVOLA XIV. 

ts»f^ che giucca. 

f Isto» che in mezzo de' fanciulli Esopa 
A le noci giuocava, un Ateniese 
Fermossi , e 1* ebbe come sciocco a scherno ^ 
Se n'avvide il buon vecchio» c^ potea 
Anzi che esser deriso» altri deridete: ^ 

£ un arco teso in mezzo a la via posto» 
Che cosa disse ho fatto , o ser saputo ? 
Il Popolo s'a£R>lia. Il derisore 
Pensa , e ripensa in van , e< in van s' affanna • 
Tal che confessa al fin » che noi coinprende . io 



Li». III. Fay. XV. 10 f 

£$0^ Tiacitor: Se l'arco teso. 
Terrai sempre, sarà bea tosto Infranto; 
^a se il rallenti, fia che forza acquisti; 
^ G>sl la stanca niente abbia ristoro. 
Onde à'grarl pensier' più sciolta rieda. 

FAVOLA XV. 

Il Cémé sir AgmlU « 

rx Un Agnei che belava infra le capre 
Ore , gli dice il Can , folle t* aggiri ? 
Qui' non c'^ la tua madre: indi io remota 
Parte le pecore gii dimostra. 
Non quella, che a talento concepisce» % 

£ un tempo fisso porta ignoto peso, 
Poscia cader dal ventre il lascia, io cerco. 
Io colei cerco, che sue poppe appresta. 
£ a* figli toglie, sicché io n'abbia, il iatre. 
Pur chi ti partorì più prezzar dei. io 

A partito t'mganni. £ come seppe, 
Se nascer bianco, o pur nero io doyessi? 
Ma via, te|>uto i' abbia $ fu gran dono» 
Volermi maschio, perelié tal nascessi, 
eh* ognor del macellajo il colpo attenda . 7 ^ 
Come yuoi eh' anzi quella apprezzi , ed ami , 
Cui nulla scelta in generar si lascia. 



xQé LijB. IIL Fav. XVI. C^ 

Che l'altra , che ve^ mf giacente» t iaCérao/ 
Cortese ( a pietà mossa } si dimostra ì 
Non da oecessicade di natura 9 ^o 

Ma da boutade i Geaicor' ravviso • 

^ Che Tiipm riman da benefizj avvinto» 
Non da le leggi, il mio racconto addita» 

FAVOLA XVI. 

Ld CicdUt ^ y^ civetta, 

^-^Ovente avvìen, fh« lo (cortese il fio. 
Che sua alterezza ineritogli incontri • 

^ Con dispettoso canto a una Civetta» 
Che sol de notte va di cibo in cerca, 
£ in qualche cavo ^onco dorme il giorao, f 
Toglieva il sonno ^in'incivU Cicala. 
5e pregata è a tacer , ella pid stride ; 
Dan nuove preci nuova leda al canto; 
Sicché non v'esser scampo» e sue parole 
Dispregiarsi» veggendo la Civetta» • io 

, A la frode rivolta si le parla . 
Giacché il tuo dolce armonioso canto. 
Tal che di Febo udirmi sembra il pletcroj 
^ Dormir mi vieta , il nettare vo' bere , 
Che testé diemmi Pailla. Se t' è a grado, i{ 
Vieni che il beyeremo. La Cicala, 



I.I1. III. Fav, XVII. %aj 

eh' atdea di sete » appena udlo lo lodi 
Di sue voci ) che ratta a lei sen toU • 
Tosto fuor de la una 1* àiu< cucita > 
La trepida Cicala insiegae> e uccide» 
Che morta quello die , che negò vira . 

FAVOLA XVIL 

(ali Alberi in tunU d$gli Dèi. 

Vallando da' Numi gli Alberi In tutela 
Fur presi, l'aita Quercia a Giove, il Min* 
A Venere, l'Alloro a- f elio piacque. 
Gradi Cibelp il Pino, Eccole II Pioppo. 
Stupì Minerva, che iqfecQpde piante 
A lor piacesser i . e il perché 9« ckiest . 
Si parlò Giove: perché alcun non creda 5 
Che l'oiìsequio cpl lor frutto si compre; 
Ma Minerva a ognun dica ciò ch'ha in gf^do ; 
Ch'io per le frutta sue 1' Ulive eleggo. io 
Il gran Padre a lei voltp; é giusto , o figlia» 
Di saggia il nonìe j pnde ciascun t' onora . 
Che se ciò che facciamo , util non have , 
L' ouor che ne ridonda , e folle onore. 

* Qualunque cosa di vantaggio priva 15 
'Vuol la novella mia che non s* imprenda. 



teS lu. IIL Fat. ZVUL 

FAVOLA XVIII. 
i/ r0w»i « Gìmtmt, 



M 



Al soffrendo il Payoo cbe t se negato » 
Concesso fosse a i* Usignuolo il canto > 
Con Giunon si lagnò , che dove ammira 
Di quel la toce ognun % ei fuori appena 
La manda, che dispregio, e hetk incoatra. 
La Dea il consola: ed in grandezza il riiici, 
Ed in beltade. Il colio pur t'adorna 
Vivo smeraldo > e a te l'occhiata coda 
( Si ratio n' é il color ; piA gemme intessono. 
Muta avvenenza ma guai prò mi reca, jo 
Se nel casto ei m'avanzai A sao talento 
Divise i pregi il fato: a 1* Usignuolo 
li canto, a te beltà» la forza a 1* Aquila. 
Se a destra è il Corvo > e la Cornacchia a manca i ) ) 
Predicon l'avvenir; e ognun n'é pago. 

^ Ciò elie^ vien negato, noi ricerca, 
Ne sarai poscia k qucrelani utretto. 



N 



Lij. ni. Fat. XIX. 1 XpC. i^f 
f A V O L A' XIX. 
^ Ms»po sd un CÌ4rlùn9 ( 



lon altro servo area il padroa d' Esopo ^ 
Cui s'impone, che pria del consueto 
La cena appresti: per alcune case 
Ricerca Esopo il fuoco > al quale accenda 
La lucerna , e a la fine lo ritrova: 
£ accorciando la strada» per la piazza ^ 
Tosto a casa ritorna . Un Saccentino 
Il vede, e perché^ dice > ora col lume. 
Che il pianeta maggiore è nel meriggio ? 
Un Ùom cerco , ci risponde» e in fretta parte, io 

* Se il motto a rilevar l'altro pervenne. 
Vide eh* un Uom non riputollo Esopo , 
Poiché in altro occupato» fuor di tempo» 
Con ba}e intrattener pure il volea. 

FAVOLA XX. 

L* Asino 9 $ GmIU SMCirdoti di Cibihl 

^Hi nasce sventurato » non sol vivo 
Lo insiegue rio destin» ma 'morto ancora 
Lo preme » e incaica. ^ I Galli di Cibele, 
Un Asinel di lor bagaglio carco ^ 
èli Fedro liTMV,T,Jl ^ i 



ilio Lit« IIL Fav. SX, 

Seco lo cerca condarre tvean costume 2 
Da fatiche e percosse ucciso, timpani 
Dei cuojo scorticato ne formaro. 
Da un lor diletto la cagion richiesta: 
Lusingaya costui ( disser ) sua speme*^ 
Che morto fora da percosse immune: 
Far d lui norto altre sofixirne é forza ; 



Il Ihi d$l T$txi tihn 



ir A 



ifi 

DELLE 

FAVOLE 

D I 

F ED R O 

LIBRO (Jl/^RIO* 
FAVOLA I. 



La Donnola i e i Tofi, 






Juietc fotse ti sembri , e folle cura ; 
Se allor ebe son da graYi studj scarco , 
)Scrivendo io schenEij ma tu queste baje 

Penetri: oh <[uanto d'util v*è racchiuso i 
Non sempre son quai pajono le cose , 
i £ più d*uao deluse il primo aspetto: 
( Sicché rado addiivien, che quando avvolse 
Ne le tenebre T arte, tu Io scopra; 
£ eh' io nói fiiga , mostrerà il racconto 
IH' topi e de U Donn^Ja. Da gli anni 

9 i 



i4 



1 



tu Lu. IV. Fav. h ^ ^l. 

Resa ioetta una Donnola à raggiugaere 
Gli snelli Topi> entro a farina inroica 
Per cotal guisa in luogo oscuro giacque. 
Che parea morta. Uà Topo esca la crede» 
E se le avventa: essa lo azzanna» e uccide; 
Cosi al secondo , ai terzo » e ad altri accade . 15 
Al fin ne vìen un che forbito > e lacci , 
'£ trappole più volte area scampato. 
Scopri lunge l'inganno» e fossi» dice» 
Tu che giacente entro farina io scorgo» 
Salva cosi come farina sei . 

F A Y O L A II. 

La V0lp$^ 4 V Uvm . 



D 



A fame spinta d'alta rite a TUrt. 
Quanto mai potè lanciasi una volpe; 
Ma coma vide ir ogni sforzo a voto» 
Parti » dicendo » io non la curo : i acerba • 

^ La favola è per tal» che con parole» 
Ciò ch'ottener non può» bìasroa e dispregia» 



. Li». W. Fav. III. X IV. ifj 

FAVOLA IH. 

Il CavmUo 9 é H CignéU . 

Ln quel guado in cui ber solea un Cavallo , 
Mentre il Cignal s' avvolge > il turba e mes^e. 
{^uiodl vieo lite : i( Destrier d'ira acceso , 
A FUom ricorre > e lui del suo soccorso 
-Chiesto , sul dorso il toglie > eal Cignal riede> 5 
Cui trafigge con dardi il Cavaliere . 
Indi al Destrier rivolto .- aita indarno 
Non ti donai, gli dice, e preda io n*ebbl^ 
*£ appresi quanto tu giovar mi possa; 
£ suo ipalgrado it freno vuol , eh' ei soffra . io 

3;li altor mestoj o qual pazzia rei prese! 
i fei per leggier onta ad altrui serVo. 
^ Impari quinci 1* iracondo i torti 
Anzi a soffrir, che darsi ad altri in mano; 

FAVOLAI 

Il Vmst. 

LiHe sovente in uu sol più senno afbergbi , ^" 
Che in motti insieme , il mio racconto insegna *^ ^i 

* Mori tal, che di se lasciò tre figlie* , 
tra un» bella, e con gli sguardi aVvoz^a i 

o 3 ■ ^ 



ii4 Ub. IV. Fav. IV. 

A trar gli uomini in rete e la secondi 
Sol' era a* campi » e a filar lane intenta : 
Bruttissima la terza > e bevltrice . 
£rede fa la madre i ma con patto 
eh' il retaggio ugualmente a lor di\rida ^"^ 
Sì però> che di quel d*onde fien ricche» jo 
Nulla resti in possesso , o In balla loro . 
Al lor poscia eh' il tutto avran consunto , 
Cento sesterzj paghino a la madre . 
. Già ne va piena Atene; in van la donna 
Più Giuristi ricerca; eh' a le figlie j; 

Come possesso non provenga^ o frutto 
Da tal' Eredità, non v'ha chi incenda; 
Né come il prezzo sborsino , st nulla 
Lor rimane. Assslì tempo era già speso 
Jn fallaci ricerche: a sue ragioni io 

Cede la madre » e carne sa , del vecclito 
La mente adempie: femminili arredi 
A la galante, e yesti, e lavato] o 
D' argento > Eunuchi , e giovanetti imberbi : 
A r altra campi » ville , armenti , e buoi , i^ 

E giumenti , ed aratri , ed opera]: 
Cantina e botti di vin vecchio piene 
A la terza destina, con polita 
È ben acconcia casa, ed orti ameni. 
£ suo pensier già ad eseguir s'accinge, 30 
£d il popol le applaude I che il desio 



Li», IV. Fav. ly. II y 

Sa de le figlie . Allor repente Esopo 

Ne la folla s' intrude , e oh quanto gtaTe 

Sarebbe , dice , s* or rivesse , al padre 

Scorgere, che di tutti gli Ateniesi $^ 

Non raglia alcun a interpretar sua mente! 

Onde pregato, si l'arcano scioglie: 

La casa, gli ornamenti > gii orticelli 

Deliziosi , e il vin serbato ottenga 

Colei, che solo campi, e lane apprezza • 40 

Abiti, perle, servidori, eccetera y 

Date a la bevitrice: abbia la bella 

Gli armenti, e lor custodi, e campi, e TÌlIe. 

Nessuna fia di lor , che patir possa 

Cose al suo genio avverse, e quel eh* ottenne 45 

La bevitrice, d* onde rin provveda j 

Per abbigliarsi vendura l' altra i campi . 

Quella cui piaccion solo e campi e lane , 

Dissiperà la casa , e gli orti ameni . 

Si fia che il lor retaggio a lor non giove r 70 

£ da ciò che venderò, avrà la madre 

Il denar , che lasciolle il vecchio astuto . 

^ £d ecco ciò, che pria fu a molti ascoso. 
Per accortezza d'un sol uom, palese. 



O 4 



2lil LlB, IV. Fat. y. JE VI. 

FAVOLA V. 
21 comhsnimgntù di* Topi , e delle Vùnnoh ; 



[jLLlor che. vinti i Topi da 1* esercito 
De le Donnole ( e ben nota è la storia » 
Né T*è taverna in cui non sia dipinta ) 
fuggivano > ed intorno a le lor tane 
Pavidi a grande stento s' af&Uavaao ; ^ 

Ma pur v* entraro ed iscampar la mor^e ; 
I Duci» che per dar un manifesto 
Segno, ciii seguan gli altri ne la pugna > 
Avean le coma al capo intorno avvinte » 
S' impacciar' ne le porte, ove in minati io 
Brani > tritati da' nemici ingordi» 
Kestan ne'cavi ventri innabissati . 

^ Sono i primati a gran periglio esposti: 
la vii plebe ritrova agevol scampo* 

FAVOLA VI. 

Xu che nasuto i miei scritti censuri,. 
Né lor d' un guardo ( é tal tuo sdegno } oaorii 
SqS:ì ^ Smdai de || tua wtera fronte 



Lu. IV, Fat,. Yl^ 117 

le rughe appiaoI)\e a me migliot ti renda; 
Con noyelli coturni eccoti Esopo . f 

^ Deh non avesse mai Tessala scure 
Stesi nel Pelio gic^o a terra i pini: 
Deh non avesse f^ricato an^uanco 
Col consiglio di Palla Argo la nave» 
Ch* a Barbari in lor danno , e a Greci aprio io 
Del mar 1* ignoto sen: indi la morte 
Ampia vide a sue prede aprirsi strada. 
Qpinci ne piagne del superbo Aeta 
La casa, e di Medea per l'empio ardire 
Soffrir* di Pelia i regni eccidio estremo. 15 
£ssa in pid modi barbar! ingegnosa» 
Co* sparsi brani dei fratello , e il varco 
A la fuga trovò; qui nel paterno 
Sangue lordp le figlie . Che ti sembra > 
Lettor , di tal priocipio ? Ed è scipito > ao 
Mi rispondi) ed è falso: ognun pur sa. 
Che molto innanzi con possente armata 
Signor' del vasto Egeo si fé' Minosse, 
' £ un giusto freno a la baldanza impose.' 
Come fia dunque , o leggitor Catone , 2 ^ 

eh' unqua a te piaccia > se diletto alcubo 
Non può recarti, o faroletta, o favola? 
Non pugner le belle arti, se ri è caro 
Da le punture loro andarne esente. 
Il diiv a tal (se ipiz yi éalciu si stolto) 30 



tri Li>. IV. fat. vii t vm. 

che tatto ha a schifo, e per paier saccente, 
Scioglie centro del eie! l' audace lingua , 

FAVOLA VII. 

la Viferé e U Lime . 

^Hi un più mordace a lacerar s' accinge > 
In ^questa favoliiccia si ravvisi^ 

* Ne la bottega d* un ferrajo giunse . 
Una Vipera, ed esca ivi cercando, 
Una lima alFerrò , che contumace : 
Pensi , a Iti disse ; o stoica , farmi offesa $ 
Che rodere ogni ferro ho per costume ì 



Q 



FAVOLA- VIII. 
la Volpe e il Becco • 



Uando un astuto a grave rischio è tratto > 
Cerca con T altrui danno averne scampo ». 

^ Inavvedutamente era caduta 
In un pozzo la Volpe , a cui 1' uscita > 
Il margo un cotal poco alto, divieta^^ 
Quando un Becco assentato colà giunto^ 
Ss dolce, e molta sia T acqua, le chiede. 
La Volpe a frode ifitesaVa^^^o > sctnd{. 



Lii. IV. Fav. IX. E X. ii> 

A lui risponde) è dolce essa cotanto» io 

Che saziar non puossi il piacer mip . 
Scende il barbuto: alloc la Volpicella 
S'appoggia a Talee corna > e un lieve salto 
Spicca dal pozzo , e nel pantano il lascia . 

FAVOLA IX. 

De' vizj degli uomini , * 



D 



UE tasche ci die Giove: una de' nostri 
Vizj ripiena al dorso appesa; 1* altra 
De r altrui colpe grave al collo impose . 
^ Ecco perche gli errori tui non vedi: 
Altri fallisce appena» e ru '1 riprendi. 



u 



FAVOLA X, 

7/ Ladro che spogliti V Altare . 



N Ladro al fuoco de 1* Aitar di Giove 
Il lume accese , onde spogliarlo ardio > 
Ed iva già del' sacro fucto onusto ; 
Quando del nume coiai voci uscirò; 
Benché don di ria gente é ciò che inyoliy f 
Sicché rodio, e '1 tuo furto a me non cale» 
Tu però » scellerato , con la vita > 



< 



aio LiB. IV. Fa». X e XI, 

AUor che giunga il destiQato giorno , 

Vo* che ne paghi il fio . Ma perché il fuoco , 

Per cui Religione i Numi adota » io 

A fayoz non risplenda de'malragi; 

eh* altro indi s* accenda , io fo divieto • 

Così non piil si accende il sagro fuoco 

A la lucerna , o questa a lui si alluma • 

^ Quanto d'util racchiuda la novella» 15 
Il potrà solo disvelar 1* Autore , 
Ella dunque ne avverte , che non rado 
Nutre fiero nemico nostra mensa. 
Che non per ira il ciel punisce i rei» 
Ma spesso tarda la vendetta il fatto 
Con gli empj ì alfin «gni .adoprac condanna ^ 

FAVOLA XL 

IreoU s GÌ9V9 . 



J^Iusto k V odia|.che ha il forte a le riccbeztc^ 
Che ricico erario a vera> lòde è avverso . 

^ Accolto in ciel per sua vlctude Alcide^ 
Mentre tutti gli Dei seco s* allegrano , 
£ lor s* inchina i al venir Pluto il figlio 
De la fortuna , altrove gli occhj volge » 
£ tal cagione ai Fadre^ che il richiede >, 



In. IV. Fày. XIL Iti 

N' adduce s Odio colui che a' cristi è amico > 
£ con r oftrte ogni ragion corrompe. 



Q 



F A V O L A XIL 
// Le§ne rtgnante . 



Uanto d' atll cotiiprende uo retto avviso ! 
? approva il detto ; pur veggiam non rado , 
Che sincero parlar ruina apporta. 

^ Re de le fiere fattosi il Leone» 
Per conseguir di giusto Prence il nome » * 
Oltre al natio costume , dì non molto 
Cibo ò contento» e ad esse in mezzo» esatea 
Incorrotta giustizia a t^tte rende. 

I 

ié0»f$ il rìmaneuUj intùtno t ch$ vidi di 
chi in fine ti nots. 



Tu LiB. IV..FAV,. XIll. « XIV. 



I 



FAVOLA XIIL 
. if # 4 >f jf jf 

Fochi versi Ai questa farola non si tra juco^ 
Bo, perché di essi non s'è potato ricavare 
trn senso perfetto per altro, qualunque. có- 
la ne dicano alcuni in contrario , io li re- 
puto avanci d*una Favola conne^a con la 
seguente : oc xnf titano èssi, di esser trs^ 

' flotti. 



d 



FAVOLA XIV. 



Nde fia» eh* a mollezza alcuno inclini > 
Chiesta da un altro il Vecchio, co%i parla; 

^ Prometeo quel, di cui testé parlai: 
£ che il loxa impastò, d'onde l*uom costa, 
Che se in fortuna avviensi , immantinente 5 
ilompesi; speso un giorno intero avea, 
A disgiunto formar ciò eh' ooeScade 
Con .vesti ricoprire a -tioi prescrive , 
f er adattarlo , ove bisogno il chiede , 
Allorché Bacco di lepeote a etsdì 



tiis. IV. Pav. 3CV. «1$ 

L'inTitòy cosi il neturo gli piacene, 

Che io pie non ben reggendosi, à gran notte 

A casa giunse : ed ei , che vuol pur compiere 

L* intrapreso lavoro s e sonno , è vino 

Sì l'ingombra, che i menj>ri don discerné f l{ 

£ ^Qcl de Tuoo applica all' altro > e quinci 

Un rio giacer la votatti ne prova* 

FAVOLA XV. 

Li CMpre t i Becchi, 

b Arean sdegnarsi i Becchi > allorché Ciovtf 
fé' de la iKitba a le Caprette il dono: 
Qiiasi le mogli a lor' volesse uguali* 
Cui. Giove: deh lasciate, che cotesta 
Godan ombra di gloria, e gli ornamenti $ ) 
Quando il vigor lor manca , abbian comuni • 

^ A non curar la novelluzza insegna 
Se akan» che di valor lasciamo addietro^ 
lUsHmbri ugual ne 1* apparenze a noi. 



»i4 ;iis. IV. lAT. XVI. B XVII. 



Q. 



FAVOLA XVI. 

2l Pihto e i Nétviiémti. 



Querelandosi aa uom di sua sreatiira » 
Per consolarlo , Esopo a dir imprese , 
^ Na?e agitata da contrarj venti 
De* passeggler* fra i gemiti» e le angosciei 
Da Iie?e aura sottratu e dal periglio | . y 
Indi i nocchier* da gioja cai sono presi , 
Qiial subito sere» l'arreca al giorno» 
Di fosco, e mesto y allorché il cangia in liceo. 
Reso il Piloto dai periglio accorto: 
Né a duol, dice» si dee > ne ad allegrena 
Darsi in preda » la riu è or lieta » or mcfOt . I9 



FAVOLA XVII. 

I Gli Mmbsuistcri dg'Cémi m Okvi. 



M 



Andaro Ambasciatori i Cani a OioTe 
Ad implorar mercè; poiché lot grare 
Servita s'imponeva» ed a gli nmaol 
Strazj soggetta. Il pan» eh* a lor si porge» 
Di crusca è asperso, e riofofiibil fame 5 



Lia. IV. Fav. XVn. _ 11 1 

A speg&et con le feci son costretti. 
Van lentamente'» in ogni mondezzajo 
L*esca fiatando, né di Giove al trono 
CHiamati , dan risposta. Ai Ho Mercutio 
Con fatica li trova, e a lui li tragge. io 

Ma fiffar'nel gran Padre i guardi appena» 
Tal timor H sorprese, che la reggia 
Tutta lordar* di stomacose feci . 
A colpi' di baston cacciati fuota, 
eh' a* suoi riedano y Giove noi consente , i 5 
Stupiti gli altri di cotal tardanza. 
Di alcun delitto lor preso sospetto , 
Novelli ambasciatori destinaro . 
La fama intanto il lòc fallir palesa; 
Sicché temendo, che an* ugual sciagura ao 
Non .accada a' secondi j ad essi il podice 
Di replicato e folto odor empirò. 
Vanna y udiens^ chieggono, 1* impetrano. 
Siede il gran Padre , e la folgore «cuote. 
Trema ogni lato: intimoriti 1 Cani, ty 

Poiché giugne il rumor loro improvviso, 
£ feci , e odore insiem mandan dal ventre • 
Grida ognun, che si dee punir tal' onta: 
Ma pria che Giove a lor gastigo imponga; 
Non dee, soggingne, ratteoere il Prence 50 
Gli Ambasciatori, e agevol fia; trovarsi 
Pari a 1' onta la pena ; e sarà questa . 
di itdro U Tsv. T^m9 U. P 



a 1 5 LiB, IT. lAT. XVIII. 1 3CIX. 

Tardi n* andrete > e to' che fame insegoWì 
Por freno 9,1 mentre, A qae'poi che ioviaxd 
61 goffi Ambasciator* ) soffrir fia fotta jf 

De i'uom le ingiurie. A la ptigion som ttatti. 
Ne si riiascian tosto . Ecco lì perchè . 
I Cao', che i primi An;ibaacÌJ^^ori> e gli akri 
Aspettano > se in «ane ignoto abbattoosi > 
Lo fiutan dove avean l'odor tiposto, 

FAVOLA XVIH. 

VVomo il Serpe. 

JL Ardi si peate chi ^ceoxre i tristi; 

^ Dal freddo un serpe intirizzito > prèso 
Fu da tal» che crudel lo Ter se stesso» 
Scaldollo in seno.* si tiebbe appena. 
Che r uccise t il perchè chiesto: a*malTagi 5 
Perchè, disse > non sia chi a gioTar prenda. 

FAVOLA XIX. 

Lm Velpe e il Drago ^ 

WL Erra scaTava per formar sua tana 
La Volpe > e fatte alquante buche area; 
Allor che giunse. oYe tesori un Drago 



i : Lii. IV. Ur. XIX, 117 

Appiattati guatdara. Il vide appena. 
Che, di gcazia >.gli dice, se cotanto T 

Incauta m'inoltrai , tu nifi «condona; 
Indi , chiaro {poiché lu scorgi , o Drago , 
Naila confarsi 1* oro al viver mio , 
Dimmi.comse» ^[ipale p premip, o fruttp. 
Ciò ti reca, sicché lu sempre vegli je 

In tenebre i Nessaao , egli rispondi i 
Ma Giove me^ l'impose. Adunque nulU 
Ne prendi, o doni? È tale il mio destino. 
Se audace parlo > mei «opdfpa : irato 
Cielo chi^ft te è simile, a vita trasse. 

^ Tu dunque, che n'andrai ove andar' pria 
{guanti fur di te ianansis a iche t^afTanii. 
Sordido , cieco , ed infelice avaro ? 
Gaudio d* etede, a cùijl supn di cetra, 
£ di flauto, tristezza, e angoscia arreca, ao 
Che ti privi di cibo» i Dei d* inc^enso , 
Cui de* viveri il prezzo elice il pianto ; 
£ purché a l' arca un qualche ^do aggiungali) 
Con sordidi spergmri il cielo sunchi : ly 

£ purché Libicina non acquisti 
Tutta la spesa ai funeral recidi. 



P a 



ttS LiB. IV. Faw. XX. E XXI. 

F A V O L A XX. 

Fedro, 

\JVci che ii?ot fra ie raggira appresi 9 
£ se occultar Io brama > io^ran s'adopra , 
Ciò ne* miei libri > che di fama é degno , 
E^ d'Esopo. Se cosa egli abbia a vile» 
Vorrà che ad ogoi patto a me s^ ascriva . f 
Ma in tal guisa m* appongo: o fia diblasmo: 
O par di lode degno il mio lavoro i 
Esopo mi fa dace> il resto è mio. 
Ma si prosegua ciò che a dire impresi. 

FAVOLA XXI. 

Il Hskfrsgh di Simonids ^ 



D 



Ovunque va, seco ha dovizie il Dotto, ' 
^ Simonide d' illustri carmi autore. 
Per men sentir di povertade il peso» 
Per le chiare città de 1' Asia in giro 
Cominciò a gir » u* stabilito il prezzo^ 5 

Le lodi in verso a' vincitor' tessea . 
Fatto ricco in tal guisa, al patrio suolo 
(Che in Geo nascesse il vuoi comua sentenza) 



.. . LiB. IV. Fjiv. XXI. , li, 

S* accinge a far ritorno , e al mar s* affida . 
Tal legtio ascende,. cui sdruscico» fea io 

Tempesta in mezzo a 1* onde , e fiede , ed apre . 
Chi ciò eh* have di pretto , e chi il danajo 
De la vita sostegno » al seno strigne . 
Un saccente: Simonide > deh nulla 
Di tue ricchezze prend> ? Q tatto ho meco . x 5 
Rari scampan. nuotando* i i ^và sommerge 
Il grave peso, e ciò che por rimane» 
Tolto lor da*,ladron', testano ignudi. 
Clazoniéne in bopn punto era.' vicina » 
Cittade antica» e là drizzan suoi passim zo 
Uom de le Mote amico, jcbc Ja gran pregio, 
£d in ammirazion ha?e Simonidci 
Di cui frequente leggea i carnai, in esso 
S'arviene, e appena il suo parlar lo addita, 
eh' aTÌdissimamente a ; $c . Iq • tcagge p,.,, . 1 f 
£ vesti , e soldo , e servi a., lui destina . 
Con la ubella il vitto acc^tan gli altri. 
In «ssi a caso s!incWrò il .Poeta > 
£ mec9i (toe, «eco. se tutto io serbo. 
Da le cose rapite a tpì che resta?. 



t 5 



%Si> LiB. IV. Fat. XXU. 1 xxiir. 



V 



F A V O 1 A XXII, 



Icino a partoriir , con alce grida , 
Tatto ti mdndo ileneà sospeió uà Monte; 
A la fili- a'iisei 'UA Topo. ^ A te Ìd scrìssi « 
Da cui grafi eòse attendo^ e oulh^ io Teggio. 

P A V O L A XXttl. 

V.- ' . . 

- Là FarmUa-i U H9ns. 

L RA U Mosca era inatta, e la Formica » 
Chr di ìot sovrastasse^, acre concesa . 
Si comincia la Mosca : ed ancor osi 
Venir nièéb ii tenzone'*? AUor che s'ofiire 
Vittima a' Dei, le riseere n',asiaggto . 
fra gli altari io dimoro $ racapa a* Regi 
Se m'è a gradò, m' assida; e' su i bei labbrì 
De le casi'e^lrìàtrone id m' róttattengo ; 
Nulla fatico, ed il miglior mi godo. 
Ch*faai tu di soffliglievoie , villana? IO 

Lo seder a la mensa de gli Dei 
Reca gloria , egli é ver ; purché ne sia 
Invitato, non già, se avuto a schifo* 



LfB. IV. ÌAT. XXIII. E XXIV. 15 r 

De le matrone i baci , e i re millanti ? 
Quando bea mi ricorda , allor che il grano i j 
Per il verno sollecita raccolgo. 
Veduta averti d'ogni vii sozzura 
Pascerti presso a' muti . Tu gli altari 
frequenti; ma però se' giunta appena. 
Che ti discaccian tosto: non lavori ^ 
Ma nulla hai pronto , ove bisogno il chiegga > 
Ciò che vuoisi celar » commendi altera . 
Mi disfidi la state , il verno taci , 
Allor che il freddo intirizzita a morte 
T'adduce; nulla io soffro, e ricca casa a 5 
Di «curo soggiorno mi provvede. 
Ecco abbastanza tua alterigia doma. 

^ Segna il racconto quei che finte lodi 
S'arrogan, e coloro a cui vinude 
Soda gloria comparte, ed onor vero. |o 

FAVOLA XXIV. 

Simcnid» tbg gli Dei pnsirv4n$ da morti. 



Q 



_Utl nasci giovamento da gli stu«lj 
Fra gli uomini il narrai; or quanto i Numi 
Gii omtftt' , dir a' posteti m'accingo. 
* Per tener lodi a un vlncitor Atleta , 



uji LtB. IV. Fàv. JQHV, 

SimoQide , éì cai parlai poc'aoKÌ, 
Subiti il prezzo > e in loco cimo stn. gio; 
Ma r argomento licTC a la feconda 
Vena frenando il corso» ^1 si suole 
Da' Poeti, licenza prende, e i doe 
figli di. Leda >* che cangiarsi ÌB stelle, io 

Frappose -, indi simil laude a V Atleta 
le' derivar. S'approvò l'opra, e un terzo 
De la mercede convenuu occeant • . 
Richiesta l'altra, la daran risponde. 
Quei eh' ebbero due parti di tue lodi s if 

Àia perché disdegnato tu non parta^ , 
Polche i congiunti , ( e te a' congiunti cacato » ) 
•A la cena invitai, te pure invito.. 
Benché deluso, e l'onta alto il trafigga, 
t Per non farsi l' Atleta in tutto avverso , ic» 
Promette, e a l'ora destinau riede. 
Siede a mensa t le tazze ^ l' apparato , 
lì convito, la casa empioo di gioja • 
Quando repente due, pid che d'umano 
Sembiaate, di sudor , ^i polve aspersi » 
Impongono ad un servo , che il Poeta 
Faccia si , che a lor Tenga incontinente ; ^ 
Giovargli assai i eh' e' aon frapponga indugio . 
Si turbato gliel dice, che Simooide 
In frettg parte: il piede ha fuori appena, ^o 
Che cadtiido U volta rótti opprimo 



LIB. IV. Iav. XXV. *33 

Kè a la sporta più alcun gioTin si trora. 
Come ciò si riseppe, ognun s'IiTTide 
Che gli Dei fur tpt' due , che per mercede 
De'lmo leocomj > gli donar' la TÌca. 35 



M 



FAVOLA XXV. 



Oht) ancor mi rimane, e ad arte al lascio 
Pria perché esser grar^ ad an , cut moke » 
£ varie ingombran cure , io oonrassembrii 
Poscia perchè s'a caso ad altri è in grado> 
Coca! ttudj seguir , abbiane il come . $ 

Bencbé sia ricca la materia io guisa, 
Che mancar questa anzi che possa a^, 
Mancar vedrassi cfai.il iavor ne imprenda, 
^uel premio, che a la nosrra brericade 
Promettesti , io nchieggO; e quel che in roce io 
Voler darmi dicesti , al fin mei dona . 
Ogni dt pili si fa morte vicina, 
£ quanto mi piolungfai i dooi^tuoi. 
Tanto ne ruba il tempo: immantinente 
Se li rechi, più ancor godronne il frutto, ly 
Finche un po' dunque mi riman d' etade 
Or or mancante, il tuo soccorso appresta. 
Che pio, se mi sovvenga » allor che morce 



x^if Lia. V. Prolooo 

Udir le favolucce, eh' Esopèe » 

Ko& più d* Esopo appello; ei fu di poche; 

Dietro a sua scorta io son di molte autore: 

Nuovo è il racconto» é la materia antica. 

Se tu sovente , che sei meco erede , i ^ 

Le legga, e quanto a lai piace» le roda. 

Se non puote imitarle , atro livore . 

;Cl^ tu, ch'altri a te egual, ne'ifcricti suoi 

Xe- mie baje frammetta ^ e degno m'abbia 

Di lunga fama 5 assai di lode ottenni. io 

De' Dotti il plàuso di dtrartie io bramo « 

1 L' P O E T A. 

^E in avvenir d'Esopo il nome incontri J^ 
Poiché a lui diedi ciò ch'io dar dovea^ 
Perché stima s' accresca a l'opra, il posi. 
Siccome avviea, che a'tempi no«tri aggiugnére 
Pregio al lavor se qualche artier desia, 5 

Prasitele nel marmo ne fa autore , 
Ne 'l'argento Miroa. Mordace invidia. 
Anzi che no buon pftsente , i . morti estolle . 
Ma cotal favoietta s'iocomjlnci . 



u 



LiB. V. Fav, I, t|/ 

FAVOLA l. 
JUmitrh , e Uinémdro . 



Surpato d'Atene avea Io scettro 
Demetrio Falerno . A gara , e in lolla > 
Come costume ha 11 volgo , a lui s' accorre : 
Soonano intorno a fioca roce 1 piansi . 
I primari medesmi , ancorché angoscia ^ ^ 

De la mutata sorte il cuor lor ponga } 
A h man, che gli aggrava > imprimon baci. 
È quegli ancor > cui nulla oprare è cura , 
Perchè ad essi il mancar non sia dannoso, 
£ qeasi a forza addotti , al fin vi Tanno . io 
A questi, di Commedie illustre autore, 
Ménandro, il di cui volto è ignoto >d Duce> 
Che ti avea lette , ed ammirate V opre » 
S' unlos sciolta é la veste : ondeggia il passo \ ' 
Moi^ d' unguenti è il crine . Il vede appena : i f 
Chi è quel bagascion , dice , che ardisce 
Farmisi innanzi? E' lo scrittor Ménandro^ 
Rispondono i vicin*: si cangia tosto. 
M/tnc0 il fimtmenu. 



»li LiB. y, Iat. iJL 

F A y O L A II. 

i Viémibmti f $ ti tndfé. 

Jl Acean viaggio due compagni , un prode , 
Imbeile l'altro. Masnadier gli assale. 
Chiede il danaro, o lor minaccia marce. 
r Lo afferra il prode , e forza a forza opposta , 
{^ L* uccide incauto . Il vede l* altro appena , 5 
Che acconci e spada impugna; e via gitt^taj 
La Penola^ che il braccio rattenea> i K>^ 
Ove è il ribaldo? ( dice: ) mostrerogll 
Con chi r ha presa. Almen cotale aita 
Recato avèscù , il prode a lui soggiugne: 
Ugual creduto a le parole il core, io 

Pio valor «e la zaffa avrei dimostro . 
Or tue folli minacce, e il ferro as.coodi. 
Se chi non ti conobbe ingannar puoi: 
lo che vidi ^al forza a fuggir abbia» 
Al tuo valor so eh' affidar non dessi . i ^ 

^ Ne la favola mia colui ravviso , 
Che se prospera sorte arride , è Sottri 
linahè pentie dubbiosa > é fuggitivo . 



u 



LiB. V. Uy. IIL * IV. iir 
F AVO L A HI. 



N Calvo» cui nei nudo capo puQsé 
Uoa Mosca» sperando d* iscbiacclarla , 
Si die grave cef&u. Essa il dileggia: 
Se merce dar si vuol per lieve oftesa, 
Che fia reco > che danno e bef& incontri ì f 
Meco in grazia ritorno agevolmente > 
Perché lungi da oflesa è il mio pensi«re. 
Ma te, animai malvagio, di vii razza. 
Che il succhiar sangue uman rio piacer prendi. 
Spegner vo* , come che più danno io n* abbia • io 

^ Non egualmente eh' avvertita offesa , 
Quella ch'il caso fé*, punir si debbo.* 
Ma pur da pena non la sciolsi unquanco. 

F A V P L A IV. 

VUùm^ , e V Asinù, 

rjLD Ercole, da cui fu da rio morbo 
Sottratto un Uom, e pria promise in voto ; 
£ poscia in sacrificio un Porco ofFrioj 
£ l'orzo, che re&tovvi , a^l'Asin porse; 
£' si'l rigetta: il don mi fora grato. 



)4o tiiu y. Fjiv. y. 

Se chi se ne cibò , tì Fesse ancora • 5 

^ La faToIecca tal timor m' incusse > 
Che i perigliosi lucri ebbi in orrore . 
Pur ricco e > dite » chi a c[uei d' altri agogna . 
A color che perirò attendi » salvi 
Fochi vedrai 9 far gli altri tratti a morte. 
Dannosa a moki> utile audacia è a pochi, io 

i^ A V O L A V. 

Il Giullare , i il FilUno . 

-Spesso i mortali tal furore ingombra» 
Che ai preso inganno appigliansi tenaci. 
Finché chiaro argomento il fallo scopra . 

f- Cura d'illuseti giuochi un ricco prende; 
£ perchè novità li renda accetti» • f 

Di nuovo gioco oSre mercè a l'autore: 
Di lode a la tenzon vengon gli artieri : , 
Fra questi per li suoi urbani motti 
Noto GiuUar, tal ne promise» ch'un^ 
Per r addietro teatro aUun non vide. io 

La fama tutta la cittade adunai 
Fassi il teatro a la gran folla angusto . 
Quando senza apparaiy^"» e senza attori 
Solo in scena compare. Si procaccia 
La stessa novità silenzio: il capo i) 



LiB. V. FÀv. V. ^41 

Repeoce m sen si. pooe, e fuor tramanda 
Voce di Porco. tal > che tutti induce . 
A pensare > che verro in seno asconda . 
Cb* apra il mantel sigrrda. £i l'apre , e nulla 
Vi si scopre: d'applausi il del rimbomba . 10 
Vide il gioco w\ yillan> e afFé ( soggiugne ) 
Costui non l' arri rinta > e il di Tegnente , 
Che molto meglio egli è per farlo, accerta. 
Maggior fassi il concorso i prevenuto 
E* il volgo a favorir del primo il giuoco,, i^ 
Tal che al Villan per far scorno , s* asside . 
£cc« entrambi : il Giullar primo grugnisce s 
Suona a 1* intorno il plauso, e un lieto viva. 
Alloc fingendo di coprir col manta 
Un porcelletco > che di fatti avea 9 30 

A lui strigne l'orecchia il Villan furbo, 
£ n'esprime dolenti, ed alte grida. 
Che il Giullar molto meglio imita il verre , 
£ che r altro si scacci , ognuno esclama . 
Apre il seno il Villano > e mostra il p»rco , 55 
£ sì additando de V error la prova , 
Ecco > dice , c[ual giudici voi sete . 



M 



IL POETA. 



Olto da dir mi rimarrebbe ancora: 
Si cotesta materia è ricca > e varia. 
diFedrùUFav.T.U. (^ 



*4i I^s. V. Fiv. VI. 

Ma fien grate, se pacca man le doni; 

Se molte son , ci ofièodono le arguzie. 

Per il che, coerede dabbeoissimo> ^ 

Nome» che vita avrà, finché alcun pregio 

A le latine lettere rimanga » 

'La brevità 9 se non l'ingegno, approva. 

Tanto di lodt è degna , ^anto noja 

Hanno i Poeti di reca^r costume . io 

I A V O L A VX. 

Dfte Calvi, ^ 

r . 

JL Rovossl a .caso un pettine in istrada 
Da un Calvo: ed ecco un altro Calvo accorte » 
£ ciò eh* hai trovo dipartiam, gli dice. 
Esso petttn dimostra > e tal favella : 
Favorir volea il ciei» ma noi consente j 

Invido fato: del tesoro in vece» 
Cacbon (come suol dirsi ) ci si oflèrse* 
A chi speme andò a vuoto adatto e ijl motto. 



Lii. V. Fay. va 14) 

f A V O L A VII 

2l J^rmiife trombittien . 

iJiHì per Ikye aura di te scesso prende 
Opinioa^ ch*^ oltre il dorer lo estolle i 
AgeTol fia ch^ befie e scherno incontri . 

^ Fu in gualcite pregio un Tcombectier> di nome 
PKiNCiPfi, dei eoi suono sul teatro» 5 

Freijuente usar Bacillo area costume . 
Mencre in palco s'aggira (ni in quai giochi 
Ciò avvenne , mi sovvien ) la manca coscia > 
Tal ei cadde, si ruppe immancinence > 
Per cui due descri flaaci infraaci arrebbe, io 
fra dolenci querele» e grida, a mano 
Lo riportano a casa; indi a non moiri 
Mesi y a guarir mencre incoriaiacia i il yoigo 
De* spetcacor*» qual folle lor desio 
£ capriccioso il vuol, loatcende al ballo, 15 
Che dal suono di lui prendea vigore. 
Tal, che ampli giochi celebrar desia, 
Sa , che Principe é presso a risanarsi ; 
Va, prega, ed offre, perché almcn la scena 
Renda col solo comparir più lieca. io 

Viene l'acceso giorno: ecco il teatro 
fremer per lui : morto calun i' accerca ; 
eh' a monetenci s'attende, altri assicoca. 



£44 Un. V. Fav. Vm. 

Tolto il Sipario » tertnmatt I tuoni > 

Qual peregria costume il vuol, parlata tf 

Avean gì* Iddìi y ailor che il noto canto 

Ai Trombetta s' impone , ed era qnesto : i 

Ti allegra , o Roma : hai salvo il Trtnce : Voce 

Risuona , che il teatro empie d^ gio/a.^ 

Ad onor suo (o reca il buod Trombetta , jo ! 

Ed a gli spettacòr' fa baciamani . \ 

L'ordin Equestre il Folle error conosce > 

£ con gran risa impone , che s' intuoai 

Di nuovo il canto.- ai suòlo il buon Trombetta 

Si profonde col volto: a lui fan plauso 5^ 

Con piacevole festa i Cavalieri : 

Che chiegga la corona il volgo stima ; 

Ma poiché sua sciocchezza ognun comprese » 

Candida benda in van la coscia avvolge , 

In van bianca ha la veste , e bianco il piede : 40 

Che presolo . pe' crin* , lo %ccian fuori • 

Né a lui giovaro le onorate insegne, 

Di cui ne va l'Augusta Casa aitera. 

FAVOLA Vili. j 

V Occasione difiofs. 

LilevQ il corso, la man di ferro armata» j 

Chioma a ia fronte, e capo> e CQrpo ignudo > 



Lia. V. Fav. IX. a X. i^l 

Che se una Tolta preso avvien che sfugga > ' 
Né pur se Grore il segua , afFerrar puote $ 
La Brere simboleggta > e fuggitiva ^ 

Occasìon de le mondane cose. 
Perchè dun^e del booa voler lo efFecto 
Pigrizia non ne rubbi> i nostri Padri 
Cotal del Tempo immagine ci diero . 

FAVOLA IX. 

2l TcrCi $ il Vi$$lh. 

L Ornar per fóro angusto al suo presepe 
Poteva appena, e sol cozzando un Toro. 
Un yitel> che s'inchini lo consiglia: 
Taci , ei risponde s anzi che tu nascessi 
Io già il sapeva . ^ II motto a quello è adatto , 5 
Che un pia saggio di se corregge» e ammenda. 



u 



FAVOLA X. 
Il CuccUtùrey $ il Cane. 



N Can, cui non poteo veruna fiera 
Star a fronte > al padron mai sempre accetto ^ 
Con r etade il primier valor perdette . 
Un giorno dietro ad un Cignal lasciai»» 



14^ 1.1»^ V. ìat. X. 

Tosco r azzanna} ma da* rosi dead > 

lugge franca la fiera, e si iloselva.' 
Irato II caccìator , lo sgrida* li Tccchio 
Si latrando soggiugne : ti deluse 
Non r animo, il raloc: ciò che già fui, 
Ck>mniendi, e quel ch'or pia non soo^ coadanni» la 
'^ Perché iociò scriva hcn » Fileto > U redi « 



21 Emi del lihé Qjuht^. 



»47 
APPENDICE 

DELLE FA V O L E 

D I 

FÉ D R 

Va un mtteo Mémcscritta 
D A 

MARQUARDO GUDIO 

TRASCRITTE 

I A Y>--0 LAI. 

il Nibbio malato. 

jLf K molti mesi infermo, oltra speranza 
Ornai reggendo la saa rita un Nibbio, 
Prega la madre, che a camparlo, imprenda 
Lunghìi pellegrinaggi , nd offra Toti . 
Ella, dice, il farp, ma temo, in vana. 
Ttt profanasù i sacri luoghi , e a Vai« 

a 4 



14S Appsndic£ Lib. y. Fat. Il e Ut 

Le vittime Inrolasti : or con qaal fronte; 
Per trarci di periglio , pregar deggio ? 

FAVOLA II. 

Xt Le fri attediatesi di vivere^ 

V>iHi non sa sofferir le sue sciagure, 
L' altrui rimiri » e tolleranza apprenda • 

^ Da gran fracasso ài bosco spaventate 
Le Lepri un giorno , orsù ( disser } fia meglio , 
Che tronchi morte alfin giorni si gravi . f 
Mentre van duntjue a immergersi in un lago> 
Spaventate al lor giugnere le rane , 
Si nascondon fra l'alghe a la rinfusa. 
Un Lepre allor: altri in eguale affanno 
Vivono pur: con lor del par vivete. io 



N 



F A .V O L A III, 
L0 Volpe > e Giove . 



On ha fortuna si leggiadro manto > 
Che una malvagia e Ha natura asconda. 

^ Di volto uman resa una Volpe adorna ^ 
Nel toro accolta riceva da Giove 
Trono regaL S' asside» e un bacheiozzo \ 



ApMNDIC£ LlB. V. FAv. ÌY. 24^ 

Da un angolo spaotar Tecle> e repeate 
Si i^Qcia , e il piglia .' Risero gli Dei > 
N'arrossì Giove, che dal regio trono > 
fi dal ciel con tai motti la sbaidio. 
Vivi qual metti, al compartito onore 
Se apprender non sapesti ugual costume ; 

FAVOLA IV. 

// Uime , € il Sorcio • 



Jl\. Non ofFcndere 1 minori insegna 
La favola. ^ Dormendo ne la selva 
Un Leon« mentre a lui gtocan d'intorno 

I villerecci sorci, un d'essi a caso 

Sopra gli passa., e Io risveglia: pronto $ 

II Leone lo arresta .* ci d* imprudenza 
Reo si' confessa , ed il perdon ne chiede • 
Vede il Leon da regio onor lontana 
Gotal vendetta , e mite a lui perdona . 

Indi a poco di notte, mentre ei preda > 19 

Cerca a 1* intorno , ne la fossa inciampa . 

Tosto che preso si conosce, al cielo 

Alza i ruggiti» al cui rimbombo orrendo 

Accorso il Sorcio > ogni timor deponi , 

Gli dice : il mio sta coi tuo dono a fronte t i e 



E imaiaatiQeote tutti e kcci) e nodi 
Ricerca > e rode , e il L0O& leade al boicm: 

3F A V O L A V. 

L'XUm», # 5U Alktri, 

L £re chi al suo oemtco tjuto ajppresta . 

^ Aveva uq uom fatta un'accetta , e il manico^ 
Pet forte averlo,, a gli alberi richiese • 
Essi concordi eleggon i' Olivastro . 
S'accetta il dono, e fattane la scure, 

I roveri pid annosi e sceglie , e atterra • 

II Frassino a la Quercia in coraì motti 

£' fama» che parlò: giusto e lo scempio; 



IL JF I N £• 



Qui si è creduto bene di aggiungere due 
Indici j r uno Italiano , V altro Hàfi^ 
no ; e ciò per agevolare agli studio» 
il confronto delle due lingue , ^mndo 
volessero consultar V origimle.^ . 



t 



IN DE X 

FAB ULAR UM 
P B JE D R I. 

j^UaSùfus Md gamnlum . 
JEsopus ludens . 
MsopHs interpres test^meun . 
JEsopus (3^ pitulans, 
JEsopus er rusticus. 
Agnus et captllis nutritut. 
^Jignus ad Amphovam . 
^Jlpes ty fuci vespa judice . 
AquiUy cofnix &* testudo . 
jiquUu y folti (sr aper . 
Arbores in deorum tutela . 
\Astnus ad senem pattorem • 
jisinus csr Galli. 
Asinus tsr leo venantes, 
Jisinus irridens aprum ., 
Cisar Md atriensem . 



«fr 



INDI C E 

DELLE FAVOLE 



D I 

FEDRO. 



Es 



iSopo td un ciarlone • to> 

Esopo che giaoca. 104 

Esopo interprete d'un testamento. j^4 

Esopo e un petulante. 156 

Esopo, e 11 Villano. j^4 

L'Agnello nutrito dalle Capre* zo^ 

La Vecchia ali* anfora . \j ^ x 

Le Api e i Fuchi al tribunale della Vespa . 205 

L' Aquila , la Cornacchia , e la Testuggine . 'it6 

V Aquila , la Gatta > e la Scrofa selraggià • i S 5 
GH Alberi in tutela degli Dei. zOj 
L'Asino al vecchio pastore. . x6tf 

V Asino e i Galli Sacerdoti di Gibele . ao^ 
L'Asino e il Leone che vanno a caccia* 1^5 

V Asino mottegiatore del Cignale . 17 7 
Cesare al custode dell'atrio. " 184 



i 



t^ttlvus or musié • 

Ct^num legati ad Jov$m. 

Canis Cf efoeodilHs. 

Canis & lupus . 

Cgmis fide li s . 

Canis nuttms . 

fCMnis parturifns, 

Cétnisy thesaurus t^ vulturim^ 

Cap^lU er bìrci . 

Cwvus ty boves . 

Cicdda ty nc^uM^ 

Cervus ad fontem., 

T>em$trius &* Menandet, 

£quus tsr aper . 

TLun$uhus ad improbum • 

dèrmica cr musca • 

^féUer C5* sor^r . 

ymr aram compilans • 

KSraculus suptrhm, 

Cuhemator ty nauta é 

JSercules ad Jovem . 

Homo &* asinmt . 

H9mo C* canis . 

Homo e* colubra* 

Uomo cr arhores» 



Calvo e la Mosca. i5y 

Calvi . 24X 

ni famelici. ^71 

Ambasciatori de* Cani a Giove» 114 

ane e il Cocodiillo. 274 

ane e il Lupo . t^j 

ane fedele. 173 

;oe che porta la carne per lo fiamt» i^t 

lagna partoriente. 170 

me , il Tesoro e V Avoltòjo» 17^ 

lapre e i fiecchi. a, a 5 

:r?o e i Buoi. tSjr 

;rvo alla fonte . 1 ^S 

icala e la Civetta: aotf 

^trio e Meoandro. 237 

.vallo e il Cignale. xr| 

meo ad un malvagio. 2.0 1 

trmica e la Mosca. 230 

icello e la Sorella. 19Z 

àio che spoglia 1* altare . xi^ 

ornacchia superba e il Pavoot • 2i& 

oto e i Naviganti . 124^ 

: a Giove . 11 a 

mo e r Asino. 139 

no e il Cane. 181 

310 e il Serpe. iztf 

mo e gli Arbori. ao^ 



»f^; 



t$9 ttgnans ; 

Lio sapiens . 

Leo senio confeBus » 

Leo (y mus, 

Lepores viu pertoesì . 

LftpHs (gr Agnus, 

Lupus (T gruif. 

Lupus er vulpist judiee simio l 

Margarita in sterquilinio. 

liilvus cr columba, 

Mijsffus Agrotans . 

^ons parturiens . 

Mstlier partariens , 

Muli IT latrones . 

Musca ty mula. 

Mustela & homo « 

Mustela er mutes. 

Occasio depista. 

Ovis canis O* lupus • 

Ovi's C9* cervus , 

Tanthira c^ pastous . 

Master Ì3r> lepus , 

iPavo ad Junonem. 

Thédrus in fabularum censores . 

Vrineeps tibicen, 

Pugna murium & mustelarum . 

B^ina rupta. 



'V 



il Leone regnanto 4 - 


xii 


Il Leone saggio . 


21> 


Il Leone yecchio . 


I7X 


Il Leone e il Sorcio . 


14^ 


Le Lepri attediatesi di TiTire . 


248 


Il Lupo e r Agnello . 


i^o 


Il Lupo • la Grae. 


i6l 




L • 


loro giudice. 


Ii4 


La Gioja nelle immondezze. 


»Oj 


Il Nibbio malato. 


i« 


Il Nibbio e le Colofnbe. 


n» 


Il Monte partoriente. 


230 


La Donna partoriente. 


J70 


I Muli e i Ladroivi • 


iS7 


La Mosca e la Mula. 


196 


La Donnola e Tuomo. 


ifZ 


la Donnola e i Topi. 


xtt 


L'occasione dipinta. 


ii7 


La Pecora > il Cane e il Lupo; 


169 


11 Cerro e la Pecora . 


Jtfj, 


La Pantera e i Pastori. 


^9i 


Il Passere e la Lepre. 


JU 


Il Parone e Giunone . 


108 


Fedro contra i detrattori delle j^arole. 


»jr 


Principe Trombettiere. 


14X 


Il Combattimento de* Topi e delle Donnole • 1 


iij( 


di lidTQ h Fw. T, XXIU. R 





JLAni, ad ver SMS solerne 

]SLan£ metuenses taurofum ^r^f. 

B.anA rej^ém fitentes . 

^s gesta sub Augusto^ 

Seurra (5* rfestieus, 

Simil caput, 

Sìmenides a diis s^fvatus, 

SJmonidJls »juifMjium, 

Soeratis di^um . 

Sutor m^dicus . 

TaMfus er vitulus . 

Vacca y cafella » pvis ^^3^1^0 1 

Venator ty canti , 

Viatores Cf latro . 

Vipera C9* lima, 

Vulfis or aquila . 

Vulpis tsr ciconia . 

Vulfis ey corvus . 

Vulpis ©• draeo . 

^tf/^ix e* hirctés. 

Vulpis er *v>». 

r«/^fV Ai^ persenam tragiean^ 

Vulpis »• Jupiter. 

I I N I S, 



la Rana crepata. ' 174 

Qtierela delle Kant contro al SoleT ^^^ 

Le Rane che temono r^^mbattimtnti de* Tori • 17S 

Le Rane che chiedono ^ Re , x ^o 

Fatto succeduto nell' impelo d* Augusto • 1 7 S 

Il piallare e 11 Villano. 140 

il Capo della Scimmia . 19$ 

Simonide che gli Dei preseryano ^ morte. 13 1 

Il Naufragio di Simonide. 2i8| 

Detto di Socrate. i^> 

II Ciabattino fintosi medico; x6j 

Il Toro e il Vitello. Ì45 

La Vacca, la Capra» la Pecora e il JLeone; j6x 

Il Cacciatore e il Cane. ' J81 

I Viandanti è il Ladro , asS 

La Vipera e la Lima . ' ^^^ 

La Volpe e l'Aquila . 17^ 

La Volpe e la Cicogna. 27 s 

La Volpe e il Corto. J^7 

La Volpe è il Drago. *i^. 
La Volpe e il Becco • 

La Volpe e l'UVa. aia 

La Volpe e la maschera o sia faccia 4^ sctna • 1^3 

La^V&lpe e 6io?e. »4« 

IL FINE. 



IV 



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